L’indipendenza energetica italiana passa dalle rinnovabili

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Grazie all'aiuto determinante degli incentivi, l'Italia negli ultimi anni è riuscita a diminuire la sua dipendenza energetica dall'estero ed oggi con l'entrata in vigore delle detrazioni fiscali e l'interesse di gruppi internazionali nelle nostre energie pulite caratterizzate da un alto rendimento l'obiettivo autosufficienza appare più vicino che mai

La sera del 28 settembre 2003, giorno del grande black out che interessò l’Italia, Sardegna esclusa, il nostro Paese stava importando dall’estero il 25 per cento del suo fabbisogno energetico. Oggi, dopo quasi 11 anni da quella sera siamo arrivati al 17 per cento, dati Terna, segno che il nostro Paese è avviato al raggiungimento dell’autosufficienza energetica, grazie allo sviluppo delle energie rinnovabili che hanno rappresentato, almeno per il nostro Paese, una miniera d’oro.



L’ANALISI DEL GSE – Lo scorso tre aprile il Gse, Gestore Servizi Energetici, qui in un documento raccolto da Greenstyle, ha comunicato che il settore delle rinnovabili oggi genera un terzo dell’energia consumata in Italia e garantisce quasi 200.000 posti di lavoro. Numeri importanti che dimostrano come, nonostante il peso degli incentivi, questo sia uno dei pochissimi settori nel nostro Paese in grado di catturare investimenti. Nel 2012 i nuovi impianti di energia pulita hanno dato lavoro a 137 mila persone mentre sono 53 mila coloro che sono stati collocati negli impianti esistenti, per un investimento complessivo nello stesso periodo di 12,6 miliardi di euro.



LA TARIFFA A3 – Nel 2013 gli incentivi complessivi erogati dal Gse hanno raggiunto quota 11,26 miliardi di euro, cifra coperta dalla componente A3 in bolletta, calcolata per un valore annuo complessivo di 92 euro per una famiglia che ne spende in totale 518 euro. Nel corso degli ultimi mesi si è sostenuto che l’incentivazione nel settore fosse eccessiva in quanto mortificava gli investimenti degli attori dell’energia nel termoelettrico e nelle fonti di energia tradizionale, tanto che in Italia e negli altri Paesi si è arrivati ad una progressiva diminuzione degli incentivi con l’obiettivo di non sbilanciare il mercato. Ma il valore dell’investimento iniziale per il nostro Paese è dimostrato dal fatto che ora, come ricorda Repubblica, aumentano gli investimenti da parte dei fondi di private equity che vedono nel rinnovabile tricolore un forte elemento di business.



IL RENDIMENTO ITALIANO – In Italia il rendimento di un megawatt di fotovoltaico installato, pari a circa due ettari di terreno, rende tra il 10 ed il 13 per cento. Un profitto interessante, visto e considerato che negli ultimi sei anni il settore ha attirato investimenti per circa 70 miliardi di euro, cifra a cui va inclusa il sostegno con incentivi pubblici. attirato 70 miliardi di investimenti sostenuti da forti incentivi pubblici. Ed a proposito di pubblico, al Renewable Energy Summit di Milano è emerso che l’investimento nel settore è profittevole sia per il prezzo di un megawatt italiano, il cui valore unitario è inferiore a quello tedesco, sia per via della normativa incerta del nostro Paese.

LE VENDITE – In sostanza, c’è possibilità di fare soldi. La prima ad accorgersene è stata Terna che nel 2011 ha venduto i suoi 240 megawatt di fotovoltaico al fondo inglese Terra Firma che a sua volta ha rilevato nel 2013 da Acea 60 megawatt di fotovoltaico. GdF-Suez ha venduto nel 2013 oltre 550 megawatt di eolico a Erg Renewables. Edison punta a vendere i suoi 700 megawatt di eolico con la tedesca E.On che pensa a cedere la sua divisione italiana, includendo i 2000 megawatt in sua dotazione tra idroelettrico, eolico e fotovoltaico. A leggere questi numeri si può pensare ad una dismissione, ma in realtà avviene l’esatto contrario. Gli investimenti sono caratterizzati da un sistema d’incentivazione statale ventennale e questo garantisce rendimenti sicuri.

IL CROLLO DEL COSTO DELLA PRODUZIONE – Tuttavia, ricorda Massimo Sapienza, Ceo di Palma investimenti, l’incertezza normativa ed il tentativo di annullare leggi in maniera retroattiva rende l’Italia interessante dal punto di vista dei rendimenti. Ma probabilmente non è solo questo a rendere il nostro Paese appetibile. Negli ultimi cinque anni, grazie agli incentivi, il settore è cresciuto di 90 volte arrivando ad un valore complessivo di 25 mila megawatt tra eolico e fotovoltaico. L’ingresso nel settore poi di produttori cinesi ha abbattuto i costi di produzione, tanto che oggi un megawatt costa un milione di euro, quattro volte meno del suo valore nel 2008. E si stima che nel 2016 il costo possa arrivare a 600 mila euro. E più calano i prezzi più diventa profittevole investire per accrescere la produttività.

IL CALO DEL GAS – Paolo Scaroni, amministratore Delegato di Eni, nei giorni scorsi ha spiegato che l’Italia può rendersi indipendente dal gas russo, in caso di questioni gravi legate al caso Ucraina, sfruttando le altre fonti e gli altri giacimenti. La Stampa contestualizza tale dichiarazione partendo da un dato importante. Nel mese di febbraio l’Italia ha consumato sei miliardi di metri cubi di gas, con un calo del 23,7 per cento rispetto allo scorso anno e del 7,9 per cento sul marzo 2012. Un risultato dettato sicuramente dalle condizioni meteorologiche favorevoli ma che va arricchito da altre considerazioni. I consumi delle famiglie sono calati del 24,9 per cento a 3,4 miliardi di metri cubi mentre le centrali termoelettriche sono scese ancora a 1,2 miliardi di metri cubi.

UN’INDIPENDENZA CHE HA UN COSTO – Quest’ultimo dato è sicuramente importante in quanto dimostra che sia calata la domanda nel nostro Paese a causa della concorrenza delle energie rinnovabili. La geotermia e le pompe di calore hanno coperto una fetta di consumo soddisfatta bruciando gas nelle centrali. E un’ulteriore conferma di tale lettura viene dall’analisi del consumo industriale, attestatasi a 1,2 miliardi di metri cubi, con un aumento dello 0,1 per cento rispetto al 2013. Certo, le rinnovabili come detto sono costose visti gli incentivi pari ad oltre 11 miliardi di euro, ma rendono il nostro Paese sempre più indipendente dal punto di vista energetico. E non finirà qui. Perché avremo un panorama caratterizzato dalla presenza di aziende straniere e piccole realtà locali che vivranno in simbiosi nello sfruttamento del settore.

I PROGETTI FINANZIATI DALL’UNIONE EUROPEA – E specie per quanto riguarda l’ultimo caso, ci sarà anche l’aiuto dell’Unione Europea. Qualenergia ci spiega che Bruxelles ha destinato al nostro Paese 2,1 miliardi di euro per la realizzazione di 5.802 progetti destinati all’efficienza energetica ed alla produzione di energia da fonti rinnovabili. Le tre regioni che hanno destinato la maggiore quota di finanziamenti europei sono Piemonte (250 milioni di euro),  Marche (54 milioni di euro) e Umbria (53 milioni di euro). Il ministero dello Sviluppo Economico ha prodotto un sito in cui è possibile monitorare la destinazione di tale denaro, ed emerge chiaramente che di questo denaro, 1.323.258.331 euro saranno destinati ad investimenti infrastrutturali con le imprese che saranno destinatarie di 469.210.895 euro.

I NUMERI DELLE REGIONI – A livello d’investimenti pro-capite, la prima regione è la Calabria con una forbice compresa tra 111 e 182 euro, seguita da Puglia, Sardegna e Molise, il cui investimento è compreso tra 73 e 111 euro pro capite. Da notare poi che tutte le regioni avranno almeno un progetto in essere, per una spesa minima pro-capite compresa di circa 25 euro. A livello d’investimenti regionali, invece, fanno la parte del leone Calabria, Puglia, Campania, Sicilia, con una forbice compresa tra 249,7 e 404 milioni di euro ed è la Calabria ad avere il maggior numero di progetti, 896, per un investimento pro-capite di 196 euro. A seguire tocca al Piemonte con 522 progetti ed una spesa pro-capite di 59 euro. Parlando invece di province, la prima è Trento con 414 interventi ed un finanziamento pro-capite di 67 euro. La seconda è Cosenza, 313 progetti per 59 euro pro-capite.

SERVE UNA NORMATIVA CHIARA – I dati potrebbero apparire confusi anche perché vengono inclusi sia interventi di efficienza energetica sia nuovi impianti rinnovabili. Appare comunque evidente che con il giusto incentivo il settore può camminare senza problemi sulle proprie gambe. Il mercato ancora non è maturo a causa anche del contrasto con le energie tradizionali che vedono protagoniste le società che gestiscono impianti termoelettrici che temono per la dissoluzione dell’investimento effettuato nella costruzione delle centrali. La strada per l’indipendenza energetica dell’Italia appare segnata, ma è opportuno tuttavia fare i conti con i territori, con l’invasività di certi impianti e con il colpo d’occhio, un fattore spesso sottaciuto ma che potrebbe diventare un problema specie con gli abitanti delle zone limitrofe agli impianti.

IL CAMBIO DI PASSO PUGLIESE – Ed è il lamento che sta giungendo dalla Puglia. Altamuralife ha ripreso la posizione del presidente della Regione, Nichi Vendola, secondo cui il territorio su questo tema ha già dato. E questa frase ha presentato, di fatto, quelle che sono state le modifiche all’ordinamento regionale. Il presidente avvierà una collaborazione con il Ministero dello Sviluppo Economico per identificare e risolvere le criticità legate alle rinnovabili in Puglia. L’obiettivo, è quello di poter ottenere la possibilità di dettare disposizioni finalizzate ad indirizzare la produzione energetica regionale verso un mix equilibrato tra fonti ponendo limiti agli impianti costruiti su suolo agricolo. E qui si torna al tema della normativa nazionale, sottolineate da un comunicato stampa della Regione:

le lacune nell’ordinamento statale e la mancanza o ritardata emanazione da parte del Governo di un minimo di criteri per il corretto inserimento degli impianti e per la verifica e salvaguardia della capacità di carico dei territori hanno reso indifferibili interventi della Regione in funzione sussidiaria che attraverso norme, direttive e linee guida, hanno riguardato e riguardano la materia nei suoi vari risvolti: dall’inserimento paesaggistico e ambientale degli impianti alla disciplina del procedimento, alla garanzia della serietà ed affidabilità degli operatori e dei loro progetti industriali, al concorso delle imprese agli oneri istruttori sostenuti dalle strutture amministrative.

IL FUTURO – Eppure, ha continuato la Regione, sono nati grandi impianti senza che le istituzioni potessero perseguire uno sviluppo armonico del settore. Inoltre la giunta ha ridimensionato i poteri delle province nell’assoggettabilità  alla valutazione d’impatto ambientale obbligandole ad indicare le proprie valutazioni riguardo l’ampiezza degli ambiti territoriali ed il paesaggio, la biodiversità, la sicurezza e salute umana, il suolo ed il sottosuolo. Insomma, ci vuole criterio per uno sviluppo armonico. Eppure la strada appare segnata. E se si riuscirà ad avere uno sconto in bolletta simile a quello scattato ad aprile, con un calo del costo dell’energia dell’1,1 per cento e di quello del gas del 3,6 per cento, si potrà davvero pensare ad un’Italia autosufficiente dal punto di vista energetico. Il materiale c’è, la voglia d’investire anche. Manca l’armonia normativa. Ma probabilmente si tratta solo di tempo.