La7, la tv nata morta

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Nel 2000 Seat Pagine Gialle acquistò con una manovra controversa dal gruppo Cecchi Gori le reti televisive Tmc e Tmc2, con l'obiettivo di creare il primo network italiano che legasse comunicazioni, televisioni ed internet. 12 anni dopo il gruppo è in vendita, caricato da disillusioni e speranze perdute

La volontà da parte di Telecom Italia Media delle frequenze e degli impianti di La7 ed Mtv non può non far ritornare alla mente quanto successe nel 2000, ovvero quando Seat – Pagine Gialle acquistò le stesse frequenze da Vittorio Cecchi Gori, in disperato bisogno di liquidità per ripianare i debiti del suo gruppo editoriale.



LA VENDITA – Andiamo con ordine. Il sei agosto 2000 la Seat – Pagine Gialle, nella figura del suo amministratore delegato di allora, Lorenzo Pellicioli, annunciò che avrebbe rilevato da Vittorio Cecchi Gori la vecchia Telemontecarlo, ormai conosciuta come Tmc, e la sorellina più piccola, Tmc2. Valore dell’operazione, 1000 miliardi di lire. Da sottolineare che all’epoca le parti direttamente interessate si trovavano in ferie, per cui la vendita venne definita dagli avvocati e dai consulenti, i quali si persero in lungaggini di vario genere. All’epoca l’obiettivo di Seat era solo uno, accorpare le attività in acquisizione nell’ambito del web attraverso Tin.it e godere di un canale tv il quale avrebbe rappresentato l’eccellenza tricolore nell’ambito della comunicazione a 360 gradi.



LA FORMULA ARDITA – L’acquisizione riguardava la presa di possesso immediata del 75 per cento di Tmc. Il restante 25 per cento in mano a Vittorio Cecchi Gori sarebbe stato acquisito entro due anni dalla firma dell’accordo ad un prezzo determinato. La formula del pagamento portò a contrasti negli anni seguenti. Pellicioli usò una “tecnica” già impiegata nelle operazioni europee di Seat: l’acquirente si faceva carico dei debiti del gruppo di Firenze, esposto per 500 miliardi su 750 di fatturato, il resto l’avrebbe pagato in parte con azioni ed in parte i contanti. Poca liquidità, quindi, con un’ipotesi di 300 milioni cash finiti nelle tasche del figlio di Mario.



LA CAUSA DI VITTORIO CECCHI GORI – Parlavamo di problemi. La formula di pagamento non andò proprio giù al buon Vittorio che si sentì “defraudato” di circa 750 miliardi di lire, visto anche quanto ricevette in cash e quanto veniva valutato il suo impero televisivo. Nel 2001 si rivolse ad un collegio arbitrale che dichiarò però legittimo il comportamento e gli atti di Telecom Italia Media nei confronti della vecchia proprietà di Tmc e Tmc2, ovvero la Cecchi Gori Communications. Telecom Italia Media, il soggetto che sostituì Seat Pagine Gialle, azienda “morta” dopo lo scorporo delle attività telefoniche, emise un comunicato nel quale smentiva le accuse di comportamento scorretto.

TUTTO IN REGOLA – “il collegio ha ritenuto del tutto legittime le operazioni di azzeramento e di ricostituzione del capitale sociale di Cecchi Gori Communications, considerando altresì congruo e legittimo il termine di 30 giorni che era stato fissato per l’esercizio del diritto di opzione. In sostanza, il collegio ha stabilito la legittimità degli atti con i quali Seat Pagine Gialle, sottoscrivendo il 100% del capitale sociale, ricostituito, della Cecchi Gori Communications, ha acquisito il controllo totale di tale società”. Insomma, il gruppo di Colaninno e Pellicioli ha messo a posto i conti dell’azienda, quindi di fatto è diventata sua, con buona pace del “mi’ bischero”, nomignolo affettuoso con il quale Mario si rivolgeva a Vittorio Cecchi Gori.

I PALETTI DELL’AGCOM – Uscito di scena l’imprenditore fiorentino, si apriva un nuovo problema per la gestione della Rete. L’acquisizione di Tmc e Tmc andava a scontrarsi con quella che era la normativa all’epoca in vigore, ovvero la 249/97, meglio conosciuta come “legge Maccanico”, la quale oltre ad aver previsto l’istituzione di un’Authority, ovvero l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, Agcom, vietava al concessionario del servizio di telecomunicazioni di entrare nel settore televisivo. Il 17 gennaio 2011 l’Agcom diede parere negativo all’acquisizione appunto per via della posizione dominante di Telecom nel mercato delle telecomunicazioni, nella quale era di fatto una monopolista anche se già allora esistevano altri soggetti.

IL RICORSO AL TAR – L’Autorità Garante per la Concorrenza invece diede il suo via libera il 23 gennaio 2001, anche se venne sottolineato come l’operazione in sé fosse vietata proprio per quanto deciso dall’Agcom, anche se non era in opposizione alle leggi dell’Antitrust, anche perché al 1998 Tmc e Tmc2 raccoglievano insieme il 2,6 per cento del mercato pubblicitario. Telecom e Seat – Pagine Gialle presentarono ricorso al Tar del Lazio sostenendo come la fu Sip non fosse più dal 1998 il monopolista delle telecomunicazioni in Italia. Il tribunale diede torto all’Agcom, che a sua volta propose un ricorso al Consiglio di Stato, perdendolo. 

L’IMPEGNO NEL DEBITO – Intanto Seat regolò la posizione con Cecchi Gori con azioni ordinarie di futura emissione con un minimo di 33,1 milioni di azioni ed un massimo di 36,1, con l’impegno a fine acquisizione che il debito di Tmc e Tmc2 non superasse i 79 miliardi di lire. Poteva nascere così il terzo gruppo italiano, scatenando anche un putiferio a livello politico con Mediaset ed editori spaventati dall’ingresso di un competitor così forte nel mercato pubblicitario, competitor che all’epoca puntò alla fusione fra tv, telefono ed Internet per diventare il primo gruppo editoriale del Paese, anche se poi vedremo che nel 2003 la tv dei nani, come venne simpaticamente ribattezzata La7, passò tutta la sua attività nel settore a Urbano Cairo.

IL NUOVO CORSO – Il 24 giugno 2001 il logo di Tmc lasciò il posto al marchio La 7, durante una serata inaugurale dal titolo “Prima serata” in onda dalle 20:30 e condotta da Fabio Fazio e Luciana Littizzetto. Gli ospiti furono: Gad Lerner, Pino Daniele, Francesco De Gregori, Giuliano Ferrara, Sabina Guzzanti, Geri Halliwell, Neri Marcorè, Vincenzo Montella, Eros Ramazzotti e Nina Moric. In contemporanea venne trasmesso, per la zona del Lazio, il concerto di Antonello Venditti al Circo Massimo per la vittoria dello scudetto della Roma, con la partecipazione straordinaria di Sabrina Ferilli in qualità di madrina. Il riscontro fu magnifico, 2 milioni di telespettatori.

I NOMI – La7 voleva diventare una tv frizzante, trasgressiva e movimentata. Per questo venne chiamato come direttore di rete Roberto Giovalli, già alla guida di Italia 1. Viene ingaggiato Fabio Fazio il quale sarebbe partito nell’autunno di quell’anno con il suo Fab Show, sospeso il giorno prima della messa in onda. Gad Lerner viene posto alla guida del Tg La7, nato sulle ceneri della vecchia TMC News. Altri nomi previsti l’ex velina Roberta Lanfranchi, la giornalista Valeria Benatti, Dado Coletti, Eleonora Di Miele, Edoardo Stoppa, Arianna Ciampoli, Jane Alexander, Rosita Celentano, Tessa Gelisio, Andrea Monti, Tamara Donà, Alvin, Marcello Martini, Aldo Biscardi.

IL CAMBIO DI ROTTA – Niente da fare, nonostante l’impegno e l’utilizzo di vecchi contenitori già presenti su Tmc come Cartoon Network, la rete non si schiodò mai dal 2 per cento. Non è tutto. La morte della prima versione di La7 arrivò nel 2002, ovvero quando Telecom passò nelle mani di Marco Tronchetti Provera, con l’addio di Roberto Colaninno. La rete divenne un canale d’informazione ed approfondimento con l’obiettivo del 2 per cento di share. I vecchi conduttori furono liquidati ed i loro programmi cancellati. Roberto Giovalli salutò la truppa lasciando il posto ad Andrea Del Canuto ed il logo divenne da arancione a grigio. Un presagio? Del vecchio palinsesto rimasero solo Biscardi e Diario di guerra, diventato poi otto e mezzo. Il sospetto di un repentino cambio di marcia con l’avvento di Tronchetti Provera, accomunato dalla vittoria alle elezioni di Silvio Berlusconi, lasciò molti di stucco, tanto che Mediaset a partire dal 2007 intervenì per ripianare i conti in perdita della fu Tmc, per evitare che Rupert Murdoch potesse mettere gli occhi sul mercato della tv libera.

BIMBO NATO MORTO – L’errore venne fatto a monte. Colaninno e Pellicioli nonostante l’entusiasmo, partirono al rallentatore. Altro che fatto compiuto. Persero mesi nel corteggiare Mentana, che poi casualmente arrivò anni dopo, e mantennero la loro opera in incubatrice, permettendo ai nemici di poterla uccidere senza sforzo. Con l’arrivo di Tronchetti Provera l’artefice dell’acquisizione della rete, Pellicioli, si dimette. Enrico Bondi, nuovo Ad di Telecom, sostiene che i conti non tornano e che non vale la pena buttare sul piatto 1000 miliardi per arrivare al massimo al sette per cento di share. Il che fa capire perché Cecchi Gori nel 2001 abbia provato a definire nullo l’accordo d’acquisto. Avrebbe potuto farci molto più della ricotta che in effetti portò a casa.

NON VOGLIO ELEMOSINE – La7, come ha dimostrato la presenza in organico di soggetti per lo più fuggiti da Raitre, ha cercato di distinguersi come tv di sinistra contro l’egemonia berlusconiana in Mediaset a livello operativo ed in Rai a livello politico. Il nano voleva diventare un gigante sottraendo risorse al deus ex machina della televisione italiana, anche perché Mario Brugola, il concessionario dell’epoca, portò a casa 250 inserzionisti per 230 miliardi di lire per La7 ed Mtv, di cui 4 al mese solo per Fazio. Come detto, il resto è storia. Spariti i “sognatori” ed arrivata al potere la realpolitik, il Fab Show va in cantina, delle previsioni del tempo targate Luciana Littizzetto non le parliamo, Gad Lerner se ne va con queste parole: “non voglio fare lo straccione che vive di elemosina”.

IL NUOVO CHE AVANZA – Chi arriva? La Booz Allen & Hamilton, società che già lavora per le reti di Milano 2 su incarico di Bruno Ermolli, il tutore aziendale di Marina Berlusconi. In più ecco comparire Maurizio Costanzo, il cui “show” sarebbe stato ucciso dallo spettacolo di Fazio. Costanzo che poi sarebbe stato il mentore di Andrea Del Canuto, trentenne, esperto in allineamento dei palinsesti. Vice direttore? Tamara Gregoretti, sorella di Sabina Gregoretti, produttrice di Maria De Filippi e della Fascino, società di produzione di Costanzo.

L’ATTESA NELLA VENDITA – I “barbari sognanti” ritengono che la morte nella culla di La7 sia stata opera di Berlusconi, a causa dell’impegno nella scalata di Tronchetti Provera, il quale all’epoca venne definito da Studio Aperto “manager dell’anno”, di Edilnord, acquistata dalla Pirelli a 425 miliardi di lire. Secondo i nuovi consulenti il piano era troppo ambizioso perché potesse reggere. Ma nessuno volle vendere. A differenza di quanto accade oggi. La 7 all’epoca venne iscritta nel bilancio Telecom a 1000 milardi di lire. Il piano era di mantenerla finché possibile, perdendo poco alla volta, anziché lanciarsi in una minusvalenza. Probabilmente se a posto di Pellicioli ci fosse stato Tronchetti Provera, Cecchi Gori avrebbe riavuto le sue proprietà, anche perché piuttosto che perdere 500 miliardi era meglio starsene a zero.

LIBERIAMOCI DEL PESO – Oggi sembra essere tornati al 2002. Franco Bernabè ha deciso che è ora di basta. Telecom Italia Media deve chiudere il rapporto con il “cadavere”, o gigante pigmeo, chiamatelo come volete. Il problema è che nel frattempo intorno a La7 si è riunita una nuova nebulosa di personaggi che l’hanno trasformata di nuovo in una rete “di sinistra”. Con l’abbandono nel 2007 di Antonio Campo dall’Orto e con l’opera alle news di Antonello Piroso, con la presenza di Daria Bignari e Piero Chiambretti, la rete era riuscita a ritagliarsi una propria, minuscola, identità. Lerner nel frattempo tornò con l’infedele e Lilli Gruber sostituì Giuliano Ferrara a otto e mezzo.

LE CELEBRITA’ – Nel 2011 sono approdati Roberto Saviano, Benedetta Parodi, Corrado Formigli, Nicola Porro, Michela Rocco, Gianfranco Vissani, Serena Dandini e Sabina Guzzanti. Hanno salutato la truppa Victoria Cabello ed Ilaria d’Amico. Nel 2012 invece ecco Michele Santoro, che si alternerà con Corrado Formigli, Mario Tozzi e Cristina Parodi. Tutto possibile, a partire dall’ingaggio di Enrico Mentana, grazie alla fuoriuscita di Cesare Geronzi, fiero difensore dei desiderata berlusconiani, da Mediobanca. La scelta di Telecom di non buttarsi in una minuvalenza ha disastrato i conti dell’azienda, la quale in 10 anni ha perso un miliardo e mezzo di euro.

CHE SPERANZE PER IL FUTURO? – Il tutto grazie a perdite cumulate e svalutazioni. Nel 2003 il 59 per cento di Ti Media era iscritto nel patrimonio di Telecom per 747 milioni di euro, oggi è svalutato a 221: 526 milioni volatilizzati, oltre alle perdite di ogni esercizio. Ora però Telecom ha deciso che vuole un miliardo di euro per La7 e e sue frequenze terrestri. Due mila miliardi di lire. Il tutto con un parco “personaggi” molto più appetibile del passato. Il doppio rispetto a quanto investito 12 anni fa. Ma il gioco vale la candela. Parliamo di due emittenti generaliste, conosciute al grande pubblico e che rappresentano un boccone prelibato per i 15 contender. Purtroppo per qualcuno oggi le cose sono cambiate: da un lato non c’è più un soggetto assetato di liquidi e dall’altro non c’è un ente manipolabile. In attesa di un acquirente serio che possa rivitalizzare un sogno infranto da chi non ha accettato il suo ingresso.