L’aumento dell’Iva cambia la pausa caffè

Categorie: Economia

Dal primo gennaio 2014 il prezzo della bevanda alle macchinette salirà di almeno cinque centesimi a causa dell'aumento dell'imposta sul valore aggiunto dal 4 al 10 per cento per finanziare l'Ecobonus. Tuttavia a causa della possibilità per le aziende di detrarre il costo del caffè, l'aumento ricadrà esclusivamente sul consumatore finale

Dal primo gennaio gli alimenti e le bevande acquistate alle macchinette distributrici automatiche costeranno di più, in quanto entrerà in vigore la norma prevista dalla legge 90/2013 attuativa del decreto legge 63/2013 che prevede un aumento dell’Iva su questi prodotti dal 4 al 10 per cento per sostenere le spese dell’ecobonus per le ristrutturazioni ecologiche. Una tassa che copre un contributo che, come vedremo, potrebbe garantire inaspettati vantaggi ai possessori delle suddette macchinette. Si, perché se da un lato si parla di aumenti del caffè, dall’altro non si fa alcuna menzione sulla questione detraibilità da parte delle aziende, che pagheranno sulle ricariche un’Iva del 10 per cento che potrà essere poi scaricata.



LA NORMA ESTIVA – La norma in questione venne presentata da Giornalettismo lo scorso 4 luglio riprendendo un passo del Corriere della Sera che sottolinea come l’Iva secondo i piani dell’esecutivo doveva arrivare al 21 per cento. Alla fine si è scelta una via di compromesso al 10, con il successivo inserimento delle bevande e degli alimenti venduti attraverso un distributore nella tabella A, parte III del decreto del Presidente della Repubblica 633/72, legge istitutrice dell’Imposta sul valore aggiunto, appunto l’Iva. L’aumento di quest’imposta dovrebbe garantire all’erario 104 milioni di euro l’anno per i prossimi dieci anni. A cliente significa che il caffè dal primo gennaio arriverà a costare cinque centesimi in più, almeno.



LE POLEMICHE – Un caro-bevanda che non sembra piacere molto ai referenti del settore. L’Ansa ha ripreso la voce di Lucio Pinetti, presidente di Confida, associazione italiana distributore automatica, che ha spiegato come questa sia una di quelle mosse in grado di aggravare la crisi mettendo in pericolo posti di lavoro a causa del calo dei consumi da parte di coloro che rinunceranno al caffé o allo snack, il cui prezzo salirà mediamente di 10 centesimi. Anche perché, come spiega la legge, vengono colpite le macchinette site in «stabilimenti, ospedali, case di cura, uffici, scuole, caserme e altri edifici destinati a collettività». Praticamente in ogni spazio pubblico del Paese. E questo, secondo Confida, ha un costo specie per quanto riguarda l’aggiornamento dei sistemi informatici delle macchinette, che dovranno essere tarate sul nuovo prezzo.

(Photocredit ivs.com)

LA REVISIONE – Questo significa, conclude Pinetti, che ci vorranno dai 30 ai 50 milioni di euro per aggiornare le macchine e che il tempo necessario per l’operazione va da quattro a cinque mesi. La legge di stabilità è venuta in soccorso della categoria visto che un emendamento, ripreso dall’Agi, non obbliga le aziende a fare tutto e subito ma consente loro di rideterminare il prezzo in aumento così da adeguarli all’incremento dell’Iva. Attenzione, le parole sono importanti. Questa è la definizione esatta: «possono essere rideterminati in aumento» al fine di adeguarli alla nuova aliquota. Non a caso, come riprende il Messaggero, la Confida ha mitigato quella che era la sua posizione. Perché in questa maniera la norma peserà sulle tasche dei consumatori mentre il settore godrà di un alleggerimento dell’impatto fiscale per finanziare l’ecobonus.



UNA SPESA EXTRA DI 40 MILIONI – Queste le parole di Pinetti, raccolte il 26 dicembre: «Rispetto a quelle che erano le peggiori aspettative per il settore della Distribuzione Automatica questa modifica apre uno spiraglio che consente di fugare molte delle problematiche che si sarebbero potute creare per le oltre mille imprese del vending. Con questo emendamento, si fa finalmente chiarezza perchè la norma garantisce equità e giustizia ed eviterà così eventuali contenziosi con i contratti stipulati entro il 31 dicembre di quest’anno dalle aziende, già pesantemente colpite dai costi (40 milioni di euro, ndr) per l’approntamento dei distributori automatici e per i 100 milioni sottratti al settore per finanziare il decreto Ecobonus». La norma, conclude Pinetti, risolve quelli che potevano essere i contenziosi per gli appalti indetti dalle Pubbliche amministrazioni prima della data di entrata in vigore della norma.

30.000 OCCUPATI – Eppure saranno sempre i consumatori a pagare l’aumento, quindi il settore non corre rischi. Del resto parliamo di uno tra gli ambiti più produttivi e meno fiaccati dalla crisi che esista in Italia. Il Piccolo di Trieste ci propone alcuni dati importanti. Il giro d’affari della distribuzione automatica in Italia si attesta su 2,5 miliardi di euro l’anno di fatturato con oltre 1000 aziende attive sul territorio e 30 mila occupati. L’imposte hanno un’incidenza sui ricavi pari al due per cento, più del doppio della media delle imprese del commercio e oltre il cinquanta per cento della media nazionale. Una ricerca condotta da Accenture per conto di Confida, poi, aggiunge che in Italia nel 2012 erano installate 2,4 milioni di macchinette. Di queste 1,6 milioni erano presenti negli uffici sotto forma di macchinette per caffè a cialde o a capsule.

I NUMERI DEL SETTORE – I prodotti erogati in un anno sono 6,3 miliardi. Tra questi possiamo contare 700 milioni di bottiglie d’acqua da mezzo litro e 4,5 miliardi di caffè. Numeri importanti ma che risentono, anche se in misura lieve, della crisi. Nel 2012, come riporta lo studio di settore di Confida, si è assistito ad un calo delle consumazioni del 2,74 per cento rispetto al 2011, quando queste avevano raggiunto quota 6,51 miliardi. Diminuite anche le macchinette distributrici, passate da 2.487.450 a 2.431.394. Ad onor del vero è opportuno però rimarcare che i numeri del 2012 sono gli stessi del 2010, a dimostrazione di come il 2011 sia stato un anno particolarmente fortunato in una media comunque alta, a giudicare anche dalla prospettiva decennale da parte del governo che, come abbiamo già spiegato in precedenza, si aspetta un aumento nel gettito di 140 milioni di euro l’anno.

I DATI DEL CAFFÈ – Nel 2010 difatti il fatturato ammontò a 2 miliardi e 579 milioni di euro, con un parco macchine di 2.405.883 ed un quantitativo di distribuzione di 6,35 miliardi di prodotti. Secondo Confida il mercato è trasparente ed anzi, secondo i dati Demoskopea 2012, il totale del parco macchine installato in Italia, relativamente alle macchine da caffé da ufficio funzionanti a capsule o cialde, chiamate tecnicamente Ocs – Office Coffee Service, è di 1.687.394, per un valore di 1.598.870.467 erogazioni ed un fatturato di 528.743.769, per un prezzo medio a caffé di 33 centesimi per 947,5 erogazioni all’anno per macchina, per un totale di 4,3 consumazioni al giorno per un fatturato complessivo di 1,4 euro.

IL VALORE DELL’ACQUA – A questo conto vanno aggiunti i 402.902 distributori automatici di bevande calde a pulsante, per un totale nelle erogazioni di 2.905.758.718 dosi ed un fatturato di 845.979.531 euro, con un prezzo medio di 29 centesimi a bicchiere. Queste hanno una media di 7.212 erogazioni l’anno per 32,8 al giorno ed un incasso medio di 9,5 euro al giorno. Teniamo buoni i dati relativi al caffè perché torneranno utili più avanti. Concludiamo intanto l’analisi delle erogazioni e delle distribuzioni parlando delle bevande fredde, quindi acqua e succhi, il totale dei distributori è 330.401 per un fatturato di 740.846.676 euro ed un numero di erogazioni di 1.820.322.422. Il prezzo medio a prodotto è quindi di 0,406 euro a bottiglia, una media abbassate dalle 696.464.042 bottiglie d’acqua vendute in un anno dal prezzo totale di 0,27 ad erogazione.

L’IVA DETRAIBILE – I dati non mentono e certo dimostrano come il settore goda di buona salute anche a giudicare dai numeri in ballo. Tuttavia nel bailamme mediatico degli ultimi mesi relativo all’aumento dei prezzi del caffè e dei prodotti della macchinetta è sfuggito un particolare che potrebbe far sorridere più di un professionista del settore. Il 13 gennaio 2012 la commissione tributaria provinciale di Alessandria, come riportato da Filodiritto.com, accogliendo parzialmente il ricorso di una Srl per l’annullamento o la riduzione di un accertamento fiscale dell’Agenzia delle Entrate della città piemontese ha stabilito che il costo del caffè per alimentare la macchinetta aziendale è strettamente correlato all’attività e la stessa cosa vale anche quando viene offerto ai clienti.

UN COSTO PUBBLICITARIO – Consultingfirm aggiunge che il costo è riferibile all’impresa anche in caso di un’esigenza promozionale ed esclude l’utilità privata per l’imprenditore o per il socio di una società. Per questo, tornando alla sentenza della Ctp di Alessandria del 23 novembre 2011, numero 86, il costo per l’acquisto del caffè è deducibile e quindi l’Iva è detraibile sia se il caffè è stato offerto ai clienti sia se è stato consumato dai dipendenti. Il caffè è quindi un costo aziendale ed è quindi deducibile se parliamo di distributori collocati nei locali dell’azienda e se le bevande vengono somministrate al suo interno. Non solo, il caffè offerto è collocabile tra i costi di pubblicità e sarà quindi deducibile ai fini reddituali e sarà possibile detrarre l’Iva non definendole spese di rappresentanza.

COSA DICE LA LEGGE – Viene però ricordato che la decisione della Commissione tributaria provinciale di Alessandria rappresenta un unicum. Tuttavia rappresenta un primo mattoncino in un cambiamento epocale del diritto. Eppure, come spiegato dallo Studio Legale e tributario Morri Cornelli ed Associati, la via d’uscita è nascosta nelle pieghe del decreto del Presidente della Repubblica 633/72 perché, all’articolo 19-bis, comma 1, lettera F, recita testualmente:

non è ammessa in detrazione l’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di alimenti e bevande ad eccezione di quelli che formano oggetto dell’attività propria dell’impresa o di somministrazione in mense scolastiche, aziendali o interaziendali o mediante distributori automatici collocati nei locali dell’impresa

Non solo. Il principio d’inerenza, legato al concetto della detrazione del caffè offerto per scopi pubblicitari, non è tuttora definito dal legislatore in quanto si ritiene lapalissiano che i costi personali e non dell’azienda non debbano essere ritenuti deducibili.

CHI PAGA L’AUMENTO? – Quindi dev’essere registrato un rapporto costi-benefici a dir poco chiaro, cosa che è stata riscontrata nel caso della detraibilità per i dipendenti e gli ospiti. Ma indipendentemente da questo la norma è chiara. L’Iva è detraibile e la cosa vale anche per i distributori in cialde o capsule, equiparati agli altri apparecchi grazie alla risoluzione 124/E del primo agosto 2000. Infine, la detraibilità può avvenire su prodotti dal costo unitario massimo di 25,82 euro (lettera H D.P.R. 633/72), segno che di fatto tutto è detraibile, ricarica compresa. Ciò significa che l’aumento ricadrà essenzialmente nelle tasche del consumatore mentre le aziende potranno contare su una maggiore detrazione prevista dalla legge e dalla sentenza di una commissione tributaria provinciale.

L’AUMENTO DELLA DETRAZIONE – Del resto, come spiegato da Marcochilla, l’aliquota al 4 per cento si applicava nell’acquisto di ricariche per le macchinette comprese nel punto 38 della parte II del D.P.R. 633/72, in caso contrario si sarebbe pagata l’Iva prevista dal punto 121 parte III della stessa legge. Ed essendo stato abrogato il punto 38 della parte II con le macchinette finite al 121, ecco che l’Iva aumenta anche nell’acquisto passando dal 4 al 10 per cento con la possibilità di poter detrarre la tassa qualora l’acquisto unitario non superi i 25,82 euro. Ed ecco che le aziende potranno contare su una detrazione maggiore del sei per cento mentre al momento l’analisi si limita all’aumento di cinque centesimi a caffè. Certo sarà curioso capire a quanto ammonterà a regime la detrazione fiscale sui prodotti anche per comprendere a chi toccherà pagare l’aumento e chi ne avrà beneficio.