La sovranità monetaria francese sull’Africa

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La Banca di Francia garantisce la valuta comune di 14 paesi africani, ma non lo fa per generosità

Il disastro in  Repubblica Centrafricana ha portato all’ennesimo intervento armato francese nel paese, il quarto dall’indipendenza, affiancato questa volta da truppe dell’Unione Europea, che del  destino di molti paesi africana è chiamata a farsi carico in parte, pur se in subordine ai voleri e all’impegno di Parigi o di altri ex referenti coloniali confluiti nell’UE.



SI RIPARTE – Il nuovo presidente transitorio della Repubblica Centrafricana è la signora Catherine Samba Panza, già sindaco della capitale, che va così ad affiancare il primo ministro  Alexandre-Ferdinand Nguendet e a ricostituire la formalità costituzionale. Nessuno dei due potrà presentarsi alle presidenziali che si dovrebbero tenere nei desideri di tutti al più presto, che vuol dire al più tardi nel 2015. Archiviato il precedente presidente transitorio Michael Djotodia, che si è dimesso dopo qualche mese al potere del tutto impotente, la Francia può finalmente contare su un primo ministro con le scuole giuste e dichiaratamente allineato ai voleri del Fondo Monetario e, quello che più importa, di Parigi. Djotodia si è confermato un incidente, emerso quando le bande Seleka sono arrivate a Bangui e hanno costretto alla fuga il presidente-dittatore Bozizé a auto-nominatosi loro rappresentante, si è poi rivelato sì dotato di dialettica, ma di nessuna presa reale sulle bande di guerriglieri che provenivano dall’Est del paese, incidentalmente musulmano.



I PREDONI A GUARDIA DEL POLLAIO – Circostanza disgraziata, perché si tratta di milizie indisciplinate e dedite più al saccheggio che alla politica. Nate nei campi per profughi in Ciad, dove i centrafricani di quella regione erano stati sfollati a centinaia di migliaia dalla pulizia etnica di Bozizé, negli ultimi anni avevano fatto ritorno alle zone d’origine sempre meno presidiate da un potere in disfacimento, creando piccoli feudi amministrati secondo la logica del racket, i più fortunati si erano impadroniti delle cittadine minerarie. Arrivati alla capitale e ovviamente esclusi dai grandi giochi della politica, ai quali probabilmente non erano nemmeno interessate, le bande si sono date al saccheggio e presto in tutto il paese si è diffusa una notevole sensazione d’insicurezza e altri a centinaia di migliaia ne sono fuggiti.

LE MILIZIE CRISTIANE – L’inerzia con la quale i contingenti già residenti nel paese sotto le insegne di ONU, Unione Africana e Francia hanno lasciato fare ha lasciato spazio all’emersione delle milizie anti-Balaka ovvero milizie che dovrebbero proteggere i cristiani e che molti dicono animate dall’ex dittatore o dai militari del suo esercito sbandato. Posto che la questione religiosa non c’entra perché i centrafricani hanno sempre convissuto senza problemi e senza violenze interreligiose e anche perché i nemmeno i più indisciplinati e pericolosi tra i Seleka  sono talebani e non risulta che abbiano mai fatto differenza nel rapinare musulmani e cristiani, anche questa crisi che non è neppure una guerra civile è stata prontamente etichettata come un confronto tra cristiani e musulmani.



 

LA CRISI UMANITARIA – Il tutto in paese grande come la Francia che ha appena 4 milioni di abitanti, un quarto dei quali profughi, per lo più oltre confine. Ora si è arrivati alla caccia ai ciadiani e Idriss Deby, antico  dittatore di Ndjamena ha ordinato il loro rientro in massa. Non sfugge ai centrafricani che nella regia del colpo che ha portato Djotodia alla presidenza ci sia stata la mano dei ciadiani, che difficilmente si muove in un contesto del genere senza essere armata da Parigi. Nell’ultimo decennio i due dittatori si erano sostenuti a vicenda ed erano stati «salvati» più volte da interventi militari francesi. Nelle more della cacciata di Bozizé sono stati attaccati anche i soldati del contingente sudafricano, considerato troppo vicino al dittatore, il presidente sudafricano Zuma ha incassato la tragedia e lo scandalo e ritirato il contingente, quasi 1.000 uomini che potevano servire per mantenere l’ordine pubblico, ma che erano lì come «soluzione africana ai problemi africani» e a Parigi non ha pianto nessuno, nel cortile di casa le uniche soluzioni ammesse sono quelle francesi.

L’AIUTO INTERNAZIONALE – Nel frattempo il contingente francese finalmente rimpolpato è impegnato nel difficile disarmo dei Seleka e dei loro avversari, ma l’Operazione Sangaris non sta andando proprio liscia come in Mali, sia perché il terreno è diverso, sia perché è diversa e più polverizzata la natura dell’avversario. Così le truppe dei diversi contingenti nazionali africani che stanno affluendo nel paese per consolidare il lavoro dei francesi si trovano ad affrontare situazioni che gestiscono con difficoltà e diverse perdite. Tra organizzazioni internazionali, paesi donatori e paesi che hanno deciso di contribuire con truppe o mezzi si mette insieme una lista lunghissima e verrebbe da credere che per i centrafricani il futuro sarà roseo, ma intanto ci sono da fermare le faide che si travestono con il manto della religione e ristabilire la quiete.

LA GRANDE POTENZA FRANCESE – La Francia spenderà molto per l’impresa, ma come si è detto molti altri paesi contribuiranno e un progetto che comunque resta saldamente nelle mani di Parigi. Una spesa che Hollande a Radio France Internationale (RFI) ha venduto ai francesi come l’onere che deriva dal fatto che «La responsabilità della Francia… è quella di una potenza mondiale». Socialisti o conservatori non fanno differenza, i presidenti francesi per l’Africa conoscono solo la dottrina Foccard e agiscono di conseguenza, i francesi da sempre vedono e non protestano troppo. La moneta della Francia è però quella di un’altra potenza mondiale che risponde al nome di Unione Europea e per uno degli accidenti della storia 14 paesi africani, tra i quali la Repubblica Centrafricana, hanno una moneta comune ancorata all’Euro e garantita dalla banca centrale francese.

IL GUINZAGLIO DELLA MONETA – Il Franco CFA (da Colonies françaises d’Afrique) prevede una cooperazione tra i 14 paesi aderenti più uno fondata su quattro regole fondamentali. Il tesoro francese garantisce la sua convertibilità illimitata, il tasso di conversione con il franco francese e ora l’euro è fisso, la trasferibilità delle riserve è libera, mentre la riserva di cambio è centralizzata. Regole che permettono ai paesi africani di avere una moneta stabile e non aggredibile dalla speculazione internazionale, ma che ovviamente li privano di qualsiasi sovranità sulla moneta, poichè in cambio le banche centrali coinvolte, che come vedremo sono 3, sono tenute a depositare una parte delle loro riserve di cambio su un conto aperto del tesoro francese. La Francia ha anche il potere di determinare quanti CFA si stampano e in genere potere di veto sul resto.

I DUE FRANCHI – Tutto viene regolato tra la banca centrale francese e due banche centrali locali che non sono nazionali, ma regionali. Prima della decolonizzazione la Francia ha diviso i suo possedimenti africani in due zone coperte da due associazioni economiche, creando la comunità economica dell’Africa occidentale e quella dell’Africa Centrale. Le due banche centrali che fanno riferimento a queste comunità economiche sono oggi le controparti di Parigi nella gestione della moneta, che a ben vedere sono due, con lo stesso nome, lo stesso valore, le stesse regole, ma distinte e firmate da due banche centrali africane diverse e in teoria dovrebbero circolare solo all’interno delle rispettive zone, anche se nella pratica questa divisione non esiste e le due valute sono usate come una sola.

IL CONTROLLO DELLE ECONOMIE – Oltre alle ex colonie francesi ci sono la Guinea Equatoriale e la Guinea Bissau, altri paesi nei quali le élite locali, per non parlare degli investitori esteri, apprezzano moltissimo il cambio fisso e la convertibilità della moneta. Vantaggi che però finiscono per pesare sulla popolazione e restringere moltissimo l’autonomia dei governi che decidono della vita di quasi 150 milioni di africani e che estendono il loro potere su un territorio molto più vasto di quello della Francia e della stessa Europa. Territorio dal quale il primo mondo importa materie prime a seconda della domanda delle sue industrie ed esporta beni e servizi ad alto valore aggiunto. Solo dal Niger, uno dei paesi più poveri del mondo, la Francia trae l’uranio dal quale genera il 25% del suo fabbisogno elettrico, ma il prezzo lo fa Parigi e ai nigerini da sempre restano gli avanzi, soprattutto quelli radioattivi che dalle miniere gestite senza tanti riguardi viaggiano insieme alla polvere e si depositano sulle regioni limitrofe. Il mito dellautosufficienza energetica francese è tale in tutta evidenza, per alimentare le loro centrali i francesi hanno bisogno dell’uranio africano che ricavano in Niger e Centrafrica.

IL GIRO DEI SOLDI – Non che ai paesi più ricchi vada meglio, la spietata dittature dell’equato-guineano Teodoro Obiang è diventata il Kuwait d’Africa e spende generosamente in Francia come negli Stati Uniti e lo stesso fanno i dittatori e le élite di altri paesi della regione, che preferiscono mettere al sicuro i frutti delle loro ruberie accumulando patrimoni al di fuori del continente in paesi più solidi. Si capisce quindi che la garanzia di Parigi diventa un impegno che riguarda anche l’Unione Europea, che non garantisce la moneta africana, ma che da una destabilizzazione delle finanze francesi subirebbe sicuramente conseguenze negative. I paesi in questione però hanno un prodotto interno lordo complessivo di meno di 170 miliardi di euro e fino a che questo valore non diventerà molto più alto, le eventuali perturbazioni di uno o dei due franchi CFA avranno scarso impatto sull’economia francese come su quella dei paesi dell’area euro.

LA MISSIONE CIVILIZZATRICE – A più di mezzo secolo dalla decolonizzazione, la vita delle ex colonie europee nell’Africa Sub-sahariana è ancora molto grama e anche nei paesi che in teoria possono esibire un PIL pro-capite simile a quello di molte economie avanzate o che hanno ingenti riserve minerarie o che esportano buona parte della loro produzione agricola e forestale, il destino di buona parte dei cittadini è quello della miseria, i servizi essenziali sono un sogno per buona parte della popolazione e le speranze di «crescita» sono interamente nelle mani di persone che non rispondono ai cittadini di quei paesi e che sulla pelle dei cittadini di quei paesi realizzano grandi profitti e cumulano patrimoni frutto d’inganni e rapine del tutto simili a quelle praticate dai primi bestiali colonizzatori europei, i discendenti dei quali non hanno ancora smesso d’insegnare agli africani come devono fare per diventare civilizzati come noi.