L’Europa si trova in questi mesi ad affrontare uno dei più consistenti e drammatici flussi migratori degli ultimi anni. Il dibattito tra chi è favorevole all’accoglienza e chi è contrario sta spaccando l’opinione pubblica in più di uno stato. Tra le obiezioni più gettonate ne spiccano principalmente tre:
Massimiliano Calì, Senior Trade Economist alla World Bank ha provato a rispondere a queste domande aiutandoci a fare un po’ di chiarezza su questioni che rimarrebbero altrimenti radicate nel pregiudizio.
Non solo l’arrivo dei profughi non influirà negativamente sull’economia, ma la Banca Mondiale stima una una crescita creale del Pil libanese del 2.5%, il risultato più positivo degli ultimi 5 anni.
«Un nostro rapporto per la Banca mondiale – spiega Calì – mostra come proprio il flusso di profughi siriani abbia aiutato l’economia libanese a mantenere tassi positivi di crescita, generando un aumento della domanda per servizi prodotti localmente. La domanda è finanziata da risparmi propri, da reddito da lavoro, da rimesse dall’estero e da aiuti internazionali. I soli 800 milioni di dollari in aiuti umanitari che l’Onu sborsa annualmente in Libano per i rifugiati siriani hanno contribuito per l’1.3 per cento del Pil del paese».
Anche sul mercato del lavoro, secondo Calì, non si verificheranno effetti negativi.
«Uno studio recente mostra che i profughi siriani in Turchia hanno rimpiazzato parte della manodopera locale, principalmente tra lavoratori informali e part-time. Ma l’ingresso dei profughi ha anche determinato la crescita dell’occupazione dei lavoratori turchi nel settore formale e questa riallocazione ha contributo a un aumento del salario medio».
Per garantire un’accoglienza adeguata aumenteranno le tesse? Calì ricorda l’esperienza turca.
«Per fornire accoglienza il governo turco ha speso finora 5,37 miliardi di euro, interamente finanziati dalle proprie entrate fiscali. E per quanto sia una spesa ragguardevole, non ha minato la sostenibilità fiscale del paese. Cifre simili appaiono alla portata della UE, la cui economia è ventitré volte più grande di quella turca»