Parlare con Elisabetta Sgarbi è un piacere. Prima di tutto perché è una studiosa di straordinaria cultura, e questo lo ha sempre dimostrato con i suoi scritti e i suoi film, questi ultimi opere ibride e concettuali che raccontano l’arte come pochi riescono a fare in questa commistione crossmediale. E poi perché è una donna coraggiosa, come ha dimostrato un anno fa sfidando il nuovo colosso dell’editoria italiana creatosi con la fusione tra Mondadori e Rizzoli. Dopo avere lasciato la direzione editoriale di Bompiani, infatti, ha fondato La Nave di Teseo, casa editrice indipendente a cui si sono trasferiti con entusiasmo molti dei suoi autori, Umberto Eco in testa, poche settimane prima della sua morte. E dopo un anno, come lei stessa ha detto al microfono di Boris Sollazzo, la scommessa si sta rivelando vincente.
Ne La lingua dei furfanti: Romanino in Val Canonica, presente nella sezione Festa Mobile, Elisabetta Sgarbi compone in un unico film il ciclo di affreschi che Romanino realizzò, tra il 1532 e il 1541, a Pisogne, a Breno, a Bienno, in val Camonica. La regista prende sul serio lo scambio di vita e forma che sprigiona l’energia degli affreschi di Romanino: torna tra le case e tra la gente di quei borghi che anche il pittore doveva aver osservato a lungo e, infine, ritratto; li rimette all’opera e li tratta come pittura, per dare nuova vita alla pittura già impetuosa di Romanino.
Cinema d’arte, di storia, ma anche di territorio, una forma preziosa che esalta in unico oggetto molte delle bellezze del nostro paese, a partire dalla sua creatività attraverso i secoli, un elemento che per fortuna non si è mai perso, nonostante i mille e mille cambiamenti e sconvolgimenti che abbiamo visto nel nostro Stivale, fino ai più recenti.