La lunga storia della moschea di Milano

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La costruzione del luogo di culto destinato ai musulmani di Milano avverrà probabilmente grazie al sostegno di Marocco e Giordania. Palazzo Marino vorrebbe una soluzione che accomuni l'associazionismo voltando per questo le spalle al Caim, gruppo che aveva proposto un progetto sulle ceneri del Palasharp ma che è stato osteggiato dalle altre sigle cittadine

Nelle ultime settimane la città di Milano ha iniziato a guardare con estrema preoccupazione a quello che dovrebbe essere l’iter che porterà alla costruzione di una moschea per Expo 2015. Una volta assodato che non sarà possibile realizzare uno spazio definitivo entro la manifestazione a causa della ristrettezza dei tempi, resta il nodo su chi e con quali modalità dovrà provvedere alla nascita del luogo di culto.



Palazzo Marino

A MILANO UNA MOSCHEA SERVE – Sgombriamo subito il campo da qualsiasi equivoco. La città ha bisogno di una moschea nella quale accogliere i fedeli musulmani oggi dispersi nei vari scantinati della città. Serve un posto alla luce del sole dove possa essere tramandata la dottrina senza creare discriminazioni tra i fedeli, liberi di praticare il loro credo senza dover necessariamente trovare luoghi di fortuna. E questo la città di Milano lo sa bene. L’argomento rappresentò uno dei punti più importanti della campagna elettorale del 2011 e fu proprio Giuliano Pisapia a spingere affinché il capoluogo lombardo disponesse di un luogo di culto destinato ai musulmani in quanto, come ricorda L’Occidentale, «la città deve saper offrire una soluzione che sappia durare nel tempo».

LA CAMPAGNA ELETTORALE DEL 2011 – L’allora vicesindaco della città, Riccardo De Corato, aveva chiuso invece la porta a qualsiasi soluzione in tal senso: «finché non ci sarà una normativa nazionale che disciplini i luoghi di culto islamici non ci sarà alcuna moschea». Le elezioni poi vennero vinte dall’esponente di centrosinistra e s’iniziò quindi a parlare di un luogo di culto ufficiale che andasse a sostituire quella che era stata la soluzione all’epoca provvisoria, ovvero quella dello spiazzo antistante il Palasharp. Ma qui nacquero i primi problemi. Lo scorso anno parlammo della scoperta, da parte di alcuni sostenitori della Lega Nord di un’erigenda moschea in via Maderna 15, zona Mecenate, da parte del gruppo turco Millî Görüş, fondato nel 1969 da Necmettin Erbakan, futuro primo ministro di Ankara ed ispirato all’idea di un islam politico da difendere di fronte al declino imposto dalla secolarizzazione occidentale.



Musulmani in preghiera alla moschea di Roma

I LAVORI DI VIA MADERNA – Il punto della questione non riguardava però le caratteristiche di Millî Görüş, associazione le cui basi sono in Germania e che raccoglie adepti anche in Francia, Paesi Bassi, Austria ed altri paesi per un totale di 500.000 seguaci. Non riguarda neanche il finanziamento esterno per la costruzione. No. Il tema importante in questo caso era relativo al fatto che l’autorizzazione alla costruzione di una moschea non venne dato da nessuno. Si parlò in quel caso di una semplice ristrutturazione. L’allora vicesindaco della città, Maria Grazia Guida, disse che non venne autorizzato alcun luogo di preghiera ed escluse la possibilità del cambio di destinazione d’uso dell’area. I lavori vennero bloccati e la storia si concluse piuttosto rapidamente, lasciando però degli strascichi pesanti.

IL RISPETTO DELLA LEGGE – I fedeli coinvolti nella realizzazione della moschea di Via Maderna avevano espresso il loro desiderio di poter ottenere un luogo di preghiera che non fosse uno scantinato. Stessa esigenza espressa da Abdel Hamid Shaari, presidente del centro culturale islamico di viale Jenner, che aveva approvato i lavori di via Maderna. Il Comune, comprendendo le ragioni delle persone interessate, ha però ricordato la necessità del rispetto delle leggi e s’impegnò contestualmente a concludere il proprio lavoro per la stesura dell’albo delle confessioni religiose. Un anno dopo la situazione è diventata ancora più complessa a causa dell’esistenza di numerose associazioni interessate alla costruzione di un luogo di preghiera, con il Comune attento a non commettere passi falsi.



IL PROGETTO CAIM – In questi ultimi mesi ha colpito in città l’attività del Caim, letteralmente «Coordinamento delle associazioni islamiche di Milano, Monza e Brianza» che il 18 aprile, secondo Repubblica.it, presenterà a Palazzo Marino un progetto per la rivalutazione dell’area del Palasharp per un valore di 10 milioni di euro. Il progetto prevede la realizzazione di un’area di quattromila metri quadri con ampie zone verdi e divisa in due: da un lato la zona della preghiera con tappeti, vaschette per le abluzioni, scarpiere e lampadari tipici a gocce di cristallo, dall’altro un’area aperta al pubblico anche fuori dagli orari di preghiera, con biblioteca, teatro, sala conferenze, zona bar ristorante ed un cortile concepito per favorire la meditazione.

MOSCHEA SI, PREGO – Ma. Il progetto prevede la presenza di cupole e minareto, ma non è detto che venga accordato. Il coordinatore del Caim, Davide Piccardo, sa che potrebbero esserci problemi e che per questo stanno trattando con l’amministrazione sui dettagli e sulle linee generali, anche se «Per dirsi tale, una moschea deve avere gli aspetti architettonici tipici, cioè la cupola e il minareto». Per rafforzare quello che è ritenuto un diritto, continua il Redattore Sociale, lo stesso Caim ha dato vita ad una campagna di comunicazione dal titolo #moscheasiprego. Yassine Baradai, coordinatore della campagna, ha spiegato che l’intenzione è quella di sollecitare il vicesindaco attuale, Ada Lucia De Cesaris, per rompere il muro creato alla politica. Insomma, l’obiettivo della campagna è quello di rivolgersi direttamente al Comune.

Giuliano Pisapia

IL NO DEL COMUNE AL CAIM – Comune che però prende tempo. Palazzo Marino, per bocca della De Cesaris, ha specificato in maniera chiara quello che il suo obiettivo. Ovvero quello di avviare un

percorso che vuole e deve coinvolgere tutte le associazioni islamiche presenti sul territorio. Un percorso che ha al centro l’individuazione di uno o più luoghi di preghiera che rispondano alle esigenze della comunità islamica e siano in grado di dare la giusta accoglienza a tutti coloro che visiteranno Milano in occasione di Expo. Un percorso che ripeto deve tener conto di tutte le istanze, che non sono solo quelle espresse dal Caim

Chiaro e semplice. Ma per essere ancora più precisi c’è un’altra frase, sempre del vicesindaco, ripresa da Tempi, che rivolgendosi direttamente al Caim ha detto:

«se insiste nel voler perseguire una strada autonoma non potranno essere messe a disposizione aree pubbliche»

Le parole della De Cesaris suonano ancora più chiare se confrontate con quanto detto da Repubblica. Fra i dirigenti del Caim ci sono diversi giovani islamici candidati alle elezioni in varie liste di centrosinistra o collaboratori del Comune come la portavoce Rassmea Salah, la scrittrice Sumaya Abdel Quader e l’avvocato civilista Reas Syed.

IL PARERE DELLE ALTRE ASSOCIAZIONI – Inoltre la posizione del Comune di Milano ha trovato l’appoggio di altre associazioni islamiche lontane dal Caim per questioni politiche. Nonostante il coordinatore Davide Piccardo abbia escluso qualsiasi coinvolgimento su fatti extrareligiosi

Il Caim non ha mai preso posizione su temi di politica internazionale. Mai.

sono in molti a vedere nella loro azione una certa vicinanza con i Fratelli Musulmani. Yahya Pallavicini, presidente della Coreis, comunità dell’Islam italiano dalla forte componente Sufi, ha detto in maniera chiara che

Il Caim rappresenta soltanto se stesso, non ha nulla da dire alla comunità islamica milanese. Non si tratta di fare la voce grossa per ottenere un degno luogo di preghiera. Cerchiamo di avere una visione dell’islam armoniosamente integrato nella visione della Milano di oggi

Per questo la Pallavicini pensa ad un adeguamento di spazi esistenti. Asfa Mahmoud, portavoce della Casa della Cultura islamica di Via Padova 144, non ha aderito a sua volta alla proposta del Caim in quanto nel coordinamento è presente la moschea di Cascina Gobba, con la quale c’è una disputa legale ed economica da anni:

«Non facciamo parte del Caim, non siamo nemmeno stati avvisati della campagna pubblicitaria. Noi siamo in buoni rapporti con la giunta di Giuliano Pisapia, ma il Comune deve scegliere se vuole parlare con noi o con altri interlocutori. Io da dieci anni lotto per convincere il Comune a dire chiaramente quale strada prendere. Servirebbe una consulta cittadina per ascoltare tutte le voci. Siamo rimasti delusi da tutte le amministrazioni precedenti, che non ci hanno mai dato veramente ascolto. Ma anche oggi c’è molto da fare per risolvere i problemi aperti»

CAIM AFFILIATO AI FRATELLI MUSULMANI? – Segno che il problema è ben più complesso di quanto non si possa credere. Yallaitalia, blog curato da ragazzi italiani di seconda generazione araba, ha affrontato la storia del Caim manifestando vicinanze con i Fratelli Musulmani spiegando che il responsabile delle relazioni interne del gruppo è il fondatore del Comitato libertà e democrazia per l’Egitto. Ma questo può anche non significare nulla. Del resto il Caim è a favore della protesta contro il colpo di stato militare che ha portato alla destituzione dell’ormai ex Presidente Mohamed Morsi. L’intellettuale dissidente aggiunge che il direttivo Caim è apparso in varie manifestazioni a sostegno di Morsi. Certo, ognuno ha la libertà di esprimere il proprio pensiero ma, viene fatto notare, quando si ricopre una carica importante in un panorama frammentato come quello delle comunità islamiche milanesi, forse è meglio evitare tale esposizione.

CHI FINANZIA IL PROGETTO? – Peraltro, sempre a proposito di Caim, il progetto da 10 milioni di euro dovrebbe vivere grazie al sostegno di 100.000 donatori. Ma, come riportato da Repubblica lo scorso 29 gennaio, Piccardo aveva dichiarato che

Ci muoviamo alla luce del sole, il contribuente italiano non spenderà un centesimo. Abbiamo indicato al Comune quali sono gli imprenditori italiani e le fondazioni straniere del Golfo Persico che metteranno a disposizione i finanziamenti necessari

E qui entra in gioco un altro fattore fondamentale, ovvero quello dei finanziamenti esterni da parte di fondazioni straniere del Golfo Persico. Un’affermazione contraddetta sempre da Piccardo e ripresa ancora da Repubblica lo scorso primo aprile:

Noi siamo aperti al dialogo, pronti a discutere col Comune il progetto presentato, sul quale non pensiamo sia giusto avere ingerenze straniere, visto che noi siamo cittadini italiani

LA MOSCHEA SARÀ DI TUTTI – E qui entra in gioco un nuovo attore. Anzi, due nuovi attori visto che si parla di Giordania e Marocco. Ma prima di affrontare la questione è giusto riprendere le parole di Andrea Fanzago, consigliere comunale di Milano, ripreso da Affaritaliani, che ha confermato la nascita di una moschea o di un centro culturale in città entro il 2015 negando che in futuro il Caim possa avere una moschea:

Si è voluto alzare dal tavolo delle trattative, quindi se parliamo di una moschea per il Caim, la risposta dell’amministrazione è no. Non rappresenta tutte le realtà islamiche di Milano

Musulmani in preghiera al Palasharp

IL BANDO DEL COMUNE – Benaissa Bounegab, direttore della Casa della cultura islamica, ha dichiarato che i soldi per l’erigenda moschea arriveranno da una monarchia. E qui entrano in gioco Giordania e Marocco. Il Comune di Milano il primo aprile ha pubblicato un bando relativo alla partenza delle consultazioni con le comunità e le associazioni musulmane con l’obiettivo di pianificare un centro di cultura islamica senza costi per Palazzo Marino, che dal canto suo identifica alcuni capisaldi da rispettare:

Il diritto di culto va garantito, gli interventi non devono prevedere l’impiego di risorse del Comune, vanno ipotizzate soluzioni presenti anche in aree private e va sollecitata la massima unità all’interno di un mondo, quello islamico per l’appunto, che spesso si è presentato diviso e frammentato.

L’obiettivo è chiaro. Si vuole dare un luogo di culto ai musulmani ma senza favorire nessuno. La comunità dev’essere unita e non si devono accettare divisioni politiche o culturali che possano scalfire l’unione d’intenti.

CI SONO ANCHE MAROCCHINI, BENGALESI E SENEGALESI – Come riporta Tempi, la situazione attuale è piuttosto confusa. Il Caim non ha mai spiegato quali saranno i paesi finanziatori, non ha ancora presentato un progetto e non ha indicato chi gestirebbe la moschea. Il Corriere della Sera aveva pubblicato una lettera di alcune donne musulmane che chiedevano trasparenza sul progetto Caim. Abdeljabbar Moukrim, un portavoce della comunità marocchina, ha aggiunto che sono fuori dal coordinamento le tre moschee gestite dalla comunità marocchina, quella della comunità bengalese e quella della comunità senegalese, oltre a quella di via Padova -di cui abbiamo già parlato- ed a quella di via Quaranta. Per questo motivo il Comune cerca una soluzione che sia il più possibile neutra. Ed ecco che in soccorso della Giunta Pisapia arrivano Marocco e Giordania che escluderebbe la nascita di potentati.

LA CHIESA È D’ACCORDO – I due Paesi avrebbero individuato un’area privata nei pressi di Viale Certosa ed il loro interesse garantirebbe la sicurezza di una religione non politicizzata che apra le sue porte ai fedeli desiderosi di poter allacciare il proprio rapporto con la fede in un contesto chiaro, aperto, alla luce del sole, per avvicinarsi al divino. Inoltre verrebbe garantita una gestione trasparente e chiara dello spazio e delle attività, a tutto vantaggio dei fedeli. Una posizione, questa, vicina a quella della Chiesa milanese che, come scrive Il Giornale, apre ad un luogo di culto musulmano a patto che come partner ci sia

un’istituzione islamica internazionale alla quale potranno affiancarsi le organizzazioni musulmani territoriali

IL VALORE DI UN LUOGO DI CULTO DEGNO PER TUTTI – In tutto questo si capisce a cosa serva una moschea a Milano. Il capoluogo finanziario del Paese ormai conta tra i suoi abitanti migliaia di fedeli musulmani e con l’arrivo di Expo non si può accettare che l’islam possa essere praticato in cantine ed aree nascoste la cui gestione potrebbe rivelarsi opaca. Ci vuole uno spazio di preghiera ufficiale ed aperto a tutti, cittadini, turisti e uomini d’affari, accomunati dalla fede musulmana. Altrimenti il rischio è quello di tornare all’esperienza di Via Maderna, con un luogo di culto eretto di nascosto che non ha fatto altro che esacerbare gli animi tra residenti e fedeli.