La donna costretta ad abortire al nono mese di gravidanza
07/01/2014 di Dario Ferri
Quattro donne appartenenti alla minoranza musulmana degli uiguri, nella travagliata regione dello Xinjiang, nella Cina nord occidentale, sono state costrette dalle autorità locali ad abortire per aver violato la legge che impone un limite al numero di figli. A raccontarlo è l’agenzia no profit Radio Free Asia, un ente giornalistico americano, destinatario di riconoscimenti internazionali, ma talvolta accusato di non descrivere al meglio la realtà nei paesi di attività. Una delle donne in attesa sarebbe stata costretta all’aborto addirittura al nono mese di gravidanza. Precisamente, a quanto si apprende, il suo bambino è nato vivo, ma è morto poco dopo a causa del travaglio indotto prima del termine con dei medicinali.
LE SENTENZE DI MORTE – La sentenza di morte (che riguarda complessicamente sei donne), stando a quanto riporta Radio Free Asia, sarebbe stata emessa nel mese di dicembre, nella provincia di Hotan, nella regione dello Xinjiang, patria di 10 milioni di musulmani uiguri che dicono di aver sofferto per decenni discriminazioni etnica e controlli oppressivi da parte delle autorità di Pechino. Gli uiguri, come minoranza, non sono sottoposti alla politica del figlio unico e viene loro consentito di avere tre figli se vivono in campagna, due se vivono in città. Ma la donna costretta all’aborto al nono mese era già madre di tre figlie e attendeva la nascista di un maschietto. Alle autorità la coppia si era mostrata disponibile al pagamento di una multa tra i 50mila e i 100mila yuan (ovvero tra i 6mila e i 14mila euro) ed era figgita dalla propria citta, Arish, per rifugiarsi a casa dei genitori di lui, dove sono stati poi ritrovati dalla polizia, e dove gli agenti hanno prelevato la donna per poi trasportarla in ospedale.
LE LACRIME – Stando a quanto riportato da Radio Free Asia, al momento della nascita il bambino piangeva e il papà si trovava in una stanza vicina. Sentite le grida del figlio, l’uomo si sarebbe poi catapultato nella sala parto per afferrarlo e portarlo in un vicino ospedale nel disperato tentativo di salvarlo, senza tuttavia riuscire a fermare gli effetti del farmaco abortivo già somministrato. «Mio figlio è morto un’ora dopo la nascita», ha raccontato Memettursun Kawal. Un altro simile caso si è verificato nella città di Hotan, dove i funzionari per la pianificazione familiari nei giorni scorsi ha scovato una donna al quarto mese di gravidanza. Lei, Rozihan Memet, è stata condotta all’ospedale Nurluq per l’aborto forzato. Lui, Metkurban, è stato trattenuto per 24 ore dalla polizia.
LA DISCRIMINAZIONE – Non si tratta del primo caso che alimenta le tensioni tra Pechino e comunità degli uiguri. Lo Xingjiang è finito da mesi al centro di scontri tra polizia cinese e minoranza musulmana, molte volte considerata perfino terrorista. Alla fine dello scorso anno, il governo ha allentato la politica del figlio unico, consentendo anche alle coppie composte da marito e moglie entrambi figli unici di avere più di un figlio.
ALTRE NEWS CHOC – Di recente, inoltre, si sono già diffuse notizie choc relative ai bambini e agli aborti in Cina. La stampa di mezzo mondo, ad esempio, ha dato notizia di una donna della provincia cinese dello Yunnan forzata, anni addietro, ad abortire all’ottavo mese di gravidanza. Un’altra mamma, nello stato di Shaanxi, sembra essere stata costretta invece ad un aborto dopo una gravidanza di sette mesi. Infine, si è diffusa la fotografia di un bambino abbandonato in un fiume.
(Fonte foto: Asianews.it / Rfa.org)