In Siria i nemici di Assad s’ammazzano tra di loro

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Il regime siriano si libera delle armi chimiche senza colpo ferire e raccoglie un premio inaspettato

Un’inattesa svolta nella guerra civile siriana vede ora i nemici di Assad spararsi con ferocia più o meno in nome di Allah. Uno sviluppo che non può che far piacere al regime, che non è mai stato politicamente tanto forte dall’inizio della rivolta.



UN ENORME DISASTRO – Le immagini che vengono dalla Siria parlano indubbiamente di città ridotte come Beirut al suo peggio e se non bastassero le immagini ci pensa il flusso ininterrotto dei profughi in fuga portare fisicamente traccia del conflitto oltre frontiera. Centinaia di migliaia nei paesi vicini e altri ancora già sparsi tra i paesi del mondo che hanno loro aperto le porte, pochi e in grado di offrire un numero d’accessi davvero limitato a cominciare dall’Europa che rimane una delle destinazioni preferite per chi abbia le risorse e le forze per non fermarsi nei grandi campi allestiti dall’ONU e dalle organizzazioni internazionali appena al di là dei confini siriani. E poi ci sono i morti e i feriti, gli invalidi, gli amputati, gli orfani e tutto il corredo d’orrori che accompagna la guerra e che non riesce mai a varcare la barriera della televisione e dei giornali che non vogliono rovinare l’umore o dare pensieri a quanti si godono la pace altrove.



IL CAOS REGNA – Quella che manca è la chiarezza su quanto sta accadendo, perché la frattura tra le formazioni militari che si oppongono ad Assad è reale, ma sfugge alle classificazioni di comodo proposte molti e a dire il vero probabilmente sfugge anche alla logica, alimentandosi piuttosto di rancori e frustrazioni che si sono cumulate e che hanno trovato il loro sfogo dal momento in cui l’opposizione ad Assad ha visto sfumare l’ipotesi di bombardamenti americani sul regime. L’accordo con Assad per l’eliminazione delle armi chimiche, le prime lasciano fisicamente il paese in queste ore, ha rappresentato anche uno spartiacque nella postura occidentale verso l’opposizione e per di più si è accompagnato a un riavvicinamento tra Teheran e Washington, già occasionali compagni di merende in Iraq e in Afghanistan in nome di superiori interessi comuni e dell’antipatia degli ayatollah verso i sunniti, in particolare quelli fanatici che vaneggiano di califfati e non di repubblica islamica.

GLI INDESIDERATI – C’è stato chi ha provato a inquadrare il momento come una guerra per procura tra Iran e Arabia Saudita, ma è una di quelle classificazioni maldestre che tenta di mettere il vestito sbagliato partendo dall’evidente ostilità dei monarchi sauditi per l’Iran. Ma la situazione è più complessa e lo scontro, pur chiamando in causa l’antica rivalità tra sciiti e sunniti, sembra più la storia di Bandar Bush contro tutti, perché la presa dei sauditi su parte dell’opposizione armata ad Assad appare incerta nonostante le generose sponsorizzazioni e soprattutto perché i guerriglieri internazionalisti richiamati dal conflitto e spesati dai paesi del Golfo si sono riuniti in bande che non vanno d’accordo e che a loro volta hanno rapporti difficili con l’opposizione locale al regime. Opposizione che nei nuovi compagni d’arme ha trovato una forza potente e chiaramente intenzionata a dare alla Siria del dopo-Assad un’impronta non solo islamica, ma decisamente talebana. Anche qui come nell’effimera occupazione di parte del Mali i guerrieri di Allah hanno portato le loro regole draconiane e anche qui hanno cozzato contro una popolazione che è sì per la maggioranza musulmana, ma che a vivere da talebana non ci pensa proprio. L’esempio dei curdi siriani, i primi a interdire l’ingresso nella loro regione ad altre milizie che quelle locali, è paradigmatico e alla stessa conclusione dei curdi sono arrivati poi anche le altre opposizioni armate al regime, che ora sembrano seriamente orientate a invitare con le armi gli alleati di un tempo a lasciare il paese.



UNA STORIA DIVERSA – In Siria la popolazione è peraltro numerosa e in parte armata e determinata non meno dei guerrieri d’importazione, che nonostante la loro brutalità hanno trovato una resistenza armata alle loro pretese che in Mali non s’era vista proprio. Là si trattava di un territorio scarsamente popolato e sotto l’amministrazione di un paese fallito con anche l’esercito che aveva incrociato le braccia, qui si tratta di un paese formalmente in guerra fin dalla sua fondazione, circondato da anni da paesi e regimi ostili e retto da una genìa dittatoriale che è radicata anche più di quanto non lo fossero i colleghi baathisti in Iraq e che evidentemente gode del sostegno di una parte significativa del paese, non necessariamente divisa per linee etniche o religiose.

MALE PER I SAUD – Un rovescio per i sauditi, che si erano lanciati in avanti dopo che Obama aveva concesso ad Assad una via d’uscita alla crisi provocata dai bombardamenti con le armi chimiche, al punto da perdere il tradizionale aplomb e da gettare altri miliardi sul piatto, persino per il riarmo del Libano. I sauditi però appaiono abbastanza soli, l’attivismo di Bandar Bin Sultan, ufficialmente comandante in capo dello sforzo bellico inizialmente benedetto da Washington, non ha prodotto altro che un progressivo isolamento del regime saudita. Dopo che i sauditi hanno sostituito ed emarginato il ruolo-guida del Qatar, in poco tempo si sono visti una serie di colpi di scena notevoli, a cominciare dal golpe egiziano supportato dai Saud, per finire con il parlare del dispiegamento di bombe atomiche di provenienza pachistana nella penisola arabica. Un accenno pesante non certo rivolto a un’inesistente minaccia iraniana, Teheran non ha i mezzi per attaccare i paesi del Golfo, non ha neppure un’aviazione, quanto piuttosto al tutore americano, dal quale i Saud no si sentono più protetti a sufficienza. E la storia insegna che a passare da protetti di Washington ad essere indicati come il problema non ci vuole poi molto, anche se i sauditi sono ottimi clienti dell’industria bellica americana e tra i pochi che pagano in contanti. Così buoni che hanno comprato armi che lasciano a invecchiare perché non hanno chi le usi. Talebani d’esportazione e fedelissimi del regime a parte, i sudditi sauditi sono pochissimo pugnaci e il generoso welfare che li tiene lontani dal lavoro è un potente repellente anche verso la carriera militare. Un deterrente atomico sembra un must have anche come garanzia contro brutte idee degli americani, tanto più che la dinastia è in mezzo a un delicato passaggio generazionale che di suo è già abbastanza destabilizzante per il regno e la tenuta della famiglia reale.

TUTTI CONTRO I TALEBANI SCATENATI – In Siria la frattura sul campo è seria e non è chiaro se potrà essere ricomposta o se si andrà in qualche modo allo scontro finale tra le due fazioni molto fluide che si sono dichiarate guerra negli ultimi giorni e che in qualche area del paese sono giù giunte a una tregua. Quello che è certo che il teatro siriano è diventato un magnete per i fanatici islamici e la loro presenza si è rivelata come previsto destabilizzante, in questo caso all’interno dell’opposizione armata, che comunque dal loro apporto ha tratto grande giovamento, al punto da provocare uno scollamento tra i rappresentanti dell’opposizione siriana già riconosciuti da numerosi governi e una realtà sul campo che invece era dominata da istanze molto meno «laiche» di quanto siano gli uomini che parlano alla comunità internazionale in nome dell’opposizione ad Assad.

ISLAMISTI CONTRO – Ora a complicare le cose è arrivato il conflitto interno all’opposizione, che non è affatto tra laici e islamisti, ma che vede più o meno tutti contro l’ISIL o ISIS, lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Dā‘ish in arabo), una formazione estremista che ha goduto di grossi aiuti dall’estero e che con i suoi modi si è alienata il favore popolare e anche quello dei teorici alleati contro Assad. Di laico contro l’ISIL c’è la Free Siryan Army, ma anche quelli del Jaish al-Mujahideen, un gruppo della resistenza sunnita in Iraq, che parlando per altri gruppi di chiara ispirazione islamica ha detto che quelli dell’ISIL hanno dirottato la loro rivoluzione. Anche in Iraq la situazione è andata imbarbarendosi negli ultimi tempi e anche là l’ISIL si è presentato non invitato alla festa provocando grande allarme tra gli iracheni, anche quelli sunniti. E in Siria contro i cattivi c’è anche il Fronte al-Nusra, qaedisti DOC, se la definizione ha mai avuto un senso, e c’è tutto il resto dell’opposizione armata variamente islamica, che dei talebani allo sbaraglio non ne vuole più sapere, al punto da rivolgere contro di loro le armi mentre combattono insieme un nemico mortale quale si è rivelato Assad. Il che dice incidentalmente che è reale anche l’esistenza di una lotta armata per la leadership dell’opposizione e che non è detto che si esaurisca nell’ostilità di tutti contro l’ISIL.

QUANTI FANNO IL TIFO PER ASSAD? – Niente che purtroppo deponga a favore per una soluzione breve e incruenta del conflitto, anche se il tenore delle violenze dovrebbe calare una volta rimossa la causa del turbamento, che in linea di massima dovrebbe avere poche possibilità di rimanere in gioco se permane l’ostilità universale nei suoi confronti. La guerra all’ISIL, anche qualora avvenga con relativo spargimento di sangue o non si risolva con qualche accordo di necessità, non fa che complicare un quadro già degenerato in un bagno di sangue, tanto che di recente l’ONU ha annunciato che smetterà di tenere e fornire il conto delle vittime, un conto che comunque continua a scorrere a decine, se non a centinaia al giorno. L’aumento delle ostilità e il frammentarsi dell’opposizione allontana una soluzione negoziale che i padrini sauditi vedono come il fumo negli occhi e che forse non è ormai nemmeno negli interessi di Assad, che di questi tempi potrebbe anche credere di vedere la luce in fondo al tunnel nel quale l’hanno cacciato gli interventisti, umanitari e no allo sbaraglio. A molti di questi il trionfo di Assad su un paese ridotto a un cumulo di macerie sembra ora persino una conclusione augurabile, a fronte del disastro umanitario in cui si è tradotto il tentativo di rovesciare il regime, ma la maggior parte degli apprendisti stregoni ed esportatori di democrazia ha scelto il silenzio, della Siria si parla poco e meno se ne parla meno si noteranno gli esiti infausti quando e se il paese tornerà a vedere la pace.