La marijuana non è più doping, o si?

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La Wada ha deciso di alzare il limite minimo di presenza di tetracannabinoidi nelle urine degli atleti da 15 a 150 nanogrammi per millilitro, proteggendo coloro che hanno fumato nei giorni precedenti e che potevano apparire dopati anche se la sostanza non migliora le prestazioni fisiche

Grande fermento nel mondo dello sport. La Wada, l’agenzia mondiale antidoping, ha deciso lo scorso 12 maggio in un incontro a Montreal, in Canada, di aumentare il limite di tolleranza relativo alla presenza di marijuana nelle urine degli atleti.



LA DECISIONE – La conferma è arrivata dalla stessa pagina web dell’agenzia mondiale antidoping. Il comitato ha deciso con effetto immediato di aumentare il limite passando da 15 a 150 nanogrammi per millilitro nelle urine, sottolineando però che ma marijuana è ancora inclusa nelle liste delle sostanze proibite. Ciò vuol dire che non è passata ma solo che con il nuovo limite verranno colti in flagrante gli atleti che avranno fumato uno spinello in concomitanza dell’evento sportivo. Resta il divieto nell’uso di questa sostanza ai Giochi Olimpici, introdotto nel 1999. La sostanza è considerata dopante in quanto genera un effetto calmante sfavorendo gli altri professionisti, tesi dalla troppa adrenalina.



IL DOCUMENTO DEL 2009 – Nel 2009 la stessa agenzia aveva diffuso un documento nel quale illustrava i pericoli della marijuana nel mondo dello sport. Relativamente alla marijuana veniva spiegato che il suo uso avrebbe comportato una riduzione della memoria, della soglia d’attenzione e della motivazione, portando a difficoltà nell’apprendimento e nella forza di affermare le proprie volontà. Viene inoltre messo in pericolo il sistema immunitario, affligge i polmoni causando malattie croniche come la bronchite fino a sfociare nel cancro, il tutto arricchito con la possibilità che tale sostanza può portare ad una dipendenza fisica e psicologica. Ma allora perché nonostante queste parole la Wada ha pensato bene di “alzare” il limite di tolleranza?



SALVI L’80 PER CENTO DEI PIZZICATI – Come spiega il Fatto Quotidiano, sono anni ormai che tutte le ricerche sul tema certificano come l’uso di cannabis non possa in alcun modo migliorare le prestazioni sportive. La Wada, alzando l’asticella, ha di fatto cancellato l’80 per cento delle positività riscontrare ogni anno dirottando sforzi ed impegno nella lotta ad altre sostanze. Come detto con questa decisione la Wada ha pensato bene di “assolvere” coloro che fumano marijuana lontano dalle gare, come avvenne ad esempio a Michael Phelps, squalificato per tre mesi dopo la diffusione di una fotografia che dimostrava come lui in inverno -quindi lontano da ogni competizione- fumasse un bong durante una festa con amici.

COME SMALTIRE IL THC – Per capire bene quanto vale una canna dal punto di vista del contenuto di nanogrammi nelle urine è necessario studiare quanto dura in genere il suo effetto. La Verità ci spiega che l’effetto di una canna passa dopo circa tre ore ma che le tracce di tetraidrocannabinolo (Thc) resta anche molte ore dopo l’assunzione. Lo smaltimento dipende dall’abitudine al consumo, quindi vuol dire che chi fuma di più corre il rischio di conservare la sostanza nel sangue, con questa che si trasforma in acido carbonico Thc (definito Thc-Cooh) non più psicoattivo ma necessario per scoprire se la persona ha fumato una canna.

LA STORIA DI ROSS REBAGLIATI – Per capire meglio di cosa parliamo è necessario tornare indietro, grazie all’aiuto di Fuoriluogo, nel tempo e per l’esattezza alle Olimpiadi invernali di Nagano, anno 1998. All’epoca il canadese Ross Rebagliati vinse l’oro nello snowboard precedendo di due centesimi di secondo l’azzurro Thomas Prugger. L’atleta nordamericano venne poi squalificato perché nelle urine vennero rilevate tracce di Thc, nell’ordine di 17 nanogrammi per millilitro. La commissione medica si divise, con 13 componenti che avevano votato per la squalifica e 12 che si definirono contro. Anche nel Cio vi fu una grave spaccatura: tre volevano la punizione, due votarono per il no mentre altri due furono gli astenuti. Il Canada presentò un ricorso ed il Tas restituì la medaglia all’atleta. Rebagliati spiegò così la sua disavventura: “Sono vittima del fumo passivo. Vivo fra i consumatori di cannabis”.

DUBBI E QUESTIONI – L’ultima bomba che vide fu il 31 gennaio 1998, ad una festa dove però lui non fece tirati. L’ultima fumata invece avvenne nell’aprile 1997. All’epoca la Fis ammetteva una soglia di 15 nanogrammi mentre per il Cio era già troppo. François Carrard, membro del Comitato Olimpico Internazionale, spiegò che la decisione fu “difficile” anche perché la presenza di Thc nelle urine e non nel sangue non prova l’intossicazione, tanto che come ci ricorda La Verità, in Svizzera, nel caso di un controllo in auto L’esito positivo al test delle urine non è sufficiente per scopi giuridici, perché esso non dimostra che l’interessato abbia effettivamente guidato sotto gli effetti della canapa.

TUTTO COMINCIO’ A SEOUL – Quindi se la disavventura di Rebagliati fosse avvenuta ai giorni nostri, probabilmente non avrebbe avuto problemi. Certo, il Cio ha sempre valutato negativamente l’uso della sostanza, tanto che i primi controlli vennero annunciati nel corso delle Olimpiadi estive di Seoul nel 1988, ovvero quando la cannabis ancora non era illegale nello sport. Addirittura vennero controllati tutti e 730 gli atleti medagliati. E’ anche vero che all’epoca vi fu una specie di caccia alle streghe, con la voce che si diffuse tra gli atleti che si sarebbe potuto rischiare di risultare positivi alla caffeina con la Coca Cola. Questo per lasciare intendere quale fu il clima a Seoul. 

IL CASO DELPOPOLO – Nel 2012 venne squalificato per la presenza di tetracannabinolo nelle urine il judoka statunitense Nicholas Delpopolo. In questo caso, così come in quello di Rebagliati, bastò la presenza della sostanza nelle urine. Il ragazzo si giustificò che giorni prima della gara incriminata, disputata il 30 luglio scorso, aveva consumato un pasto cotto con la marijuana. Inevitabile la squalifica, suffragata anche dalle norme della Wada. Ma certo appare una punizione fin troppo eccessiva in grado di colpire coloro che cercano un momento ricreativo, indipendentemente dal fatto che questo possa essere considerato lecito o meno.

LA SPINTA ALLA DEPENALIZZAZIONE IN AUSTRALIA – Ci sono Paesi che hanno lanciato una crociata nei confronti della presenza della cannabis nell’elenco delle sostanze proibite. Parliamo dell’Australia, il cui Comitato Olimpico ha combattuto molto nei confronti della Wada nel tentativo di “allentare” la sua morsa sugli atleti. The Age ci racconta che già nel 2012 la Wada, nella figura del suo presidente John Fahey, stava pensando di modificare la lista delle sostanze proibite prendendo in considerazione gli effetti delle stesse nei singoli sport. A spingere verso questa decisione un gruppo di componenti di diverse federazioni sportive australiane provenienti dall’atletica, dal cricket, dal nuoto, dal football e dal rugby.

LA RISPOSTA DELLA WADA… – Fahey, rivolgendosi a queste persone, ha spiegato che la loro preoccupazione era data dal fatto che, almeno per quanto riguarda certi sport, la marijuana non avrebbe potuto portare benefici quindi non vi sarebbe stato un imbroglio. “Non voglio esprimere un’opinione -ha continuato Fahey- ma ho solo preso atto della richiesta e che questa verrà analizzata. Già esistono sostanze bandite in certi sport ed autorizzate in altre e questa potrebbe essere una soluzione, ma deciderà l’associazione”. La stessa Wada poi, nonostante una positività alla cannabis riscontrata nei giorni di gara implichi una squalifica fino a due anni, negli ultimi tempi ha imposto “fermi” di tre mesi o ha solo provveduto ad ammonizioni formali.

…E DEL COMITATO OLIMPICO LOCALE – L’alleanza degli atleti australiani, ovvero l’associazione delle federazioni che vorrebbero la depenalizzazione della marijuana, dal canto loro sostengono la pericolosità di questa sostanza ma allo stesso tempo vorrebbero che non venisse considerata tra i prodotti in grado di migliorare le prestazioni. Peccato però che la posizione ufficiale delle singole federazioni sia stata “mortificata” dalle decisioni del Comitato Olimpico Australiano. Sempre “The Age” ha riportato la voce di John Coates, a capo dello sport nel paese oceanico, il quale per spiegare l’atteggiamento mantenuto dal suo Paese in occasione delle Olimpiadi di Londra è stato chiaro: “chi verrà pescato con dell’erba verrà mandato a casa con il primo volo”.

TOLLERANZA ZERO – La posizione dell’autorità quindi va in evidente contrasto con le richieste delle singole federazioni ma a quanto pare la cosa non interessa a Coates: “la nostra posizione è di tolleranza zero dall’apertura alla chiusura del villaggio. Vogliamo il miglior comportamento possibile dai nostri atleti. Fino a quando saranno sotto il nostro controllo gli atleti non dovranno usare sostanze proibite e ci riserviamo la possibilità d’ispezionare le loro stanze, anche a sorpresa”. A riprova di come le federazioni sportive ed i comitati olimpici viaggiano a due diverse velocità, nonostante la Wada sia espressione del Cio, voluta nel 1999 per combattere la crescita esponenziale del doping nello sport.

I DUBBI DEL GOLF – La decisione dell’agenzia mondiale antidoping ha lasciato di sale anche altre federazioni. Parliamo ad esempio del Golf. Come ci spiega Golfweek ci sono ancora dubbi sulla reale portata di questa novità per quanto riguarda il Pga Tour. In questo sport la cannabis è già considerata “ricreativa”, fin dal 2008. Ciò significa che non viene intesa come migliorativa delle prestazioni fisiche. Julie Masse, direttore della comunicazione Wada, ha spiegato che la loro intenzione è quella di occuparsi di coloro che abusano nell’uso di queste sostanze escludendo tutti quelli che fumano lontano dalle competizioni. La decisione dovrà sposarsi con quella della Ncaa, la federazione che organizza i tornei di basket universitari negli Usa, dove il limite è stato abbassato da 15 a 5 nanogrammi.

LA STORIA DI MATT EVERETT – Tornando a parlare di golf, Yahoo! ci spiega che per la Pga questa novità assume i caratteri di una “nebulosa” visto che è difficile capire come si potrà stabilire l’uso ricreativo. Nel golf, come detto, già dal 2008 è stato depenalizzato l’uso della cannabis e coloro che vengono trovati positivi ricevono una sanzione senza che la loro disavventura venga resa pubblica. Qualora poi si arrivi ad una squalifica, questa non dipende dall’uso di cannabis ma solo dalla condotta non professionale dell’atleta. Evocativo il caso di Matt Everett, arrestato nel 2010 per possessi di marijuana nel corso del John Deere Classic e poi squalificato per tre mesi proprio per via del suo comportamento. Su Yahoo si pone poi il dubbio sull’effettiva efficacia della decisione Wada, la quale a quanto pare diventerà attiva solo tra due anni.

RAZIONALITA’ O PRECONCETTO? – La decisione dell’agenzia mondiale antidoping ha scoperchiato una situazione quantomeno imbarazzante, perché sembra che la marijuana sia inclusa nella lista delle sostanze dopanti solo per una questione di preconcetto. Le federazioni sportive hanno chiesto per anni l’eliminazione della sostanza dal libro nero portando come prova il fatto che non migliori le prestazioni. I comitati olimpici invece chiedono un comportamento etico e pulito che invade la vita personale degli atleti, indipendentemente dal miglioramento delle loro prestazioni. L’ente presieduto da John Fahey ha quindi cercato un compromesso, alzando il limite e “proteggendo” coloro che si sono fatti una cannetta nei giorni precedenti alla gara. Probabilmente è più una decisione di buon senso rispetto ad una legalizzazione vera e propria. (Photocredit Lapresse)