La rivoluzione del car-sharing italiano parte dal Milano

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Il capoluogo lombardo ha aperto le sue porte a sette aziende il cui compito sarà quello di ridurre la congestione stradale della città spingendo le famiglie ad usare le auto a tariffa a tempo eliminando la seconda vettura con un risparmio per il singolo e la collettività ma restano i problemi legati alla sicurezza ed al futuro dei taxi

Da Milano all’Italia. Si può riassumere così la rivoluzione automobilistica in salsa meneghina che in questi ultimi mesi ha trasformato il capoluogo lombardo in terra di sperimentazioni per una mobilità diversa. Qualche settimana fa avevamo parlato dello sbarco del car-sharing a Milano che, secondo gli obiettivi del Comune, avrebbe modificato la mobilità cittadina ma in questi ultimi giorni le cose sono cambiate nuovamente, se non addirittura migliorate per qualcuno. Si, perché ora la città potrà contare su sette servizi di car-sharing, con l’aggiunta di altre due aziende a quelle già presenti. Ma i problemi restano tanti.



(photocredit Gentemotori.it)

LE MOSSE DI MILANO – Questo cosa significa? Che la città, e la sua amministrazione, hanno lanciato un attacco frontale alla seconda auto delle famiglie, spingendo gli abitanti ad abbandonarli in favore di mezzi a volte più moderni e sicuramente più efficienti, nel tentativo di liberare la pressione delle autovetture sulla città, ampliando gli spazi per le biciclette, velocizzando i mezzi di trasporto pubblico e scongiurando l’annoso tema dei parcheggi. L’assessore alla mobilità del Comune di Milano nonché delegato alla mobilità per l’Anci, l’associazione dei sindaci, Pierfrancesco Maran, ha difeso la nuova politica spiegando che l’obiettivo è quello di far scendere il numero delle auto di proprietà dalle 55 su 100 attuali alle 30-40.

IL BANDO – Lo scopo finale di quest’impegno, secondo l’Assessore ripreso dal Corriere della Sera Milano, è quello di esaudire le statistiche che dicono che per ogni auto affidata al car-sharing, se ne tolgono 12 dalla strada. Il tutto ovviamente dietro un opportuno riscontro economico a favore del Comune. Come recita il bando pubblicato il 14 giugno 2013 le società interessate pagano per ogni vettura, a titolo forfettario, 1.100 euro l’anno comprensivi dei costi di attraversamento di Area C e per il parcheggio nelle aree a pagamento, mentre questi soldi non vengono richiesti alle società che propongono veicoli esclusivamente elettrici. Le auto dal canto loro devono essere tutte Euro 5, la loro lunghezza per il 90 per cento del parco auto non deve superare i 4.50 metri e devono essere almeno 80 per operatore.



L’ARRIVO DI BMW – Tale limite è stato ampiamente superato, se consideriamo che la tedesca Car2go ha ormai 600 smart a disposizione della clientela, più altre 200 in arrivo, per un totale di 800 vetture. Guidami, il capostipite del car-sharing a Milano, ne ha 160, molte meno dell’ultima arrivata, la joint venture tra Eni e Trenitalia chiamata Enjoy che può contare già su 550 Fiat 500 rosse fiammanti. Se togliamo Guidami, una società in compartecipazione, e ci limitassimo a fare i conti in tasca degli altri due attori privati coinvolti, scopriremmo che il Comune di Milano riceverà per il 2014 un canone di 1.485.000 euro. Mica male, per un Comune che lo scorso anno fece registrare un deficit corrente di 474 milioni di euro. Ma non finisce qui perché è previsto l’arrivo di un nuovo servizio legato al marchio Bmw, chiamato Drivenow, che sbarcherà in città con altre 400 auto.



DALLA GERMANIA ALL’ITALIA – Drivenow è il servizio tutto tedesco, vista la partnership tra Bmw e la società di autonoleggio Sixt, presente con le sue vetture in cinque città della Bundesrepublik, Berlino, Monaco, Colonia, Amburgo, Dusseldorf, ed a San Francisco. A differenza di quanto accade con le altre società italiane, qui vengono proposte nove vetture diverse, tra cabrio, coupè convertibili ed automobili conosciute come a “due volumi”. Si va quindi dalla Mini Cabrio alla Bmw Attiva. I prezzi sono variabili e mediamente più alti di quelli delle altre vetture presenti in Italia. Al di là della quota d’iscrizione di 29 euro, ogni minuto costa dai 31 ai 34 centesimi, con parcheggio sempre incluso. Certo la differenza si può spiegare con un comfort diverso tra una Bmw ed una Smart.

Le vetture elettriche di Eq Sharing (Photocredit Ideegreen.it)

SETTE SERVIZI DI CAR SHARING IN UN’UNICA CITTÀ – Inoltre sembra sia atteso l’arrivo di un altro concorrente, al momento sconosciuto, iscrittosi entro il tempo massimo previsto da Palazzo Marino che aveva posto la scadenza del bando al 31 dicembre, che farà concorrenza alle altre aziende. Se poi ricordiamo gli altri servizi presenti che avevamo già analizzato in una nostra precedente inchiesta, ovvero e-Vai, la joint-venture pubblica tra Regione Lombardia e Trenord ed Eq Sharing, il servizio totalmente elettrico garantito dalle vetturette costruite da Ducati Energia, si arriva a sette diversi servizi di car sharing presenti in una città se vogliamo abbastanza piccola come Milano. Un milione e 200 mila abitanti potranno quindi scegliere tra sette servizi e quasi 1000 autovetture, pagando solo il tempo necessario per il tragitto da compiere.

UNA SFIDA MONDIALE – In Italia al momento ci sono 20.000 cittadini iscritti ai servizi di car-sharing, di cui 2000 concretamente attivi nella sola città di Milano. Il Comune, aprendo le porte alle grandi case automobilistiche mondiali, non fa altro che agevolare quello che sembra sia un percorso mondiale che vede da un lato protagoniste le case e dall’altro le singole autorità locali. Come ci spiega Autonews possiamo parlare apertamente di guerra tra produttori di automobili, il cui obiettivo è quello di conquistare quote di mercato in una congiuntura sfavorevole causata dalla diminuzione della capacità di spesa delle famiglie. In altre parole, le auto costruite vanno vendute o impiegate e per farlo ben venga il car sharing. Nello specifico si parla del colpo di Fiat che attraverso la joint-venture Enjoy è entrata prepotentemente in questo mercato.

500.000 CLIENTI IN ITALIA NEL 2020 – Fiat si è presentata in grande stile, con un prezzo più basso di quattro centesimi rispetto ai 29 garantiti da Car2go, senza prevedere oltretutto dei costi d’iscrizione. Con quest’operazione la casa di Torino è entrata nella sfida che già vede coinvolte Bmw, Ford, Peugeot-Citroen-Daimler Benz e Toyota. Secondo gli analisti di Frost & Sullivan, entro il 2020 i clienti dei servizi di car-sharing saranno 26 milioni, una quota che decuplica il numero attuale di fruitori dei servizi di condivisione auto, ora fermi a 2,3 milioni. Nello specifico, in Italia ci si aspetta un incremento, nello stesso periodo, dai 60 mila attuali ai 500.000 mila utilizzatori.

UN BUSINESS DA 6,2 MILIARDI – L’Europa, sempre secondo l’analisi Frost & Sullivan, dovrebbe fare la parte del leone garantendosi 15 milioni di utilizzatori del servizio, a partire dal milione attuale. Con la crescita dell’utenza si prevede, ovviamente, la crescita del volume d’affari per le case automobilistiche. Se oggi il mercato del car-sharing vale in tutto il mondo circa un miliardo di euro, entro il 2020 questo salirà a 6,2 miliardi con un mutuo vantaggio per automobilisti e produttori. I primi useranno l’auto per spostamenti brevi senza preoccuparsi di assicurazione, spese, parcheggio. I secondi produrranno auto sempre nuove che verranno utilizzate per la collettività , ovviamente nel tentativo di spingere l’asticella verso l’alto.

QUATTRO ANNI PER UN PROFITTO – Ovviamente sarà fondamentale il modo il cui il mercato accoglierà la novità. L’amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni, ha spiegato che si aspetta il break-even, ovvero il momento in cui Enjoy inizierà a maturare utili, solo a partire dal 2016. Segno che solo i grandi, come in tutte le cose, devono avere la forza anche economica di lanciarsi in una nuova avventura dai rischi tutto sommato minimi, visti i numeri presentati dalle società d’analisi. L’importante è avere le spalle abbastanza larghe, ed il resto verrà da se. La stessa cosa del resto vale per Car2go. La società del gruppo Daimler ha spiegato che i primi utili si stanno vedendo dalle città in cui il servizio è stato lanciato nel 2009, ovvero Amburgo, Vienna e Vancouver, confermando poi che i primi utili arrivano dopo quattro anni.

TROPPI SERVIZI? – Evidentemente i tre-quattro anni necessari per arrivare ad un risultato positivo sono ben ammortizzabili se consideriamo i guadagni futuri. Inoltre, se il mercato globale dovesse aumentare come preconizzato dagli analisti di Foster & Sullivan, allora le case automobilistiche potrebbero dire di aver fatto centro. Tuttavia sono molti i problemi legati all’uso di queste autovetture. Il sospetto, almeno per Milano, è che c’è troppa carne al fuoco. Grazie ad Expo ed allo stanziamento dei soldi necessari per costruire le ultime due linee della metropolitana, M4 ed M5, il servizio di car-sharing potrebbe rivelarsi quantomeno inutile o comunque ridondante rispetto a quanto viene garantito dalla mobilità pubblica.

IL CONFRONTO SU STRADA – A dimostrarlo la piantina fornita dal Corriere della Sera che confronta i percorsi più veloci nel collegamento tra lo Stadio Giuseppe Meazza ed il Duomo di Milano, dimenticando che San Siro verrà raggiunto dalla M5 entro pochi mesi e rendendo quindi inutile qualsiasi confronto in prospettiva. Tuttavia già oggi potremmo dire che con la combinazione bus+metro, il percorso viene coperto in 35 minuti al costo di 1,5 euro contro i 20 minuti per sei euro del car-sharing. Nella nostra analisi avevamo preso in considerazione un percorso di 7,5 chilometri da Piazzale Loreto a Piazza Belfanti, da dove i milanesi possono dirigersi sia verso i Navigli sia verso l’A7 in direzione Genova.

IL PERICOLO INCIDENTI – Secondo ViaMichelin il percorso può essere coperto in 26 minuti al costo di 1,87 euro. I mezzi pubblici sono fuori da ogni confronto visto la possibilità di coprire la distanza grazie alla metropolitana M2 da Loreto a Romolo per poi prendere la circolare 90-91, per una media di 40 minuti di percorso ed un biglietto da 1,5 euro. Con Car2go pagheremmo circa 4,5 euro, ovviamente al netto della ricerca di un parcheggio. Il costo sarebbe quindi superiore e gravato da un sovrapprezzo dovuto al parcheggio spesso mancante. E questo porta ad un secondo problema, quello della velocità. Sono già numerosi i casi registrati in città d’incidenti causati da automobilisti spericolati che nel tentativo di arrivare più velocemente a destinazione risparmiando centesimi vanno a sbattere o compiono le infrazioni più gravi.

LA RABBIA DEI TAXI – Si apre quindi il fronte legato alla sicurezza stradale, con molti che decidono di sacrificare la propria sicurezza in nome di un risparmio nell’ordine dei centesimi, aggravato dal fatto che la macchina guidata non è la propria. Viene così a mancare anche il senso di protezione del proprio oggetto. Parliamo di un problema grave già fatto notare dalle autorità preposte che temono con il proliferare della tariffazione al minuto un aumento esponenziale di tali sinistri. E poi ci sono i taxi, gli ultimi ad essere contenti dell’aumento delle vetture destinate al car-sharing che dovrebbero raggiungere a pieno regime, secondo le intenzioni dell’Assessore Maran, quota 2000 auto. Startupover ci propone dei numeri legati alle iscrizioni al servizio di car-sharing spiegando che in due mesi si sono avute 50.000 registrazioni e che la società viaggia al ritmo di 400.000 euro di fatturato al mese. Questi dati non possono far altro che spaventare i tassisti che dalle pagine del loro sito Taxistory si chiedono come andrà a finire.

UN SETTORE DESTINATO A SPARIRE? – Da un lato si specula sulla difficoltà da parte degli automobilisti di trovare parcheggio con conseguente aumento della tariffa e rischio di multa, così come si ricorda che in caso d’incidente esiste una franchigia da 500 euro. Altri invece si chiedono se questi prezzi potranno durare anche dopo Expo e già preconizzano il fallimento del settore, ignorando i numeri da qui al 2020. Infine qualcuno si chiede se davvero c’è la volontà politica di affrontare il problema dei taxi altrimenti c’è il rischio che le licenze possano essere riconsegnate in massa. Perché se migliora la mobilità individuale, ecco che i servizi pubblici iniziano a perdere quota, con il risultato che altri settori produttivi rischiano di rimanere schiacciati da una crisi non preventivata. E se il car-sharing dovesse davvero avere il successo pronosticato, allora potremmo dire che saranno tutti contenti, a parte una categoria che rischierebbe di trovarsi fuori dal tempo. La rivoluzione intanto è partita. Arriverà a compimento?