La terra l’è bassa

La terra l’è bassa, diceva mia nonna, che conosceva bene la bassezza del suolo perché era una fiera contadina lombarda. Ma da qualche parte e in qualche modo si dovrà pur ripartire. E allora famose du’ spaghi (al farro).

Un paio di settimane fa ho conosciuto Carlo e Carla Latini, due persone molto care e gentili, ma soprattutto sveglie. Sono i proprietari della Pasta Latini di Osimo, un’azienda che, come si può non senza una certa difficoltà evincere dal nome, produce pasta. Una pasta molto buona (la chiamerei un’eccellenza italiana, ma questa espressione mi pare conferisca un sapore di segatura a un prodotto altrimenti gustoso) che viene venduta in tutto il mondo e utilizzata da grandi ristoranti. Per dire ciò non mi hanno dato un soldo né mi hanno fatto omaggio nemmeno di un fusillo (però un fusillo potevano regalarmelo, accidenti), ma non è questo il punto.

BRIANZA MIA – Il punto è che questi Latini, marchigiani e per nulla leghisti, hanno deciso di produrre la Pasta del Nord, che sarebbe una pasta fatta con il farro della Brianza. A questo scopo non sono andati a Shangai a ordinare una vagonata di cereali geneticamente modificati, come si usa, ma stranamente sono venuti appunto in Brianza, si sono messi d’accordo con una ventina di contadini e hanno seminato una varietà di farro originaria, che sarà raccolto a luglio e lavorato in una piccola struttura che i nostri pastaioli stanno allestendo qui nelle nostre lande. Strani tipi, questi mezzi meridionali. Così a settembre noi very original brianzoli DOC avremo la nostra pasta DOC. Piove sul bagnato? Niente affatto. Magari qualcuno pensa ancora che noi qua in Brianza ce la passiamo bene. No, non ce la passiamo bene per niente, anzi, noi che eravamo (o forse sarebbe più realistico dire fummo stati) lavoratori e benestanti, trovandoci in questa contingenza di essere allontanati a forza dal lavoro e dalla benestanza alla fine siamo messi piuttosto male. Non c’è ditta da noi che non abbia chiesto la cassa integrazione, e non lo suppongo io in preda ai fumi della polenta taragna, ma lo sanno tutti. La Brianza sta spegnendo le luci, e anche la Leuci, che faceva appunto le lampadine, ha chiuso alla fine del 2009. Così, in questa desolazione, l’arrivo dei semi di farro portati dai pastaioli marchigiani è come un dono di Cerere a una terra triste e secca, che si era dimenticata di dare frutto, abbandonata dai suoi abitanti, troppo occupati al capannone e alla fabbrichetta a fare beni di consumo la cui produzione è attualmente stata trasferita in blocco in Cina e Romania o chi per esse.

MUTUO SOCCORSO – Carlo e Carla mi hanno detto che non erano mai stati in Brianza prima di avere l’idea del farro. Poi sono arrivati e si sono innamorati di noi e del nostro territorio. Poverini, mi spiace per loro, che per tutta la vita hanno sentito la mancanza di colline devastate da gru e capannoni e di persone malmostose che pensano solo ai soldi, ma sono anche contenta che abbiano infine ovviato a tale carenza.  Non è edificante questo fatto del centro che viene in soccorso al nord? È una cosa a cui fare pubblicità, perché per troppo tempo ci siamo sentiti in credito, nei confronti del resto dell’Italia. Eravamo arroganti. Eravamo in cima al mondo, fino a qualche anno fa, e ci sono ancora alcuni molto celebri residenti (stranieri di Milano trapiantati in qualche villa plutocratica) che sostengono che ci siamo ancora. Due osservazioni: prima, chissenefrega di stare in cima a un mondo così, e seconda, bisogna proprio andare in giro in elicottero o con un’auto blu dai vetri oscurati per non vedere ciò che appare evidente a tutti noi, e cioè che la desolazione si allarga, con uno strascico lungo molto più dell’esagerato velo di una sposa buzzurra.  In futuro dovremo imparare ad accontentarci, come facevano i nostri antenati, perché l’aria tira da quella parte e la direzione non cambierà molto presto né molto facilmente. Oltre a imparare – impresa già di per sé non facile – dovremo anche deciderci a insegnare alla nuova generazione questa predisposizione d’animo, al posto di crescere il nostro futuro nella bambagia tra le scuole private, le seconde case, i viaggi nei villaggi vacanza e il sedile posteriore del SUV.  Cosa siamo diventati? Nient’altro che braccia rubate all’agricoltura.  È tempo di restituire il maltolto.

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