La lettera di Laura Boldrini al Corriere sui bulli del web

Laura Boldrini scrive un’altra lettera, stavolta al Corriere della Sera, nella quale prendendo spunto dalla storia di Cittadella e da quella di Carolina Picchio a Novara, torna a prendere posizione contro il cyberbullismo:

Sui quotidiani di ieri, tra i molti titoli, risaltava una notizia di quelle che danno un grande dolore. In provincia di Padova una ragazza di 14 anni — che aveva scelto il nickname di Amnesia — si è uccisa dopo la serie di insulti che aveva ricevuto su un social network molto frequentato da giovanissimi. Da madre di una ragazza che è appena fuori dall’adolescenza, mi ha colto la stessa angoscia di quando, un anno fa, l’Italia parlò per qualche giorno di Carolina. Un’altra ragazzina, quella volta a Novara, della quale alcuni suoi coetanei avevano abusato, postando poi in rete due video che la ritraevano ubriaca. Anche allora una raffica di commenti sprezzanti, volgari, insultanti, feroci, troppo pesanti da sopportare a 14 anni. E anche lì la via d’uscita fu un salto nel vuoto. Qualche settimana dopo sua madre trovò la forza per venire alla Camera e parlarci del suo dolore: «Lo faccio perché voglio evitare che ad altri ragazzi possa accadere la stessa cosa». «Ask», chiedi, si chiama il social che molti nostri figli frequentano. E allora voglio farla anch’io qualche domanda, ma a noi adulti. Vogliamo provare, anche solo per un minuto, ad immedesimarci nella situazione psicologica che possono vivere questi nostri ragazzi e ragazze — magari i più fragili — quando si trovano ad essere oggetto di scherno in rete? Abbiamo idea di quale tempesta di odio si scateni, e di come sia duro reggerne l’urto? Il cyberbullismo — dice una recente ricerca condotta da Ipsos per Save the Children — è il pericolo che spaventa di più gli adolescenti italiani. Il 72 per cento degli interpellati lo considera la principale minaccia alla propria vita, più della droga o delle molestie da parte degli adulti. E allora arrivo alla domanda che più mi sta a cuore: possiamo continuare a cavarcela con la commozione di un giorno, e poi dimenticarcene? La rete ha uno straordinario valore di emancipazione, di crescita culturale, di comunicazione. E so bene che l’anonimato sul web rappresenta — nei Paesi schiacciati da regimi dittatoriali — un riparo prezioso per coloro che si battono in difesa dei diritti umani. Ma chiedere un uso responsabile della rete, rispettoso anche dei giovani e dei giovanissimi che la frequentano, non ha nulla a che vedere con la «voglia di bavaglio», che mi troverà sempre contraria. Significa invece sentire la richiesta d’aiuto che viene dai nostri ragazzi, senza voltar loro le spalle. Le risposte non sono facili, e vanno cercate ascoltando i gestori dei social media, i blogger, l’Autorità che tutela la privacy, e coinvolgendo il mondo della scuola e le famiglie. Ma, per complesse che siano queste risposte, non possiamo più tardare nell’individuarle. C’è un lavoro di proposta e di raccordo al quale le istituzioni non possono sottrarsi. Non è un’invasione di campo, è un’assunzione di responsabilità. È una strada lunga, come lungo è ogni percorso culturale: dobbiamo imparare a maneggiare con la cura dovuta i nuovi strumenti. Ma è ora di muoverci, prima che qualche altra ragazza ce lo chieda. Come ce lo hanno chiesto Carolina e Amnesia.

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