«La mia bambina è disabile perché mi hanno fatto partorire con le gambe incatenate»
02/07/2014 di Valentina Spotti
«Ho partorito incatenata: non avevo le manette, ma le catene alle gambe. Non potevo aprire le gambe, quindi le donne mi hanno sollevata dal tavolo. È successo qualcosa alla bambina… Non so se un giorno avrà bisogno di aiuto per camminare». Meriam Ibrahim, la donna sudanese di 27 anni condannata a morte per apostasia e poi assolta, racconta il momento più terribile della sua prigionia: il parto. Quando è stata arrestata per essersi professata cristiana e non musulmana, la giovane era alle ultime settimane di gravidanza e dopo qualche settimana ha dato alla luce una bambina mentre si trovava in cella. Meriam non è stata fatta uscire dal carcere e, stando al suo racconto, durante il parto non le sarebbero neanche state tolte le catene. Questo avrebbe provocato alcune complicazioni e la piccola potrebbe doverne subire le conseguenze per tutta la vita.
«ALLA BAMBINA È SUCCESSO QUALCOSA» – Meriam, che ora è una donna libera e aspetta presso l’ambasciata americana a Khartoum i documenti per potersi recare negli Stati Uniti con il marito, cittadino americano e del Sud Sudan, ha raccontato il suo drammatico parto nel corso di una telefonata alla CNN, riportata anche dal Guardian e dal Telegraph: a chi le chiede se la paura e lo stress accumulati in quelle settimane di prigionia – con una sentenza di impiccagione che avrebbe potuto essere eseguita in ogni momento – possano aver nuociuto alla piccola che portava in grembo, Meriam risponde che «alla bambina è successo qualcosa», ma che il grado di disabilità riportato dalla bambina è ancora da accertare.
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«PENSAVO SOLO AL FATTO CHE AVREI PARTORITO IN PRIGIONE» – Parlando di come si fosse sentita dopo l’emissione della sentenza che la condannava a morte, Meriam ha detto: «Pensavo soltanto ai miei bambini e a come avrei partorito. Avevo davvero molta paura di dover partorire in prigione». In carcere insieme a lei, infatti, c’era anche il suo primo figlio, un bambino di poco meno di due anni.
«OGNI GIORNO C’È UN PROBLEMA NUOVO» – Il fatto che Meriam sia stata assolta e liberata non le ha ancora dato la serenità che tanto cercava: la donna è bloccata in Sudan per una questione burocratica relativa ai documenti per il suo espatrio, e il suo caso ha destato scalpore in tutto il mondo: «Ad essere sincera mi sento moto infelice – ha detto Meriam – Ho lasciato la prigione per andarmene insieme ai miei bambini e sistemarmi… E adesso ci sono persone che protestano contro di me per le strade. Non riesco nemmeno a decidere cosa dovrei fare ora: vorrei viaggiare, ma allo stesso tempo non voglio farlo. Ma lo stato in cui sono ora mi obbliga a farlo. Ogni giorno c’è un problema nuovo riguardo al lasciarmi partire.
(Photocredit copertina: LaPresse / AP / Al Fajer)