La bufala su Aldo Moro e i servizi segreti che sparano in via Fani

I giornali di oggi sono pieni dell’ennesimo scoop sul caso di Aldo Moro. Secondo le indagini di un ex poliziotto in pensione, Enrico Rossi, lo sparatore che in via Fani esplodeva colpi da una motocicletta (colpendo anche un testimone oculare) non era un elemento delle Brigate Rosse, ma un esponente dei servizi segreti pronto a coprire i terroristi. Un elemento che proverebbe l’esistenza di una longa manus ad armare le Br e getterebbe una luce sulla presunta eterodirezione dei terroristi da parte di pezzi dello Stato, una tesi che ha avuto una grandissima fortuna nella pubblcistica nostrana. Giovanni Pellegrino, avvocato, ex senatore dei Ds, che presiedette a partire dal 1994 la Commissione parlamentare d’inchiesta sulle stragi e sul terrorismo, su Repubblica di oggi parla però apertamente di bufala:

«Sono sincero: questa storia degli 007 sull’Honda in via Fani mi pare una gran bufala».
Cosa glielo fa dire?
«Vede, di quelli che erano sul luogo del delitto i due motociclisti furono di gran lunga i più pasticcioni di tutti, sparacchiarono nel mucchio e per poco non uccisero un cittadino che passava di lì in motorino, l’ingegnere Marini. Raimondo Etro, il militante della colonna romana delle Br, li definì “i due cretini dell’Honda”. Invece i terroristi furono precisi come cowboy nel Far West uccidendo la scorta e non Moro».

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LA BUFALA DI ALDO MORO E I SERVIZI SEGRETI – Racconta Repubblica a proposito delle indagini di Rossi, partendo dalla lettera anonima inviata alla Stampa di Torino:

Vi si legge infatti: «Quando riceverete questa lettera saranno trascorsi almeno sei mesi dalla mia morte come da mie disposizioni. Ho passato la vita nel rimorso di quanto ho fatto e di quanto non ho fatto e cioè raccontare la verità su certi fatti. Ora è tardi, il cancro mi sta divorando e non voglio che mio figlio sappia. La mattina del 16 marzo ero su una moto e operavo alle dipendenze del colonnello Guglielmi, con me alla guida c’era un altro uomo proveniente come me da Torino. Il nostro compito in via Fani era quello di proteggere le Br nella loro azione a disturbi di qualsiasi genere…». La lettera poi continuava spiegando che un giorno il misterioso estensore, entrando in un negozio a Torino si era imbattuto nel complice sconosciuto che guidava l’Honda la mattina del 16 marzo ‘78. «Credo che sia il marito della titolare» suggeriva nella lettera.

L’ispettore Rossi indaga:

Scopre che l’uomo incontrato dall’anonimo nel negozio non è il marito della donna ma semmai l’amante. Lo identifica, trova il suo indirizzo a Cuneo e il permesso per la detenzione di due pistole. Quelle armi diventano il pretesto per una perquisizione che avrà una conclusione sorprendente. «Con i colleghi della Digos di Cuneo — ricorda Rossi — ci presentiamo per un controllo amministrativo. L’uomo non abita lì, si è trasferito a Firenze da una nuova amante ma c’è la moglie. Lui però telefona appena entriamo in casa. E, altro particolare significativo, arrivano subito i carabinieri come se questo signore sapesse a chi rivolgersi in caso di problemi. Mi dice che ha due pistole e mi fa trovare la prima, una Beretta, Sulla seconda tace. La trovo in cantina, è una Drulov cecoslovacca, canna molto lunga per il tiro di precisione. È nascosta sotto la copia cellofanata dell’edizione straordinaria di Repubblica del 17 marzo ‘78. Il titolo è famoso: “Aldo Moro rapito dalle Brigate Rosse”. Chiedo di interrogare quell’uomo ma mi viene negata l’autorizzazione. Insisto perché si indaghi su di lui, perché si metta sotto intercettazione il suo telefono per capire con chi parla. Anche la perizia delle due pistole viene rifiutata. Si crea una situazione imbarazzante in ufficio, diciamo di incomprensione e nell’agosto 2012 a 56 anni vado in pensione…».

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