L’Arabia Saudita decapita di più
20/10/2014 di Redazione
Nel 2014 i condannati a morte in Arabia Saudita sono aumentati vistosamente, un problema per il regno, che però in questo modo cerca di mantenere l’ordine con i soliti sistemi medioevali, non meno pre-moderni di un sistema giudiziario che non prevede nemmeno l’avvocato difensore per gli accusati.
IL BOOM DELLE DECAPITAZIONI – Solo in agosto l’Arabia Saudita ha decapitato 26 persone, su un totale di 59 in tutto l’anno, un’impennata che molti hanno messo in relazione con l’insorgere dell’ISIS, anche se non è che siano stati degli islamisti a finire sotto la scimitarra del boia. La piccola strage d’agosto peraltro non ha fatto che sottolineare la similitudine tra la «giustizia» praticata dall’ISIS e quella in vigore in Arabia Saudita, dove sono state mandate a morte persone con accuse quali lo spaccio di droga, la «stregoneria» o l’adulterio, proprio come accade nelle lande occupate dal califfato.
CONDANNE MOLTO DISCUTIBILI – Ancora più fastidioso che tra i condannati ci sia un predicatore sciita accusato di «sedizione», che per i Saud significa aver protestato o incitato alla protesta. Accusa vaga, del tutto politica e che non offre scampo dalla scimitarra. La pena di morte in Arabia Saudita è comminata solo a chi confessa, ma sulle confessioni non c’è alcuna garanzia visto che gli imputati non hanno diritto a un avvocato e che quando ce l’hanno rischia grosso anche lui.
UN SISTEMA SU MISURA DEI PRIVILEGIATI – In più, il particolare sistema fondato sulla Sharia rende impossibile ai più le scappatoie che possono evitare l’esecuzione capitale grazie all’intercessione dei parenti della vittima, in genere in cambio di un risarcimento in denaro: il massimo se la vittima è un uomo, la metà se è una donna, risibile se non musulmana. Una scappatoia che ovviamente si rivela meno praticabile per i meno abbienti e ancora di più per chi è privo dei legami tribali che rendono possibile questo genere di mediazione, come ad esempio gli stranieri.
L’IMBARAZZO DEGLI ALLEATI – Il problema non è tanto quindi nel numero delle esecuzioni, ma della loro natura e dello stato della giustizia saudita, per la quale era stata promessa una riforma in senso più moderno già nel lontano 2007, ma poi non se n’è fatto niente, anche perché qualsiasi riforma rischierebbe di scalfire i privilegi dei reali e turbare la loro consuetudine a usare i tribunali come mera estensione della loro volontà. Una situazione imbarazzante soprattutto per gli alleati dei Saud, su tutti gli americani, che avevano promesso di portare la democrazia in Medio Oriente già nel 2001 e che per ora non sono riusciti a nemmeno acriticare i Saud, figurarsi a imporre loro riforme in senso democratico o anche solo più moderno.