La mappa mondiale della censura al web
16/04/2012 di Gabriele Orsini
L’attività di OpenNet Initiative monitorizza il livello di censura della Rete nei diversi paesi del mondo. Tutti gli aspetti sono presi in considerazione, dal blocco delle attività online dei gruppi politici di opposizione alla messa al bando della pornografia fino al contrasto alle azioni di hacheraggio. La censura più soffocante opera in Iran ed in Cina, e si avvale della collaborazione di diverse imprese Usa.
LA MAPPA DELLA CENSURA – Quella di una Rete totalmente libera e funzionale al progresso dei diritti dell’uomo è un un’utopia. La censura nei confronti dei contenuti di Internet si sviluppa in forme differenti e concerne aspetti ben distinti. Si va dal contrastro alle attività di pirateria ed hackeraggio alla messa a punto di liste nere che arginino l’enorme diffusione della pornografia e delle scommesse online fino alla censura diretta delle opinioni dei gruppi politici di opposizione. Osservandola da questo punto di vista ci si accorge che la Rete è dotata di un complesso sistema di filtri che regolano il diritto delle persone a fruire di determinati contenuti. L’attività instancabile di OpenNet Initiative – organo nato dalla collaborazione tra l’Università di Toronto, quella di Harvard e la compagnia canadese Sec Dev Group – permette di conoscere più a fondo il panorama della censura del Web nel mondo. Per aumentare il risalto e la diffusione di queste informazioni l’organismo ha rilasciato diversi data set che permettono di visualizzare i dati nel migliore dei modi. Il Data blog del Guardian ad esempio ha preparato una mappa interattiva molto dettagliata.
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FILTRI DIVERSI – Per ogni paese preso in analisi è stata preparata una scheda basata su quattro differenti tipologie di filtro. Il primo è quello di tipo prettamente politico. Cadono in questa categoria i regimi che operano per impedire la diffusione delle idee dell’opposizione, spesso in relazione alla difesa dei diritti umani, della libertà di espressione, dei diritti delle minoranze e dei movimenti religiosi. Poi ci sono i blocchi di tipo sociale, con lo stop a contenuti che potrebbero offendere parte degli internauti più sensibili come quelli legati alla sessualità, al gioco d’azzardo, alla droga. Terzo tipo di filtri sono quelli che vanno ad interagire con i contenuti relativi a conflitti armati, problemi di confini e gruppi separatisti armati. L’ultima tipologia di filtro sono gli strumenti che entrano direttamente in azione per bloccare le comunicazioni tra gli individui. Ogni paese poi viene classificato in base all’effettiva consistenza ed alla transparenza di questi differenti tipi di “bavaglio”.
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CHI STA PEGGIO – Niente di nuovo sotto il sole viene da dire dando uno sguardo ai risultati dell’analisi. Secondo i dati di ONI è l’Iran il paese dove il Web è meno libero, con un livello di filtraggio considerato “pervasivo” per quanto riguarda la politica, i blocchi di tipo sociale e quelli agli strumenti di comunicazione e con un livello “sostanziale” nei filtri relativi alle zone di conflitto ed alla sicurezza interna. Con qualche effetto paradossale, visto che il regime iraniano è arrivato a censurare alcuni siti pro-Ahmadinejad in vista delle elzioni del marzo scorso. Dietro l’Iran c’è la Cina, che rispetto all’Iran ha un livello di trasparenza più basso. In molti casi l’utente cinese non ha coscienza precisa della rete di filtri che gli impedisce di avere accesso ai contenuti della Rete.
E L’ITALIA? – Il giudizio sul nostro paese non è propriamente lusinghiero e mette in evidenza i ritardi e le differenze rispetto ai nostri vicini europei. L’Italia, per la quale l’analisi della ONI riscontra la messa in atto di filtri selettivi di tipo sociale (sono quelli legati al contrasto di pedopornografia e gioco d’azzardo), secondo l’organizzazione è “molto indietro in rapporto all’Europa, e il governo è lento nel preparare leggi che regolino la privacy e la libertà di informazione”.
COMPLICITA’ – Dietro i bavagli al web di molti paesi ci sono le tecnologie e la collaborazione di aziende specializzate. Spesso queste competenze arrivano da parti del mondo dove i diritti umani sono molto più tutelati, come viene messo in evidenza dal rapporto di ONI, che cita direttamente le aziende della Silicon Valley, accusate di “aver consegnato prodotti e servizi ai regimi che violano i diritti umani”, all’interno di un mercato “che sta crescendo in maniera sofisticata”. Il rapporto ONI cita prodotti dell’unità McAfee di Intel venduti a Arabia Saudita, Emirati arabi, Bahrain, Oman, Kuwait e Tunisia. Il Washington Post si spinge più in là ed ipotizza la firma di accordi clandestini e non pubblicizzati tra le companies americane ed i regimi insanguinati.
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