La storia del boss mafioso sepolto in Chiesa

Categorie: Cronaca, Italia

Enrico De Pedis ed Emanuela Orlandi: come una favola diventa leggenda. Metropolitana

Renatino ed Emanuela. Il boss della Magliana e la cittadina vaticana scomparsa nel giugno del 1083. Il mistero avvolto nell’enigma della sepoltura dell’amico der Negro a Sant’Apollinare. E la connessione con il caso della ragazzina figlia di un dipendente di San Pietro che un giorno è uscita da Porta Sant’Anna per non tornare più a casa. Oggi è la volta del ministro dell’interno Annamaria Cancellieri di annunciare che saranno disposti “ulteriori accertamenti” sulla sepoltura di uno dei capi della banda della Magliana nella chiesa di Sant’Apollinare. Autorizzata dal Comune di Roma, a quanto ha fatto sapere sempre il ministro.



IL GIALLO – C’è un nuovo mistero da dipanare. Quello riguardante la extraterritorialità o meno della Basilica di Sant’Apollinare, luogo dove è sepolto Enrico “Renatino” De Pedis, boss della banda della Magliana che nel rapimento avrebbe avuto un ruolo importante. Ieri in commissione antimafia il ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri, aveva ricordato come la mancata attivazione delle procedure amministrative richieste in un caso di questo tipo potesse essere ricondotto “alla circostanza che il luogo di ultima tumulazione, la Basilica di Sant’Apollinare, gode del regime di extraterritorialità, essendo ubicata nello Stato del Vaticano”. In realtà, è vero che alcune chiese godono del vincolo dell’extraterritorialità, ma quando un paio d’anni fa il caso era stato sollevato non pareva che fosse il caso di Sant’Apollinare. E comunque il Vaticano non si era in alcun modo opposto alla riesumazione della salma, e anche la famiglia di Renatino aveva detto che era la soluzione migliore, anche in vista di uno spostamento della tomba per chiudere le polemiche. Cosa abbia Veltroni da agitarsi tanto è un mistero che soltanto la campagna elettorale permanente di un leader disposto anche a buttarsi dal Colosseo per rimediare un ruolo, ci può svelare.



GENESI DI UNA LEGGENDA – La Orlandi sparisce quasi trent’anni fa. E’ il 22 giugno quando esce, in ritardo,da Porta Sant’Anna per andare alla scuola di musica, che si trova a un chilometro e mezzo in linea d’aria da casa sua, tra piazza delle Cinque Lune e S.Apollinare, a un tiro di schioppo da piazza Navona e dal Senato. Un vigile, Alfredo Sambuco, dice di averla vista proprio in Corso Risorgimento, parlare con un 35enne che scendeva da una Mercedes verde (metallizzato? Scuro? Cromato?), e andava dalla direzione opposta rispetto alla scuola. Dice che erano le 17, poi le 19 alla tv ben dieci anni dopo, e di nuovo le 17 poi. S’è sbagliato, ma è importante che se erano le 17, Emanuela poteva stare arrivando, se erano le 19 poteva star andandosene. Dice sempre Sambuco che il tizio ha una borsetta, e che Emanuela gli chiede dov’era la Sala Borromini, perché lui la conosce visto che una volta l’ha accompagnata alla Tappezzeria del Moro, per far riparare la custodia del flauto. Ma Ettore Orlandi, il padre oggi scomparso, a Pino Nicotri (“Mistero Vaticano“, pag. 23-30) ha detto: “Mio figlio Pietro e i suoi amici andarono a Piazza Madama pochissimi giorni dopo la scomparsa, e parlarono con il vigile Sambuco e il poliziotto Bosco. Parlando, è saltata fuori la storia di una ragazza che somigliava alle foto di Emanuela che Pietro aveva visto parlare con uno sconosciuto vicino a una Bmw. Se Sambuco dice che conosceva Emanuela, o mente o dice una cosa nuova. La faccenda della riparazione del flauto è un’invenzione: ce l’abbiamo portata noi”. Anche Bruno Bosco rende testimonianza, e parla per la prima volta della borsetta Avon contenente cosmetici, che ricalcherebbe la strategia di qualche altro fatto di sangue accaduto a Roma precedentemente (la tattica dell’”abbocco“). Dalla scuola, Emanuela telefona a casa; parla con una delle sorelle, Federica, e le dice che uno le ha promesso 375mila lire per distribuire prodotti delle sorelle Fontana al Salone Borromini, e viene all’uscita per sapere se può andarci. Le dice. Però combacia, se non fosse che questa storia, secondo Ettore, era già arrivata agli orecchi del vigile e del poliziotto tramite Pietro. Quindi non combacia. O meglio, combacia con quello che dice Emanuela. Quello che è accaduto realmente non lo sappiamo. All’uscita di scuola, Raffaella Monzi – un’altra studentessa – secondo la sua testimonianza raggiunge Emanuela, per aspettare con lei “l’uomo della Avon”. Poi se ne va, mentre le si avvicina “un’altra ragazza” – dirà lei – che le sembra un’altra allieva (Laura Casagrande); questa, però, negherà. Da quel momento la cittadina vaticana sparisce.

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CHE C’ENTRA DE PEDIS – Che c’entra De Pedis, imprenditore e criminale tanto da meritarsi l’appellativo giornalistico di boss, e collettore di una pletora di piccoli e grandi criminali nella Roma degli anni ’70 e ’80 fino a finire ammazzato da un ex amico per vendetta a causa del carcere patito? Non è vero che è stata Sabrina Minardi a chiamare in causa per la prima volta la Banda della Magliana nel rapimento di Emanuela Orlandi. La primogenitura di questo sgùb è di Max Parisi e Otello Lupacchini, che nel libro Dodici donne e un solo assassinocitano espressamente Enrico “Renatino” De’ Pedis. La fonte? Giulio Gangi, l’agente del Sisde che già abbiamo incontrato nel primo pezzo. E che dice di preciso? Un sacco di cose, qui riassunte: “Lupacchini e Parisi partono dal caso di Emanuela Orlandi, giovanissima cittadina vaticana scomparsa a Roma il 22 giugno del 1983, per approdare al crac del Banco Ambrosiano e agli intrighi in Vaticano attraverso «un finanziatore privato romano, in rapporti con personaggi legati a Pippo Calò (cassiere della mafia) e alla banda della Magliana, che possedeva un negozio in corso Rinascimento», dirimpetto al Senato. Proprio dove Emanuela venne adescata e vista per l’ultima volta mentre parlava con un uomo. L’incontro avvenne di fronte alle vetrine del locale di un «noto usuraio condannato a una pesante pena detentiva per concorso nella bancarotta del Banco Ambrosiano». Il nome che sciorinano gli autori è quello di Fausto Annibaldi che insieme a Ernesto Diotallevi (vecchia conoscenza del giudice Lupacchini ai tempi dell’inchiesta sulla Banda della Magliana) avrebbe prestato prestato 24 miliardi di dollari a Calvi. Annibaldi – ricordano gli autori – possedeva un’officina all’interno della quale venne ritrovata la macchina presumibilmente usata per trasportare la Orlandi. E la ragazza bionda che parcheggiò l’auto aveva una relazione con Enrico De Pedis, capo della «Bandaccia», unico boss ad essere sepolto in una chiesa del Vaticano.

LO STRACCIO – Di tutto questo non solo non c’è prova, ma ci sono anche alcune smentite. Ricordiamo che l’aggancio, l’approccio, l’abbocco – che dir si voglia – è stato fatto davanti al Senato della Repubblica, all’epoca pieno di polizia perché c’era il terrorismo ed avevano appena sparato a Gino Giugni, in zona; in più, c’erano delle telecamere che però quel giorno non erano in funzione, anche se questo il nostro rapitore di Emanuela non avrebbe dovuto saperlo…), o qualche altra improbabile ipotesi, è un po’ buia. Ricordiamo che Giulio Gangi non riconobbe come Sabrina Minardi la donna che lo fermò in un hotel quando si era avvicinato alla Mercedes che gli aveva indicato il vigile. Ricordiamo che questa lunga storia ha però un altro collegamento con Renatino. Perché uno dei messaggi deliranti di rivendicazione del sequestro Orlandi – la serie del Turkesh – chiama in causa un calciatore della Lazio, tal Spinozzi. Nella Lazio giocava anche Bruno Giordano, il bomber, all’epoca sposato e già separato da Sabrina Minardi, che invece frequentava – indovinate chi? Proprio Renatino De Pedis. Quanto è piccolo il mondo.

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COSA DICE LA MINARDI? – Ma cosa dice davvero Sabrina Minardi? Ecco l’agenzia che all’epoca riportava per prima il caso:

=ORLANDI:TESTIMONE,LA CONSEGNAI A UN SACERDOTE; ERA INTONTITA = ZCZC AGI2194 3 CRO 0 R01 / (Rif. 2115) ==ORLANDI:TESTIMONE,LA CONSEGNAI A UN SACERDOTE; ERA INTONTITA = (AGI) – Roma, 23 giu. – “Io arrivai li’ al bar Gianicolo con una macchina – racconta – . Poi Renato, il signor De Pedis, con cui in quel tempo avevo una relazione, mi disse di prendere un’altra macchina, che era una Bmw e di accompagnareÂ…Cioe’ arrivo’ questa ragazza, una ragazzina, arrivo’ questa ragazza e se l’accompagnavo fino a sotto, dove sta il benzinaio del Vaticano, che ci sarebbe stata una macchina targata ‘Citta’ del Vaticano’ che stava aspettando questa ragazza. Io l’accompagnai: cosi’ feci. Durante il tragittoÂ…non so quanto tempo era passato dal sequestro di Emanuela Orlandi…la identificai come Emanuela OrlandiÂ…Era frastornata, era confusa ‘sta ragazza. Si sentiva che non stava bene: piangeva, rideva. Anche se il tragitto e’ stato breve, mi sembra che parlava di un certo Paolo, non so se fosse il fratello. Va be’, comunque, io quando l’accompagnai c’era un signore con tutte le sembianze di essere un sacerdote, c’aveva il vestito lungo e il cappello con le falde larghe. Scese dalla Mercedes nera, io feci scendere la ragazza: ‘Buonasera, lei aspettava me?’. ‘Si’. Si’, credo proprio di si”. Guardo’ la ragazza, prese la ragazza e sali’ in macchina sua. Poi, io, dopo che avevo realizzato chi era, dissi, quando tornai su, a Renato: ‘A’ Rena’, ma quella non eraÂ…’. Ha detto: ‘Tu, se l’hai riconosciuta e’ meglio che non la riconosci, fatti gli affari tuoi’”. (AGI) Pot (Segue) 231306 GIU 08 NNNN

Oh, ma mi sbaglio o dice: “io la identificai come Emanuela Orlandi”? No, perché è un distinguo assai importante. Dove aveva visto la Orlandi, Sabrina? Nelle foto dei giornali.

Insomma, nella vita tutto può essere: ovvero, che realmente la Minardi abbia portato una ragazzina al monsignore, ma che questa ragazzina non fosse Emanuela, ma semplicemente che le somigliasse. Voi che dite? Che è un’ipotesi? Perché, invece quali evidenze abbiamo che la Minardi dica la verità?

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IL TESTIMONE COMODO – Sabrina Minardi infatti è un testimone comodo. Racconta una marea di delitti commessi dal suo amante De Pedis – regolarmente sposato con un altra donna – ma dimentica l’omicidio di un bambino, confessato però nel libro da lei cofirmato e uscito in tutte le librerie. Per questo è stata indagata dalla procura di Roma. Parla di un bambino sciolto nell’acido insieme ad Emanuela Orlandi, ma questo non può essere successo perché il figlio del pentito Nicitra è morto invece più di dieci anni dopo. Quante storie.

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Debunking Emanuela Orlandi reloaded

LE TRACCE DEL 2008 – Sono passati quattro anni da quando sono state riaperte le indagini del caso Orlandi. Il pubblico ministero Simona Maisto ha indagato altre persone, ritenute amiche o collegate a De Pedis. Tra questi c’è Sergione. Chi lo vedeva a volte presentarsi alla Banca dell’Agricoltura dei Colli Portuensi per “versare”, come diceva sempre, si ricorda che era tanto grosso da non riuscire a entrare nell’automobile. Chi l’ha conosciuto “ma è roba de quarant’anni fa”, invece, non ha proprio voglia di parlarne: “So’ cose che è meglio dimenticare, e poi che l’hanno arrestato non vuol dire niente: lo sai quanti ministri arrestano entro la fine dell’anno?”.  Chi invece l’ha osservato all’opera fa sapere che sapeva come gestire le sue vittime. Mai aggressivo, quasi accomodante nei modi. La sua forza risiedeva anche nel suo passato: il biglietto da visita di ex membro della Banda della Magliana bastava ad incutere timore e rispetto dai suoi ‘clienti’. Clienti tra i quali comparivano commercianti, imprenditori, anche ex carabinieri e vip come Marco Baldini, ‘spalla’ di Fiorello, indebitato per gioco d’azzardo e scommesse. Giuseppe De Tomasi, alias Sergione, era a capo di un gruppo criminale composto esclusivamente dai suoi familiari dedito all’usura, all’estorsione e al riciclaggio. Tra i familiari c’è suo figlio Carlo Alberto.

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LA PERIZIA FONICA – Sergione e il figlio, Carlo Alberto vennero ascoltati in Procura alcuni mesi fa in quanto, in base ad una perizia fonica, risultano essere coinvolti nella vicenda di quasi trent’anni fa. Giuseppe De Tomasi sarebbe infatti il ‘Mario’ che , il 28 giugno ’83, sei giorni dopo la scomparsa di Emanuela telefonò a casa della famiglia della ragazza. Carlo Alberto sarebbe la persona che nel 2005 chiamo’ alla trasmissione ‘Chi l’ha visto’ affermando che nella basilica di Sant’Apollinare era sepolto Enrico De Pedis, detto Renatino. Vicende lontane nel tempo com’è lontana l’amicizia che lega Sergione con Roberto Simmi, padre di Flavio ammazzato il 5 luglio scorso in strada a Prati. Questa storia della registrazione telefonica andrebbe riraccontata, alla luce dei fatti di oggi:

Sabato 25 e domenica 26 chiama Pierluigi, che dice di avere 16 anni. Non esiste, a quanto se ne sa, trascrizione di questa telefonata. “Emanuela è viva e sta bene ma si vuole allontanare da casa per un po’. Tornerà presto”, dice, e aggiunge due particolari decisivi: cita la Avon e riferisce dell’idiosincrasia della ragazza per gli occhiali. Dopo questo, Pierluigi esce di scena e non ci torna più. Si presenta Giulio Gangi. Appena assunto al Sisde con il ruolo di coadiutore, arriva a casa dei genitori di Emanuela per cominciare un’indagine. E’ lì perché è legato da affettuosa amicizia con la figlia di Mario Meneguzzi, zio di Emanuela; ma ai genitori non lo dice. Mette sotto controllo il telefono e opera una vera e propria perquisizione, ripetuta nei giorni seguenti. Motivo? Crede che Emanuela sia stata rapita da un’organizzazione criminale dedita alla prostituzione giovanile. Ma dice alla mamma che riavrà la figlia a breve, massimo in capo a qualche mese. Perché? Dirà poi che voleva “rasserenarla” (dal libro “Mistero Vaticano” di Pino Nicotri, Kaos Edizioni). Il 28 il telefono torna a squillare: è “Mario”. Ha un bar dalle parti di ponte Vittorio e vuole scagionare un suo amico rappresentante della Avon. Ha visto Emanuela. Si fa chiamare Barbara, è stufa della routine familiare ma tornerà alla fine dell’estate, per il matrimonio della sorella.

Questa registrazione racconta la storia di una persona che vuole assolutamente rassicurare gli Orlandi sul fatto che la figlia è ancora viva. Ma non aveva nessuna intenzione di mettere in piedi la storia del “rapimento internazionale” montata poi, con i Lupi Grigi, il Turkesh e così via. Quella scatenatasi nei mesi successivi, dopo il primo intervento del Papa sul tema: il giorno in cui, temporalmente parlando, il caso di Emanuela Orlandi divenne da semplice scomparsa in rapimento con complotto internazionale.

E’ FATTA? – E’ fatta, quindi? No. Perché c’è un piccolo dettaglio che non combacia nella ricostruzione degli inquirenti. Giusto un dettaglio. Sergione, quando venne rapita la Orlandi, era in carcere, arrestato il giorno prima, il 21 giugno 1983 – ordinanza Lupacchini. E De Pedis? Perché De Pedis è sepolto a Sant’Apollinare? Il magistrato Gerunda, tra i primi ad occuparsi del caso Orlandi, racconta che Renatino fosse convinto di essere figlio bastardo di una nota famiglia romana, la cui cappella oggi si trova proprio a Sant’Apollinare. Per questo ha insistito per farsi seppellire nella chiesa. Altri raccontano di frequentazioni  – provate e persino ammesse dall’interessato – con monsignor Casaroli, all’epoca alta sfera vaticana. Vero, De Pedis conosceva Casaroli. Ma perché l’uomo di Chiesa era solito fare ore di volontariato in una casa di correzione che aveva visto spesso ospite il giovane Renatino. Del coinvolgimento diretto di De Pedis nella storia della Orlandi, dopo anni di indagini, non c’è uno straccio di prova. Il perché della sua sepoltura in chiesa, a prescindere dalle opinioni politiche di chi sente urtata la propria sensibilità da una scelta del genere, è un affare privato tra il possessore dell’immobile e la famiglia del defunto. Cosa c’entri De Pedis con la Orlandi è un mistero che solo Uòlter potrebbe svelarci. Nell’attesa, “pace ai morti”, direbbero in Romanzo Criminale.