Le promesse mancate di Rafael Correa ai nativi dell’Ecuador

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Vuole aprire allo sfruttamento minerario le aree amazzoniche e reprime chi non ci sta, a cominciare dai nativi di cui si era detto un paladino

Il presidente dell’Ecuador è andato al potere cavalcando una piattaforma di sinistra incentrata sul rispetto dei diritti delle popolazioni native, ma alla prova dei fatti l’ha tradita e con essa ha tradito molte delle istanze popolari che lo hanno portato al potere. Non bastasse, ora è passato a criminalizzarle.



UN RIFORMISTA NON TROPPO SOCIALISTA – Rafael Correa si descrive come un umanista, un cristiano di sinistra e un sostenitore del «socialismo del ventunesimo secolo» d’ispirazione sudamericana. Critico delle politiche neoliberali, ha riscritto la costituzione arrivando a includervi la socializzazione dei mezzi di produzione e ha denunciato il debito con l’estero concludendo per pagarne solo una parte. Negli anni al potere ha ridotto la povertà e ha ridato dignità alle finanze del paese, un tempo preda di una ristretta élite che agiva di concerto con grandi corporation straniere per depredare il paese. Il debito ripudiato non era altro che la riduzione di parte del dovuto a un sistema per il quale i 4/5 dei guadagni petroliferi andavano ai petrolieri e il resto si disperdeva nella corruzione.





 

 

 

 

 

 

I SUCCESSI – Giunto al potere sulle ali del sostegno di una coalizione di sinistra dopo essersi distinto come ministro delle finanze ribella nel governo precedente di segno opposto, Correa ha indubbiamente seguito l’onda che ha portato i paesi dell’ALBA e del Sudamerica in generale a investire di più nella spesa sociale in controtendenza con i dettami del FMI, una decisione che in molti di questi paesi non ha frenato lo sviluppo come molti mengramo avevano profetizzato. Correa però non è uomo da colpi di testa le sue riforme sono rimaste nel solco di un riformismo prudente e quanto mai necessario in un paese devastato da decenni di dittature e di rapine. Spettacolari sono stati i recuperi delle entrate, dalle concessioni delle frequenze per la telefonia che hanno decuplicato gli incassi, fino al settore petrolifero, l’Ecuador di Correa pretende e incassa molto di più di quelli che l’hanno preceduto e una discreta parte di questi incassi è investita nella spesa sociale. Tutto bene, ma Correa conserva tendenze autoritarie sapientemente trattenute all’occorrenza, che ogni tanto tracimano e si è rimangiato molti dei suoi proclami, come quello di de-dollarizzare la moneta, ancorata al dollaro dai suoi predecessori. L’aveva definito un errore e promesso di correggerlo entro 4 anno nel 2009, ancora s’aspetta.

LA GUERRA AI NATIVI – Il caso più evidente di promesse dimenticate la portato a contrapporsi alla rappresentanza delle popolazioni native (il CONAIE) in maniera aspra e poco commendevole, soprattutto considerando che Correa è andato al potere sulle ali del loro sostegno e che nella costituzione ha voluto inserire il riconoscimento dei loro diritti. Oggi però il CONAIE lamenta che la sua politica delle concessioni minerarie e petrolifere passi sulle teste delle popolazioni locali e che non sia poi tanto diversa da quella di chi l’ha preceduto, lasciando ad esempio che Chevron trasformasse vaste aree di foresta vergine in pantani inquinati dal petrolio e poi si dileguasse inseguita da denunce che probabilmente finiranno nel nulla o in una sanzione poco significativa.

IL VOLTAFACCIA – Correa ha così cominciato a descriverli come estremisti, terroristi e a bastonarli pubblicamente in ogni occasione, dicendo che sono nemici del progresso, portatori di un «ecologismo perverso» e, soprattutto, a negare che abbiano potere decisionale su quanto il governo decide che vada fatto sulle loro terre, a cominciare dalla politica mineraria e finendo per l’utilizzo e lo sfruttamento dell’acqua. Troppe restrizioni dice, riferendosi a quelle che la sua stessa costituzione del 2008 afferma. La legge fondamentale del paese infatti negli articoli dal 71 al 74 stabilisce che la minoranza nativa «ha il diritto all’integrale rispetto della sua esistenza e al mantenimento della rigenerazione del ciclo vitale, delle strutture, delle funzione e del processo evolutivo». Più nettamente, lo stato deve prevenire «la distruzione degli ecosistemi e l’alterazione permanente dei cicli vitali» e rispettare il diritto delle comunità di godere dell’ambiente in modo che permetta una vita dignitosa.

LA COSTITUZIONE COME UNA PETIZIONE DI PRINCIPIO – Correa lo vede come un impedimento allo sviluppo e sostiene in pratica che si tratti di dichiarazioni di principio, largamente sorvolabili quando l’interesse nazionale sia preponderante, con tanti saluti alla «plurinazionalità» che avrebbe dovuto integrare e includere le autonomie più varie della gestione della cosa pubblica. Secondo Correa Marx, Engels, Lenin, Mao, Ho Chi Minh o Castro non si sono mai opposti allo sfruttamento delle miniere o delle risorse naturali, sorvolando ovviamente sia sul fatto che poi la coscienza e la scienza siano evolute fino ad illuminarne limiti e controindicazioni che sui diritti che la sua costituzione riconosce nero su bianco ai nativi.

ADDIO AL SOGNO DELL’AUTONOMIA – La plurinazionalità è stata invece messa da parte, non si è vista nell’accesso all’amministrazione, non è stata inclusa nel modello economico e in quello ambientale o in quello della gestione delle risorse naturale, si attendeva una decolonizzazione che non c’è stata e ora per i nativi è quasi tutto come prima. Così quelli del CONAIE sono finiti nella lista dei cattivi, esclusi persino dal vertice dell’ALBA tenutosi nello stesso Ecuador, che aveva nei diritti dei nativi uno dei punti principali dell’agenda e si è arrivati al 10 gennaio scorso, quando il Segretario degli Idrocarburi Andrés Donoso Fabara ha denunciato otto leader indigeni:  Humberto Cholango and Bartolo Ushigua, presidente e vice-presidente del CONAIE (Confederazione delle Nazionalità Indigene dell’Ecuador); Franco Viteri, presidente of GONOAE (Governo delle Prime Nazioni dell’Amazzonia Ecuadoregna) Patricia Gualinga leader del Sarayaku e ancora Cléver Ruiz, Gloria Ushigua, Jaime Vargas e Patricio Sake. Tutti accusati di aver proferito «minacce» durante l’undicesimo round delle aste petrolifere, chiedendone la carcerazione.

TROPPA REPRESSIONE – E non sono i primi, oltre 200 leader indigeni hanno sul capo procedimenti giudiziari attivati dal governo di Correa negli ultimi anni. Una pratica che la Commissione Interamericana dei Diritti Umani ha dichiarato violare i loro diritti, imponendo l’adozione di misure a loro protezione. Una conclusione che Correa ha ignorato. Lo stesso ministro ha spiegato durante un suo viaggi in Cina che: «Siamo autorizzati dalla legge, se vogliamo, ad andare con la forza e fare certe attività anche se sono contro di loro, ma non è la nostra politica».

UN’ALTRA DECOLONIZZAZIONE MANCATA – Un convincimento sbagliato e non è nemmeno vero che il ricorso alla forza sia così escluso come scelta politica, il concerto tra potere esecutivo, legislativo e giudiziario in questo caso è evidente e opprimente, ancora una volta gli indigeni sono esclusi dal piano decisionale e i tribunali delle città dei bianchi impongono lo loro legge senza che ai nativi resti da fare molto altro che protestare a vuoto di fronte all’avanzare di una politica che è stata ribattezzata «estrattivista» e che ha individuato quello da estrarre proprio nelle zone dell’Amazzonia abitate dai nativi e albergo degli ecosistemi più fragili e preziosi. Come previsto anche dai suoi mentori, Correa si è rivelato molto meno eccentrico di quanto non lo abbiano dipinto, ma ormai si può dire anche che la sua idea di socialismo è falsa non meno di quanto non sia il suo formale impegno al rispetto dei diritti dei nativi che lui stesso ha voluto inserire nella costituzione, forse perché allora sostenere quella parte era funzionale alla sua ascesa al potere. Di sicuro per Correa i nativi non hanno diritto ad avere voce in capitolo quando s’arriva allo sfruttamento delle risorse naturali nei loro territori e devono anzi ringraziare che il governo pensa allo sviluppo e che parte dei soldi che incasserà saranno investiti per migliorare le loro condizioni di vita. Uno schema già visto, che tutti i colonizzati hanno mandato a memoria e che quelli del CONAIE per qualche tempo si sono illusi che fosse giunto al tramonto, sbagliandosi.