La crisi del banco dei pegni

Categorie: Economia

Nonostante siano sempre di più le famiglie in difficoltà economiche ed aumentino le richieste presso i monti di credito su pegno presenti in tutta Italia, le banche scelgono per la chiusura o l'accorpamento degli istituti accusando le nuove norme antiriciclaggio ritenendo al contempo come le offerte siano in continua diminuzione

La crisi economica miete un’altra vittima. Parliamo del Banco dei Pegni, conosciuto anche come Monte dei Pegni o Monte di Pietà ed ufficialmente definito Monte di credito su pegno, è un’istituzione che nel corso dei secoli ha aiutato le persone in difficoltà a racimolare i soldi necessari ad estinguere un debito proponendo in cambio prodotti di valore che sarebbero poi stati riscattati pena la loro perdita.



UNA STORIA LUNGA SECOLI – Un sistema arcaico, forse, ma sicuramente efficace, tanto da radicarsi nel cuore e nella mente di clienti ed istituti confermandosi come una delle poche soluzioni per venire incontro alle difficoltà della vita. Eppure, nonostante i numeri parlino di un ritorno di fiamma di questo sistema, legato alle difficoltà di accesso al credito ed alla necessità di ottenere liquidi da parte di molti piegati dalla crisi, si moltiplicano in Italia le chiusure di queste istituzioni. A deciderlo è la proprietà che spesso si trova costretta ad affrontare la rabbia non solo dei normali clienti, ma anche delle istituzioni ed in un caso, per la precisione a Prato, anche della Curia.



COME OTTENERE DEI SOLDI – Il Banco dei Pegni, come spiega il Sole 24 Ore, è un’istituzione radicata nel tessuto sociale italiano tanto che gli istituti sono 40 e sono tutte soggette al controllo della Banca d’Italia. La maggior parte accetta solo oggetti preziosi, ovvero dei beni cosiddetti rifugio, ovvero cose che mantengono un valore inalterato nel tempo. Per ottenere denaro basta andare al banco prescelto con il bene da valutare, un documento d’identità, il codice fiscale. Un perito estimatore allo sportello valuta il bene e dà la cifra corrispondente al bene consegnato. Il finanziamento dura dai tre ai sei mesi, con un tasso d’interesse fisso per la durata del credito. Inoltre si tratta di un sistema aperto anche a coloro che hanno subìto dei protesti dato che non è richiesta alcuna indagine patrimoniale.



LE CONDIZIONI – A fronte del credito viene poi corrisposta una polizza al portatore che consentirà al proprietario di riscattare il bene impegnato al termine del prestito. Le condizioni ovviamente dipendono da banca a banca. Ad esempio Unicredit prevede un’interesse annuo dell’11,5 per cento con il diritto di custodia pari all’1 per cento a trimestre. Alla scadenza del periodo si può rinnovare l’operazione pagando gli interessi in seguito, mentre la custodia è saldata in anticipo. Volendo è possibile anche saldare anticipatamente il debito, però in questo caso si pagano gli interessi del periodo ed una penale dell’1 per cento.  Al termine del periodo il proprietario del bene ha due strade, o estingue il prestito o il prodotto va all’asta. E di questi, solo il 5 per cento dei beni viene effettivamente venduto così.

LA LEGGE DEL 1939 – Come spiega il gruppo Carige l’ammontare dei prestiti equivale ai quattro quinti del valore di stima in caso di oggetti preziosi e dei due terzi in caso di oggetti non preziosi, come definito dalla normativa vigente, ovvero il Regio Decreto 1279 del 25 maggio 1939. Secondo questa legge il pignorante può chiedere una sovvenzione per un importo minore ma non inferiore alla metà di quanto potrebbe ottenere. Il pegno può durare da tre mesi a massimo un’anno. Superato il limite, l’oggetto impegnato resta per altri trenta giorni a disposizione del proprietario. Se questi non salda il debito, sarà la Banca a porre in vendita gli oggetti. Unica garanzia è la polizza di pegno, non destinata alla circolazione, è l’unico documento che certifica lo stato dell’oggetto.

RICHIESTE IN CRESCITA – L’inkiesta ci ricorda anche che nei tempi pre-crisi il Monte di Pietà poteva essere considerato una specie di cassetta di sicurezza. Il bene veniva impegnato e quindi custodito mentre con la liquidità si comprava altra merce, e via così. Solo che i tempi sono cambiati ed ora è la necessità a spingere le persone ad impegnarsi di tutto. A Milano ci sono due istituti, uno di Unicredit, in Via Padova, ed uno di Banca Ubi, in Viale Certosa 97, diretta emanazione di quello fondato da Ludovico il Moro nel 1483. I numeri sono impietosi. Nel 2010 le operazioni giornaliere prodotte in Lombardia erano mediamente 350. Nel 2011 e nel 2012 invece hanno superato le 400 richieste. I prestiti erogati nel 2012 ammontavano a 32.814.799 euro, molto più di quanto non venne fatto quattro anni prima, quando si arrivò a quota 23.270.977.

LA DIFFERENZA CON I COMPRO-ORO – Solo che è impossibile definire quante siano le persone che ogni anno si affidano al Monte di Pietà. Il Messaggero ci spiega che l’ultimo report curato dalla Banca d’Italia sul fenomeno del Banco dei Pegni risale al 2009 e già all’epoca si parlava di una cifra annua nazionale di circa 320 milioni di euro. Mensilmente invece si parla di 30.000 operazioni. Solo che non è possibile definirne con certezza il numero perché, come spiega Unicredit, essendo prestiti al portatore non dispongono di numeri ed elenchi, anche perché spesso il titolare viene cambiato. In ogni caso le banche coinvolte tendono a rimarcare la differenza con i compro-oro, dove spesso il bene non viene riscattato.

L’antico Monte di Pietà di Firenze (Photocredit Wikipedia)

LA CURIA DIFENDE IL MONTE DEI PEGNI DI PRATO – Come spiega Il Tirreno l’alternativa al Monte di Pietà è proprio il Compro Oro, dove, secondo i frequentatori della struttura di Prato, in caso di chiusura toccherà affidarsi a strutture spesso oscure dove operano anche usurai che propongono tassi ben al di sopra di quelli offerti dalle banche. Perché, e la cosa pare davvero incredibile se rapportata alle necessità crescenti della popolazione italiana fiaccata dalla crisi, i compro oro stanno chiudendo su decisione delle stesse banche. Si, ad esempio il Compro Oro di Prato era uno di quelli che doveva essere chiuso su decisione della Banca popolare di Vicenza, proprietaria dell’istituto. Ed è stato l’interessamento tra gli altri del vescovo della città toscana, Franco Agostinelli, a salvare l’istituzione.

COLPA DELLE NORME ANTI-RICICLAGGIO? – Agostinelli, ripreso dal Tirreno, aveva dichiarato: «Il Monte dei pegni ha una valenza sociale che, in questi tempi di crisi acuta, merita di essere preservata anche a costo di sopportare alcuni oneri economici». Gianni Zonin ringrazia l’ecclesiastico: «le parole del vescovo mi hanno toccato sul piano personale e sono soddisfatto della decisione di non chiudere più: riconosco che mantenere aperto il Monte dei pegni è un gesto concreto verso le famiglie più bisognose». A Prato sono attivbate 700 polizze per un totale di 690.000 euro. La decisione di chiudere l’stituto venne presa quest’estate, e più precisamente il primo luglio. Ma perché chiudere il Monte di Pietà? Semplice, come spiega La Nazione, secondo il banco popolare di Vicenza la colpa è della legge, troppo antica, oltre all’effetto delle nuove norme anti-riciclaggio.

LA RAZIONALIZZAZIONE IN FRIULI – Infine, come detto, il numero esiguo di prestiti non comunicato per via della privacy. Ma come abbiamo visto, parliamo di 700 polizze. Quanto avvenuto a Prato non rappresenta purtroppo una novità. Una decisione simile è stata presa ad Udine. Come spiega il Messaggero Veneto, il monte dei pegni della città friulana è svanito nel nulla il primo ottobre scorso nell’ottica di una razionalizzazione dei servizi. A deciderlo la Cassa di risparmio del Friuli Venezia Giulia, gruppo Intesa San Paolo. Il Monte dei Pegni di Udine verrà accorpato a quello di Venezia, con l’obiettivo di fornire un migliore servizio alla clientela. maggiore professionalità e un migliore servizio alla clientela.

CI SONO ALTRI PRODOTTI – Situazione simile a Pistoia. Come spiega La Nazione, l Monte dei pegni di Cassa di risparmio di Pistoia e Lucchesia viene spostato a Firenze. Del resto la Cassa fa parte del gruppo Intesa Sanpaolo ed anche in questo caso si è deciso per la razionalizzazione. Una cosa del genere è accaduta anche ad Ascoli dove la Banca dell’Adriatico ha deciso per la chiusura del locale Monte di Pietà. La giustificazione? La stessa di Prato, ma proposta in modo più articolato: «il servizio verrà gradualmente a cessare perché il credito su pegno si è ridimensionato come numero delle operazioni e entità delle somme erogate, assumendo un ruolo marginale rispetto alle attuali esigenze di famiglie, professionisti e piccoli operatori economici. Alla clientela sarà garantita la gestione delle operazioni in corso attraverso il mantenimento di un presidio operativo per riscatti, aste e gestione delle polizze».

UN SERVIZIO SOCIALE – Quindi vuol dire che la stessa banca sceglierà di proporre altri servizi che non prevedano il pegno ma magari si parlerà di prestiti, finanziamenti o consimili perché non esiste quasi più richiesta. Una lettura che però stride con quella che è la realtà. Come abbiamo visto in Lombardia le richieste sono aumentate così come sono forti le lamentele delle piccole comunità private di un’istituzione centenaria. A Prato il vescovo parlava anche di una forma di tutela nei confronti dei vari Compro Oro, che non prevedono il riscatto dei beni venduti. Ma a quanto pare sembra che orma il Monte dei Pegni sia destinato a scomparire, come nel caso di quello di La Spezia. I sindacati, ripresi dal Secolo XIX, non ci stanno ed attaccano a testa bassa.

UNA QUESTIONE DI CONVENIENZA? – «Come sindacati non possiamo che contestare e stigmatizzare la scelta dell’azienda, dal forte impatto storico e sociale -hanno spiegato i sindacati- storico perché andava avanti da 171 anni, sociale perché viene meno un servizio utile soprattutto per le persone più disagiate. Con la crisi economica che imperversa e la disoccupazione che avanza, non si poteva scegliere momento peggiore per decidere di abbassare la saracinesca all’unico Monte Pegni della provincia». Che si tratti di un’offensiva contro il Monte dei Pegni? Non può dirlo nessuno, ma certo suona singolare che le banche taglino un servizio utile per la comunità specie quando, per dirla usando le parole di una signora di 73 anni intervistata a Prato, «mancano le garanzie per un prestito». Spesso le persone impegnano oggetti dall’inestimabile valore affettivo anche perché sanno che prima o poi ne torneranno in possesso. Ora o rinunciano o vendono al Compro Oro. O più probabilmente non è più un prodotto interessante per le banche. Allora questo è un altro discorso. (Photocredit Lapresse / Wikipedia)