La violenza infinita in Messico

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La guerra della droga in corso da ormai sei anni ha causato oltre 50 mila morti. Il Governo non riesce a imporre la legge ed è inconsapevolmente usato dai cartelli che dominano il Paese

Il Messico si prepara all’appuntamento elettorale scosso da una guerra combattuta al suo interno tra stato e cartelli della droga che ha lasciato sul campo negli ultimi sei anni qualcosa come 50.000 vittime.



L’IMPEGNO DEL GOVERNO – Tutto iniziò l’11 dicembre 2006, ovvero in occasione dell’elezione dell’attuale presidente Felipe Calderón. Il neo capo di stato una volta arrivato al potere ha voluto cambiare marcia rispetto all’azione del predecessore, Vicente Fox, il quale nei primi anni 2000 mandò le truppe a Nuevo Laredo e Tamaulipas al fine di combattere i cartelli. Successivamente la presidenza spedì altri soldati nello stato di Michoacán per combattere la locale Familia. Con il cambio di presidenza si arrivò all’invio di 6500 soldati il cui obiettivo era quello di chiuderla per sempre con la violenza nello stato del Michoacán. A oggi i soldati impegnati in questa guerra sono 45.000 e fanno di tutto per evitare che i “cartelli” si sostituiscano alla polizia e all’esercito regolare dettando così la propria legge.



CARTELLO – Prima di proseguire cerchiamo di spiegare cosa significhi “cartello della droga”. Questa definizione identifica un’organizzazione criminale impegnata in operazioni legate al traffico di stupefacenti a livello mondiale. Si va dagli “accordi di gestione” tra gruppi di malviventi nella produzione e nello smercio di droga tra narcotrafficanti fino ad arrivare a gruppi criminali impegnati “motu proprio” nell’importazione e nell’esportazione di stupefacenti. Il cartello resta tale solo se si occupa della produzione e distrubuzione di droghe, in special modo la cocaina. Se dovesse “ingrandirsi” perderebbe il suo status di “cartello” diventando un’organizazzione criminale a tutti gli effetti.



UN PO’ DI STORIA – Tra i primi cartelli “storici” messicani è necessario ricordare il Cartello di Cali, nato agli inizi degli anni ’70 e che all’epoca gestiva l’80 per cento delle esportazioni della cocaina dal Messico agli Stati Uniti. Negli anni ’80 questo gruppo entrò in conflitto con il Cartello di Medellin, fondato da Pablo Escobar e dai fratelli Ochoa il quale aveva affari anche in Bolivia, Peru, nord America, Europa. Ad aiutare il cartello di Cali un gruppo di vigilanti armati, autodefinitesi “il popolo perseguitato da Pablo Escobar” e chiamati ufficialmente “Los Pepes”, il cui unico obiettivo era quello di uccidere il boss del cartello avversario. Nel 1993 il  Cartello di Medellin venne smantellato a seguito di un’operazione congiunta Stati Uniti – Colombia. Escobar venne ucciso e altri uomini di punta vennero arrestati.

LE NUOVE LEVE – Con la caduta del cartello di Medellin si affievolì anche il potere del cartello di Cali, con la progressiva disgregazione dei “Los Pepes”, i quali con la morte di Escobar avevano perso il motivo che li legasse. Con la caduta di questi personaggi la piazza è stata occupata da altri cartelli, forse ancora più feroci di quelli che avevano dominato il campo tra gli anni ’70 e ’90.  Oggi le cronache sono dominate dalla Famiglia Michoacana, nata negli anni ’80 come gruppo di vigilantes il cui obiettivo era quello di dare la caccia a criminali e spacciatori di droga per aiutare la grave situazione sociale nel Michoacán. La Familia è un’organizzazione caratterizzata dalla forte vocazione religiosa e dal rispetto delle regole. I suoi militanti non possono drogarsi e devono comportarsi sempre in maniera rispettabile. Per il capo, Nazario Moreno González, la morte dei nemici è un obbligo divino.

CONFLITTI – Negli anni ’90 si trasformò nella falange armata del cartello del Golfo, desideroso di mettere le mani sul mercato della droga nel Michoacán con tanto di addestramento da parte dei Los Zetas. Nel 2006, a seguito di un’operazione antidroga vi fu una scissione tra La Familia e i Los Zetas. La Familia si unì al cartello di Sinaloa diventando uno tra i più potenti e temuti dell’intero Messico. Il Cartello di Sinaloa gestisce il traffico di droga colombiano insieme alla marijuana e all’eroina messicana e del sud-est asiatico. Fino al 2008 era alleato con il cartello di Juárez che si occupa del transito della droga dal Messico agli Usa attraverso la città di Ciudad Juárez. Il suo “esercito” sono i “Los Negros”, un’unità di stampo militare nata per contrastare le operazioni del Cartello del Golfo

LA CITTA’ PIU’ PERICOLOSA A MONDO – Leader indiscusso dello stato di Chihuahua fino al 2008, in quell’anno vi fu la rottura dell’alleanza con il cartello di Sinaloa. Nel quadrienno successivo vi fu un’escalation della violenza che provocò 10 mila morti rendendo Ciudad Juárez la città più pericolosa al mondo. Al servizio del cartello di Juarez ci sono “Los Aztecas”.  A fare la parte del leone al momento è però il Cartello del Golfo, basato a Matamoros ed operante in 13 regioni messicane. I suoi affari vanno dal traffico di sostanze stupefacenti al contrabbando internazionale d’armi. Questo cartello è ben presente nel tessuto politico e sociale messicano visto la corruzione di politici e uomini di legge sia americani sia messicani. Il Cartello del Golfo poteva contare su una milizia di prim’ordine, i Los Zetas, una formazione paramilitare composta in origine da disertori delle forze speciali dell’esercito messicano e Kaibilies del Guatemala. Nel 2004, con l’arresto del capo del Cartello del Golfo  Osiel Cárdenas Guillén, i “Los Zetas” si licenziano dando vita a un proprio cartello della droga.

IMPEGNO INUTILE – In queste righe abbiamo quindi riassunto la situazione passata e presente della guerra della droga in Messico. Ogni cartello ha una sua milizia preparata con tecniche militari il cui obiettivo è quello di annientare i nemici. Nonostante l’impegno del Governo i cartelli si muovono, agiscono, si vendicano in totale libertà e lo Stato, per quanto s’impegni, spesso è costretto ad assistere impotente al massacro. Nello scorso numero de “L’internazionale” venne pubblicata una storia relativa a un macabro ritrovamento diventato ormai normale nella società messicana.

MORTI SU MORTI – Lo scorso 13 maggio sono stati trovati a Monterrey, nel nord del Paese, 49 corpi mutilati privi di testa, mani e piedi. Il 9 maggio vennero rinvenuti altri 18 corpi mutilati chiusi dentro alcuni veicoli abbandonati a Guadalajara. La settiaman prima vennero trovati a Nuevo Laredo nove corpi impiccati penzolare da un ponte e 14 teste chiuse in diverse borse frigo piazzate davanti agli uffici del governo locale. Una carneficina all’apparenza senza senso ma che letta nell’ottica dell’attività dei cartelli denota la volontà di “marchiare” il territorio avvertendo allo stesso tempo gli avversari. “Questa è zona nostra. Attenti”.

SFIDE CONTINUE – Questi massacri ad esempio vanno attribuiti alla faida il cartello dei Los Zetas, in lotta contro quello di Sinaloa, alleato del Golfo già datore di lavoro delle “zeta”. La strage di Nuevo Laredo, in pieno territorio della fu organizzazione paramilitare, sarebbe opera del cartello di Sinaloa. Un avvertimento. Un messaggio. Al quale le Zeta hanno risposto a con la carneficina di Guadalajara, territorio appartenente al clan di Sinaloa.

CALENTAR LA PLAZA – Oltre a mostrare i muscoli scatenando rappresaglie sempre più violente, i vari cartelli in questa maniera sperano di “calentar la plaza”, ovvero di accendere gli animi. Tanto più una strage apparirà senza senso, vedrà coinvolti degli innocenti e susciterà sdegno, tanto più il Governo manderà poliziotti a presidiare il territorio bloccando le iniziative dei criminali. Arzigogolato, assurdo, ma con una sua logica. Il che comunque spiegherebbe l’incursione dei Los Zetas a Monterrey, territorio nemico. I 49 cadaveri erano affiancati da un graffito: “Z 100%”. Più eloquente di così. Anche per il Governo, ridotto in questo caso a semplice marionetta.

VINCIAMO L’ARROGANZA – A lasciare perplessi anche un secondo dato: le vittime non hanno legami con i cartelli. Non c’entrano nulla. Questo fa si che nel Paese si sviluppi una specie di “rassegnazione” alla violenza, contro la quale non bastano un po’ di azioni militari da parte del Governo. La Bbc ci porta in una zona calda, una “terra caliente”, per capire bene come si sviluppa la vita in una regione ad altra concentrazione di violenza. Ci troviamo nello stato del Michoacán, regno de “La Familia” e sede principale della guerra della droga dopo l’invio di migliaia di soldati da parte del presidente Calderón. Il candidato presidenziale Josefina Vasquez Mota ha spiegato “la maggioranza dei messicani non vuole che il Governo si arrenda ai criminali”, confermando come per quanto il cammino intrapreso dallo Stato non sia per nulla agevole, questo potrebbe rappresentare l’unica risposta efficace all’arroganza dei cartelli della droga.

IL RUOLO DELLE FORZE SPECIALI – La Mota è il primo candidato donna nella storia del Messico, relativamente ai grandi partiti. E’ stata scelta dallo stesso partito di Calderón, il che spiega la comunione d’intenti in campo militare. Secondo la Mota l’unico modo per agire è quello d’inviare una forza speciale che possa prendere il posto di centinaia di poliziotti corrotti che grazie a due lire e alla promessa di avere salva la vita permettono ai cartelli di fare quello che vogliono. Del resto, come detto precedentemente, la corruzione è una delle armi principali del Cartello del Golfo.

EPPURE SI CONTINUA A MORIRE – Belle parole quelle della Mota, ma lei stessa riconosce che la situazione nello stato del Michoacán sia quantomeno complessa. Qui vengono prodotte le metanfetamine destinate poi al mercato interno e a quello degli Stati Uniti e quest’attività è gestita da “La Familia”. E anche qui abbondano i casi di morti squartati, smembrati, umiliati nelle parti intime. Uccidere i nemici è un obbligo divino. Tra i nemici va registrata anche Minerva Bautista, politico di sinistra, scampata nel 2010 a un attentato firmato da La Familia.

LA DONNA MIRACOLATA – Il 24 aprile 2010 l’allora responsabile per la sicurezza nello stato del Michoacán venne attaccata da 20 uomini armati, per lo più adolescenti, i quali dapprima hanno bloccato la vettura sulla quale viaggiava, una Gran Cherokee blindata, per poi bersagliarla per 15 minuti con oltre tremila proiettili da armi d’assalto come AK-47, AR-15, G3 e.50 Barret.  Come se non fosse sufficiente, gli attentatori hanno lanciato qualcosa come 10 granate. Nell’attacco morirono due sue guardie del corpo così come due passanti, ma lei riuscì miracolosamente a scamparla .

SITUAZIONE SURREALE – “Non ricordo molto di quell’attentato -dice la donna- perché era tutto così irreale. Le granate non sono esplose. E’ stata una fortuna perché con la macchina in quelle condizioni avremmo fatto tutti una brutta fine”. La brutta fine la fece indubbiamente il meccanico che preparò la jeep, ucciso da La Familia per vendetta visto che aveva preparato la Grand Cherokee tanto bene. Ora la donna ha lasciato il suo incarico ma è in corsa per diventare primo cittadino della capitale dello Stato, Morelia, ed è meno convinta rispetto a Josefina Vasquez Mota sulla buona riuscita della campagna militare del Governo contro La Familia.

L’ATTACCO ALLA FESTA D’INDIPENDENZA – “Non sono convinta sia la strada giusta -spiega la Bautista- ora abbiamo a che fare con migliaia di famiglie abbandonate, di bambini e ragazzi orfani, di persone scomparse nel nulla che non torneranno mai più”. Una situazione difficile, incontrollabile, ingestibile. A testimoniarlo un giornalista locale il quale ha raccontato di quanto successo a Morelia il 15 settembre 2008, ovvero la festa dell’indipendenza messicana. La piazza principale della città era gremita di persone, con il governatore dello stato del Michoacán impegnato a magnificare la grandezza e il prestigio del Messico.

DUE MESSICO – Durante la celebrazione, nel pieno del discorso del governatore dal balcone del suo palazzo, un commando armato ha lanciato due granate in mezzo alla folla festante uccidendo otto persone e ferendone diverse dozzine. “Cos’è stato? Un chiaro avvertimento dei cartelli alle autorità dello Stato. Potevano essere più chiari di così? “, spiega il giornalista rimasto anonimo che conclude: “chi non vive qui non può capire. Esistono due Morelia, due Michoacán, due Messico”.

SITUAZIONE DI DIFFICILE COMPRENSIONE – Questa posizione stride con le parole dei principali candidati alla poltrona di Presidente del Paese centroamericano. Enrique Pena Nieto, Andres Manuel Lopez Obrador, Josefina Vazquez Mota e Gabriel Quadri sono convinti della necessità di un inasprimento della guerra contro i cartelli, ma come riportato dal Guardian e ripreso da Internazionale, sia i cartelli sia la popolazione non sono interessati alla questione elettorale. I primi cercano di affermare la propria legge, i secondi cercano di non essere coinvolti. Si viaggia su due binari paralleli, e a pensarci bene forse ha ragione quel giornalista quando parla di due entità distinte che viaggiano parallele e che non possono essere comprese se non si è messicani.