L’avventura segreta della Glomar Explorer

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L'enorme nave da recupero che riuscì a recuperare un sommergibile sovietico nel mezzo del Pacifico, senza farsi scoprire dagli avversari

Grazie al National Security Archive è ora possibile combinare le informazioni ufficiali di fonte sovietica e americana e ricostruire la storia dell’affondamento del sommergibile K-129 e del suo parziale recupero da parte degli americani dalle profondità del Pacifico.



IL QUADRO È COMPLETO – Gli ultimi documenti declassificati di recente permettono di comporre il puzzle di una storia che dal 1975 in poi ha attirato l’attenzione e la curiosità di molti, che si sono poi sublimate in libri, documentari e film ispirati all’affondamento e recupero di un’unità navale sovietica armata con tre testate nucleari. La storia comincia nel 1968, quando un esemplare della classe Golf II con tre testate nucleari intraprende una rotta che attraversa il Pacifico e poi torna alla base. I sottomarini facevano parte del sistema di deterrenza, su quella rotta fissa andavano e venivano mantenendosi come efficace minaccia nei confronti degli Stati Uniti.



IL SOTTOMARINO SCOMPARSO – Il K-129 però non tornerà mai in porto, sparisce nel nulla con l’equipaggio e i suoi missili. Gli americani se ne accorgono perché a un certo punto dai porti russi sul Pacifico escono diverse navi che cominciano a battere il mare con i sonar e a riempire l’etere di chiamate radio verso Stella Rossa. Gli americani capirono subito che i sovietici cercavano un sottomarino, le ricerche in grande stile si arrestarono dopo pochi giorni senza esito, continueranno su scala minore, ma nella zona sbagliata. A trovarlo sono invece gli americani, che da tempo hanno tracciato la rotta abituale della flotta e che attraverso le numerose stazioni nel Pacifico colgono ogni rumore subacqueo e ogni comunicazione radio. Quelle dei sovietici sono compresse e brevissime, non decodificabili, ma almeno restano registrate e ogni sottomarino nel suo andare e venire ne lancia 3 in altrettanti punti precisi della rotta. Per gli americani non è difficile rintracciare una sequenza interrotta di quei segnali, che indica la sparizione del K-129. Resta comunque da individuare il punto preciso dell’affondamento e non è facile, si rivela anzi un’impresa costosa quanto imprescindibile, senza sapere dov’è finito non è possibile pianificare un recupero, nemmeno immaginarlo.

L’OK DELL’AMMINISTRAZIONE – A questo punto c’è bisogno di soldi e di un’autorizzazione presidenziale, che arrivano, l’investimento è giustificato dalla possibilità di recuperare i codici dei sovietici e le testate, una miniera d’informazioni. Nel mare dei rumori dell’oceano registrati nella finestra spaziale e temporale del suo possibile affondamento, gli americani ne rintracciarono che poteva essere quello di in sottomarino che collassa sotto la spinta della pressione, più o meno come farebbe una lattina. Il problema è che nessuno sapeva che rumore facesse davvero un incidente del genere, era facile triangolare la posizione dalle diverse basi, molto meno facile essere sicuri che sia proprio lì, perché il fondale è a 5.000 metri di profondità e solo l’andare a vedere è un’impresa. Si risolve allora di prendere un vecchio sottomarino destinato al disarmo, di lasciarlo affondare e di stare ad ascoltare. L’esperimento conferma la corrispondenza e il passo successivo è quindi quello di provare ad andare a vedere che sia proprio lì.



L’HALIBUT – La missione è affidata all’USS Halibut, in origine un sottomarino lanciamissili abbastanza rozzo, con un originale e complesso sistema di lancio, che però era stato più volte modificato per essere dedicato all’esplorazione dei fondali, dotato di un drone telecomandato che poteva scendere a grandi profondità e che poteva essere imbarcato grazie alla grande apertura per il lancio dei missili. Aveva fallito nella ricerca di una testata nucleare persa in mare dagli americani, non fallirà con il relitto russo, decisamente più grande e facile da rilevare. Le ricerche si concludono con successo nonostante l’area da esplorare non sia poi così ristretta, perché nell’affondare per 5 chilometri il relitto potrebbe essere stato preso da una corrente ed essere atterrato anche a distanza considerevole dalla verticale dell’incidente. Da lì in poi scatta il vero e proprio piano per il recupero dello scafo, un’impresa titanica da completare per di più in segreto a oltre 1500 dalle Hawaii in pieno Oceano Pacifico.

LA GLOBAL EXPLORER – A tentare l’impresa sarà la Hughes Global Explorer, una nave da cinquantamila tonnellate, lunga 189 metri, con il fondo che si può aprire e calare un telaio al quale sono fissati dei grandi bracci meccanici che dovrebbero afferrare e sollevare il K-129 senza che dall’esterno sia possibile capire che è in corso un recupero navale. Tutta l’operazione è gestita dalla CIA, il miliardario Howard Hughes s’impegna a coprire la costruzione della nave e dichiara che si tratta di un vascello con il quale la società che ha costituito insieme ai big americani dell’energia e dell’industria intende raccogliere i pregiati noduli di manganese dal fondo degli oceani. Gli credono al punto che si discuterà parecchio dell’impresa e anche altri la prenderanno seriamente in considerazione. La vulcanica e imprevedibile personalità del miliardario americano assecondata dall’avallo delle maggiori industrie del paese, fanno in modo che non desti eccessivo stupore l’incredibile cifra spesa per armare la nave e nemmeno che per la sua costruzione occorrano appena 2 anni.

IL RECUPERO – La Hughes Global Explorer muove dai cantieri nel settembre del 1974, entro l’anno sarà sulla verticale del relitto e comincerà il recupero, studiato nei minimi particolari grazie a 20.000 immagini scattate nel frattempo dall’Halibut e altre ancora dal batiscafo Trieste II, immagini che permettono di capire anche le ragioni dell’affondamento. Il K-129 ha un vistoso buco nella zona delle batterie, segno inconfondibile dell’esplosione di un accumulo e conseguente esplosione dell’idrogeno prodotto dalle batterie dell’unità. L’aggancio di rivela però problematico, la risalita dura giorni procedendo a meno di due metri al minuto, un tempo eterno durante il quale l’equipaggio della Global Explorer contempla seriamente il rischio del ribaltamento o comunque dell’affondamento mentre le poderose gru di bordo recuperano i cinque chilometri di cavi d’acciaio e tutto quello che c’è appeso. Quando il relitto si trova a a 1500 metri dal fondo e ancora a più del doppio dalla superficie tre dei 5 bracci cedono. Si erano danneggiati durante la fase di cattura, che è bene ricordare che non era mai stata tentata prima e che doveva fare i conti con la pressione esercitata da una colonna di cinque chilometri d’acqua. Il cedimento dei bracci priva di sostegno parte del sommergibile, che si spezza come d’altronde ipotizzato e previsto in uno scenario del genere, sulla Global Explorer arriva un terzo del relitto, gli altri due terzi si sono prevedibilmente disintegrati e sparsi sul fondo.

GSF Explorer

LE RIVELAZIONI – Gli americani non trovarono nella sezione recuperata quello che cercavano, l’unico missile rimasto intatto tornò sul fondo dell’oceano insieme ai cifrari e alle apparecchiature elettroniche, si parlò di recuperarle prima con una nuova missione della stessa nave e poi con un batiscafo, ma da quello che finora è stato rivelato non è successo. L’interesse americano per il Golf II cala infatti all’improvviso quando il 19 marzo del 1975 Seymour Hersh pubblica sul The New York Times un resoconto documentato dell’impresa. Hersh era venuto a conoscenza del Project Azor, così era stato battezzato, ed era anche entrato in possesso dei progetti della nave, trafugati misteriosamente dagli uffici di Hughes. Agli atti ci sono anche le minute delle conversazioni del presidente Ford con i vertici dei servizi e la loro preoccupazione per le rivelazioni, che comunque reprimeranno con successo, tanto che prima e dopo reprimeranno anche lo stesso Hersh e il NYT, che avevano pubblicato perché il Los Angeles Times aveva parlato della storia in un articolo che ne informava per sommi capi e loro rischiavano di buttar via un lavoro di mesi del quale avevano le più autorevoli conferme e tutti i dettagli. Difficile comunque pensare che un’impresa del genere avrebbe potuto rimanere segreta a lungo, perché oltre ai militari, ai funzionari e ai dirigenti delle compagnie impegnate nell’impresa ciclopica c’erano anche operai, marittimi e altri soggetti impegnati nel progetto e in grado di capire a cosa servisse la Global Explorer,

CI HANNO MESSO UNA PIETRA SOPRA – Per i sovietici lo smacco fu grande e non solo perché le ragioni della propaganda imponevano loro di nascondere qualsiasi incidente, ma anche perché si saprà poi che mancarono diverse occasioni di capire le intenzioni degli americani, oltre a quella di rilevare la posizione dell’affondamento del proprio sottomarino. Poco dopo che Global Explorer aveva lasciato i cantieri una manina caritatevole recapitò all’ambasciata di Mosca un biglietto nel quale si diceva che gli americani stavano recuperando un sottomarino nel Pacifico, e non basta. L’idea di vedere da vicino che facesse quella strana nave qualcuno ce l’aveva avuta e una staffetta di navi aveva seguito per un po’ la Global Explorer, salvo mollarla sul più bello perché qualcuno all’ammiragliato a Mosca aveva giudicato inutile insistere, e così si sono ridotti a saperlo dai giornali. Non che saperlo avrebbe cambiato molto da quel che par di capire, si era ai tempi della distensione e ai sovietici bastava sapere che gli americani ci stavano provando per cambiare i codici e minimizzare i danni, semmai gli americani hanno fatto tutto il lavoro e chiarito i dubbi sulla sparizione dell’unità dispersa e del suo equipaggio. Una volta che i sovietici sono venuti a conoscenza del recupero, lo stesso ha paradossalmente perso ogni valore pratico e lo avrebbe perso anche se fosse stato un successo totale, il segreto era parte fondamentale del vantaggio che gli americani stavano cercando di ottenere sui rivali: carpire segreti senza farsi scoprire a farlo.

UNA SECONDA VITA DA TRIVELLA – La Global Explorer termina a quel punto la sua prima vita e viene messa in naftalina, i suoi costi di gestione sono mostruosi e ogni tentativo di sollecitare offerte per un suo impiego va a vuoto. Solo nel 1997 sarà riesumata dall’inventario e trasformata finalmente in una vera trivella navigante, ovviamente capace di raggiungere profondità da record. Dal 1998 ha ripreso il mare e proprio ora sta trivellando i fondali del Golfo del Bengala sotto la bandiera di Vanuatu. Quella che segue dal 1975 in poi è la storia di un lungo e inutile segreto, visto che della vicenda si è parlato in abbondanza e che nei suoi tratti fondamentali era ormai emersa, un segreto che si è rotto solo con la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Nel 1992 gli americani hanno consegnato al presidente Eltsin il filmato con il il funerale in mare per i sei marinai russi recuperati insieme si resti presi a bordo della Global Explorer (nel video sopra). Per parte loro i russi hanno confermato che vi furono abboccamenti tra le due parti e che già all’epoca si convenne di non parlarne più. Ancora oggi però la noiosissima CIA rilascia informazioni con il contagocce e gli appassionati sono particolarmente attirati dalla grande quantità d’immagini prodotte, nessuna delle quali è ancora stata diffusa, lasciando l’amaro in bocca sia agli storici che agli appassionati di storie del genere.