La DDR, un covo di nazisti

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L'apparato della Germania dell'Est era molto accogliente per chi aveva militato per Adolf Hitler. L'antifascismo era uno dei miti fondativi della Repubblica democratica tedesca. La coltre di silenzio sul passato nazionalsocialista di molti esponenti del regime comunista evitava imbarazzi

La DDR era un posto molto accogliente per i nazisti. Nell’apparativo burocratico della Germania comunista, così come all’interno della Sed, il partito socialista unificato che governava il satellite di Mosca, gli ex membri della formazione di Hitler erano molto numerosi. Anche i peggiori criminali responsabili di centinaia di morti venivano coperti, e ricattati dai servizi segreti della Stasi così da ottenere fedeltà assoluta.



IL LATO FASCISTA DELLA DDR – L’elaborazione del trauma nazista occupa ancora oggi la Germania. Anche nel dibattito sull’eurocrisi alcuni esponenti di spicco dell’establishment tedesco hanno fatto riferimento al tragico passato hitleriano sia per criticare la politica della Merkel, oppure per difenderla, come hanno fatto Helmut Schmidt e Thilo Sarrazin. La presenza degli ex nazisti all’interno dei due nuovi stati tedeschi fondati dopo il 1945 rivela continuamente nuove sorprese. Secondo le ultime ricerche condotte dallo storico dell’università di Monaco di Baviera Jan Foitzik ben il ventisette per cento dei componenti della Sed erano stati iscritti al partito nazionalsocialista, oppure erano membri di organizzazioni legate al movimento hitleriano. Già nel 1946, evidenziano i nuovi studi di Foitzik, il partito socialista che regnava nella parte orientale della Germania occupata aveva accolto gli ormai ex nemici giurati del comunismo. La Sed fu il primo partito tedesco ad accettare tra le proprie fila esponenti nazisti. Un anno più tardi il ministro degli Affari interni della DDR rilasciò un provvedimento che garantiva l’uguaglianza giuridica e di trattamento agli ex iscritti del partito nazionalsocialista. Un’opportunità colta dagli ex hitleriani, che qualche anno dopo, neel 1954, rappresentavano circa un terzo dei dipendenti della macchina burocratica del regime comunista. Un dato sorpredente, che rivela quanto fosse tollerata la militanza nazista anche in uno stato collegato all’Unione Sovietica.



ELABORAZIONE CONTINUA – L’antifascismo era uno dei miti fondativi della Repubblica democratica tedesca, la traduzione in italiana di DDR, deutsche demokratiche Republik, e questo valore costituì uno degli elementi centrali della propaganda comunista. Sulla militanza nazista di molti esponenti del regime cadde una coltre di silenzio, per non mettere in imbarazzo anche figure di vertice schieratesi con Stalin dopo l’arrivo delle truppe sovietiche. Tra le elite comuniste tedesche infatti il passato nazista era piuttosto diffuso, come ha evidenziato un’altra ricerca storica condotta dall’Università di Jena. 36 dei 263 massimi dirigenti della DDR nella regione della Turingia avevano avuto prima dell’arrivo delle truppe sovietiche una tessera del partito nazionalsocialista. Una percentuale del 13,6%, nettamente superiore alla quota di popolazione iscritta alla formazione nazista ai tempi del regime hitleriano. Negli studi condotti dall’università di Jena è emerso un fatto ancora più sorprendente, ovvero che 35 dei 36 di questi dirigenti comunisti avevano taciuto anche ai loro compagni della Sed sul loro passato nazista. Il principio del silenzio collettivo fu adottato dalle elite del regime, anche perché tacere conveniva a tutti. Il silenzio sul proprio passato era funzionale alle prospettive di carriera, come mostrano le carriere assai diverse di Herbert Wagner e Hans Bentzien, i cui profili sono stati oggetto della ricerca storica. Il primo rivelò nel 1958 la sua militanza nel partito nazionalsocialista, una sincerità che gli costò un declassamento della propria carriera. Il secondo invece scelse un più comune silenzio sul proprio passato tra le camicie marroni, e riuscì ad arrivare a posti di assoluto rilievo nella DDR. Hans Bentzien infatti diventò ministro della cultura, carica da cui fu rimosso nel 1966 per alcuni decisioni che avevano contrarariato i massimi vertici del regime. L’ex ministro però mai rivelò, anche nei colloqui più confidenziali, il fatto che avesse avuto una tessera nazista in tasca, e riuscì a riciclarsi in altri incarichi di spicco. Prima del crollo del regime l’ex hitleriano era il responsabile della televisione della DDR. Diffamare i propri concorrenti mentendo sulla loro militanza nelle camicie brune era però un ottimo modo per far carriera, come mostra la vicenda di Heinrich Tittl. Dirigente della Stasi, Tittl era stato promosso accusanso alcuni sui compagni di passata militanza nazista, ed ovviamente aveva taciuto sulla sua.



IL SILENZIO PAGAVA – La coltre di silenzio sul passato nazionalsocialista di molti esponenti del regime comunista era dunque un doppio interesse. Chi avva militato nelle formazioni del movimento hitleriano non doveva rivelare la sua provenienza politica per non mettere a repentaglio la propria carriera. Il regime comunista invece evitava imbarazzi, e poteva ricattare le persone per i suoi scopi quando ne scopriva il passato “marrone”. L’iscrizione al partito nazista dei funzionari della DDR era elevata, ma ancora maggiore era la percentuale di chi aveva militato in associazioni, corpi militari oppure formazioni vicine al nazionalsocialismo. Tra il 1945 e il 1951 metà dei dirigenti della Sed proveniva dalla resistenza contro Hitler, però più di un quarto dei “compagni” aveva fatto parte del movimento nazista. Ma pochi anni dopo le proporzioni si erano già ribaltate, tanto che chi aveva militato nel partito nazionalsocialista, nelle SA, oppure nella gioventù hitleriana superava, e di molto, i membri della resistenza al regime. Secondo uno degli storici che ha curato questa ricerca, Heinrich Best, la gerarchia all’interno della Sed era dominata dalla fedeltà al leader locale, e la ripulitura del passato era essenziale nel controllo di un partito che perdonava, ma non dimentica, un’antica militanza nemica. A chi era permesso di far carriera nonostante il suo “passato sporco” garantiva fedeltà assoluta all’apparato, uno dei tanti metodi del regime per aumentare il proprio controllo sulla società tedesca.

SS COMUNISTE – Helmut Bärwald era un membro delle SS, il corpo militare nazista colpevole di numerosi eccidi. Bärwald era una delle guardie del campo di concentramento di Sachsenhausen, e per i suoi crimini legati allo sterminio di ebrei ed avversari del nazismo è stato ricercato per anni dalla magistratura tedesca. Mentre all’Ovest i giudici gli davano la caccia, la Germania dell’Est copriva Helmut Bärwald così come altre centinaia di criminali nazisti. La Stasi sapeva del suo passato da SS sin dagli anni sessanta. Il suo nome figurava tra i faldoni dei servizi segreti della DDR dedicati ai criminali in camicia bruna. Bärwald era ricercato da magistratura tedesca e servizi americani insieme ad un’altra guardia del campo di Sachsenhausen, Hans Donner. Donner però morì relativamente giovane, nel 1973, dopo aver passato gli ultimi decenni della sua vita proprio nella Stasi. La polizia segreta l’aveva ricattato, proponendogli un condono del suo passato nazista in cambio dei suoi servizi da spia. Una strategia mirata e ripetuta centinaia se non migliaia di volte. Avere un passato nazista era un’onta nella Repubblica democratica tedesca, che sbandierava l’antifascismo come suo valore fondamentale. In realtà però gli ex nazisti costituitavano una riserva fondamentale per i servizi segreti comunisti, perché queste persone erano disposte a tutte pur di mantenere nascosto il loro passato hitleriano. Helmut Bärwald faceva parte di questo esercito nell’ombra, ed è riuscito a vivere un’esistenza tranquilla fino alla caduta del regime. Solo dopo l’apertura degli archivi della Stasi le autorità tedesche hanno scoperto come la Stati coprisse queste persone, spesso sviando le indagini della Repubblica federale, poi accusata pubblicamente di non perseguire i criminali nazisti. Erich Gust ad esempio era stato un membro delle SS responsabile del campo di concentramento di Buchenwald. Ricercato anche dalla commissione internazionale contro i delitti nazisti dell’Onu, Gust si era rifatto una vita diventando proprietario di un ristorante in Bassa Sassonia. L’ex SS viveva sotto falsa identità, ma la Stasi era riuscito a scoprilo sin dagli anni sessanta, instaurando un rapporto di collaborazione con lui. I servizi segreti invece che denunciarlo volevano utilizzarlo per ricattare gli uomini politici occidentali, anche se il piano fallì. La vera identità di Gust fu scoperta solo dopo la fine del comunismo, ma la morte colse il criminale di Buchenwald prima che la magistratura potesse aprire un’indagine su di lui.

NESSUNO SCRUPOLO – Le linee direttive di reclutamento di ex nazisti erano stato rilasciate dalla Stasi già nel 1952, e l’anno dopo era stato ordinato di creare un sistema di rilevamento di tutti gli “elementi” nemici che avevano militato nella Gestapo, nella SS o in altre organizzazioni condannate dalla DDR come criminali. Il regime comunista si vantava di aver condanato molti più nazisti rispetto alla Repubblica di Bonn, ma i numeri erano falsificati, perché i processi erano in realtà semplici operazioni di smascheramento. Un’iniziativa che serviva proprio per rafforzare il reclutamento degli ex nazisti, tanto che negli archivi della Stasi si è scoperto che in una sua singola cellula, responsabile di un quartiere di Lipsia, erano presenti ben otto nazisti che avevano lavorato nei servizi segreti hitleriani. L’assenza di scrupoli era totale, come mostra la vicenda di Paul Reckzeh. Medico iscritto al partito nazista già nel 1933, aveva rivelato alla Gestapo il nome di alcuni resistenti anti Hitler, che furono giustiziati poco prima che le truppe sovietiche conquistassero Berlino. Reclutato probabilmente dal Kgb, l’uomo prese residenza a Berlino Ovest, ma tornò nella parte orientale per la scoperta del suo passato nazista. La Stasi lo contattò, ed iniziò una collaborazione. Il dottor Reckzeh visitiva regolarmente le spie del regime, assicurando loro perfetta funzionalità. Dopo una decade trascorsa nell’ombra, il comitato anti fascista della DDR lo scoprì, chiedendo al regime di porre fine alla sua collaborazione. La Stasi e la Sed si attivarono immediatamente, ma per porre fine alle proteste. Chi era utile al regime, anche se aveva indosssato la camicia bruna, non doveva essere disturbato.

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