L’olocausto del Ruanda, che fu solo l’inizio

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A venti anni dal genocidio la storiografia non lascia più dubbi o segreti: storia di uno dei più grandi crimini dell'ultimo secolo

Il 7 aprile del 1994 cominciava quello che sarà definito l’olocausto ruandese, una tragedia che paradossalmente ha finito per nascondere  la portata e la magnitudo di una crisi che da lì a poco produrrà massacri tali da far impallidire il pur tragico bilancio della breve guerra civile ruandese.



L’OLOCAUSTO RUANDESE – Nel 1994 il Ruanda era un paese scosso da una guerra civile messa in pausa per addivenire a trattative di pace tra l’allora dittatore Juvénal Habyarimana, al potere dal 1973, e il Fronte Patriottico del Ruanda (RPF-FPR) guidato da Paul Kagame. In mezzo una missione ONU, un contingente francese, un contingente belga e una cabina di regia internazionale a provare  a gestire la crisi che comprendeva anche gli Stati Uniti. Kagame, rifugiato in Uganda con i suoi all’età di due anni aveva fatto carriera accanto a Joseveri Museveni, divenendo uno degli uomini più importanti per l’ascesa al potere di quest’ultimo, conquistata passo dopo passo in una sanguinosa guerra civile. Dai campi profughi in Uganda Kagame ripartirà con i suoi per la conquista del paese dal quale la sua famiglia era fuggita molti anni prima e grazie alle sue indubbie capacità militari riuscirà a mettere in notevole difficoltà un regime caricaturale come quello di Habyarimana.



LA SCINTILLA – Il 6 aprile l’aereo che porta il dittatore e il presidente del vicino Burundi, Cyprien Ntaryamira, viene abbattuto da uno o più missili terra-aria mentre sta per atterrare a Kigali, la capitale del Ruanda. L’aereo aveva un equipaggio francese e la Francia ha indagato a lungo sull’incidente, nel 2006 l’inchiesta francese si conclude indicando in Kagame il responsabile dell’abbattimento. Kagame a quel punto accusa a sua volta i francesi di aver fabbricato questa conclusione per ridurre il peso delle proprie responsabilità nel genocidio. La francia ha ripetuto l’inchiesta e ha concluso nel 2012 che i missili non potevano essere stati lanciati dalla zona occupata dagli uomii di Kagame. Dodici anni per la prima inchiesta, sei per la seconda, diciotto per non trovare alcun responsabile.

FIUMI DI SANGUE – Il 7 aprile comincia il genocidio, comincia con soldati, poliziotti e miliziani che uccidono i leader Tutsi e anche quelli Hutu troppo moderati, dopo di che sono eretti posti di blocco ovunque e chiunque risulti Tutsi dai documenti viene ucciso sul posto. Ma non basta, poi viene l’incitamento agli Hutu ad armarsi e a far strage dei Tutsi, che nel paese sono la minoranza, a distruggere e a saccheggiare le loro case, gli Hutu che cercano d’opporsi o che non collaborano sono uccisi allo stesso modo. Il genocidio è così portato a termine a colpi di machete o di bastone e il bilancio sarà relativamente contenuto solo grazie alla prontezza con la quale oltre due milioni di ruandesi si proiettano al di fuori dei confini. Un bagno di sangue che getta il paese nel caos e permette a Kagame di agire muovendo dalla parte della ragione, a metà luglio dello stesso anno le sue truppe conquistano Kigali e il controllo del Ruanda, che da allora controlla con il pugno di ferro. La rivalità tra Hutu e Tutsi aveva radici antiche che coincidono con l’arrivo dei colonizzatori europei, furono infatti i tedeschi ad eleggere i Tusti a classe dirigente e i belgi apprezzarono l’intuizione, creando così una classe di privilegiati inevitabilmente visti come i cani da guardia dei colonizzatori.



TUTTO CHIARO – Sul genocidio del Ruanda sono stati scritte infinite analisi, girati film e documentari e anche nel paese è stata accurata l’opera di ricostruzione storica degli eventi di quei mesi infami, non ci sono misteri, i testimoni hanno parlato, i documenti hanno confermato, solo il conto delle vittime è molto approssimato ed è compreso tra il mezzo milione e il milione, per un paese che oggi conta otto milioni d’abitanti sono numeri impressionanti . Le responsabilità sono state accertate e chiamano in causa l’ONU, che non volle modificare le regole d’ingaggio della missione nel paese, né mobilitare gli uomini disponibili nel vicino Congo a nemmeno suonare l’allarme, ma chiamano in causa soprattutto tre paesi occidentali, la Francia che ebbe una parte attiva nell’innescare e nell’alimentare il conflitto, il Belgio che pur essendo il referente coloniale se ne lavò le mani e gli Stati Uniti, che dopo il disastro e le perdite della missione in Somalia (Restore Hope – missione Ibis) non ne voleva sapere di contingenti ONU in assetto di combattimento in mezzo a un paese africano in piena anarchia.

I GENOCIDI DOPO IL GENOCIDIO – Quello che troppo spesso viene messo in ombra dalla gigantesca brutalità di un massacro che ha visto tante persone comuni farsi boia e cacciatori dei propri vicini è quanto successo in seguito,  a cominciare già dal 1996 quando le truppe dello RPF attaccano i campi delle forze «genocidarie» in Congo, fuggite a loro volta dopo il trionfo di Kagame, costringendo molti profughi a rientrare, ma non riuscendo a spazzare quanti dal Congo continuavano ad attaccare in Ruanda. Da lì Kagame e Museveni proseguono spingendo fino a Kinsasha Laurent Desiré Kabila, risolvendo così con la forza delle armi il vuoto di potere che si era venuto a creare dopo la morte di Mobutu Sese Seko, piazzato al suo posto da belgi e americani, che prima hanno assassinato il primo presidente del Congo, Patrice Lumumba e poi si sono voltati dall’altra parte non facendo caso a trent’anni di follie del dittatore e padrone per grazia ricevuta del Congo.

LA GUERRA MONDIALE – Nel 1998 Kabila dice grazie e invita ruandesi e ugandesi a tornare da dove sono venuti ed è di nuovo guerra, il presidente congolese viene assassinato e dopo tre giorni va al potere suo figlio, che è ancora lì. Sarà chiamata la Prima Guerra Mondiale Africana, perché alla fine vi parteciperanno in diversi tempi gli eserciti di otto paesi africani. Conterà cinque milioni di vittime, per lo più civili. La pace e la fine delle ostilità arriveranno solo nel 2003, ma con poca soddisfazione, perché da allora la zona del Congo Nord-orientale resta dimora di diverse milizie e sottratta al controllo del governo centrale, dal quale la separano centinaia di chilometri senza strade.

 E ANCORA – Nel 2009 scoppia la ribellione di Laurent Nkunda, che in questi giorni è stato riconosciuto colpevole di crimini contro l’umanità del tribunale Penale Internazionale, che fonda il National Congress for the Defence of the People (CNDP) e si pone a capo di una milizia Tutsi che inizialmente si credeva supportata da Kagame contro il gruppo Hutu delle Democratic Forces for the Liberation of Rwanda (FDLR). Nello stesso anni in seguito a un accordo tra i due paesi i ruandesi hanno il via libera per entrare in Congo e dare la caccia i militanti dello FDLR e, in cambio, arrestare Nkunda e porre fine alle ribellione. L’ultima ribellione è stata quella del M23, stroncata qualche settimana fa dopo che per mesi il gruppo, integrato nell’esercito e poi abbandonato senza paga per mesi, ha ridicolizzato le forze congolesi. Che poi sono state rimpolpate e ora vorrebbero addirittura ripulire dal regione dagli otto-dieci movimenti armati che ancora vi trovano albergo.

IL  TESORO IN PALIO – La regione è ricca di minerali pregiati e l’instabilità dell’area ha fatto in modo che l’attività mineraria sia esplosa a livello artigianale o poco più e che tutta la produzione viaggi verso Uganda e Ruanda, andando ad arricchire quei paesi e nel mezzo quei signori della guerra che controllano miniere e transiti, senza dimenticare gli ufficiali congolesi che non vedono e che non agiscono, anche perché la questione attira l’attenzione di Kabila solo quando spicca qualche banda che potrebbe diventare una minaccia al potere centrale. Una situazione che va bene anche a Ruanda e Uganda, che è diventata il maggior esportatore africano d’oro senza averne quasi, tutto contrabbando dal Congo, così come tutti i minerali che provengono dal Kivu, ben pochi dei quali pagano le royalty a Kinshasa. L’instabilità della regione appare ormai cronica, figlia dell’impossibilità da parte del governo congolese di controllare l’area, della scarsa utilità del contingente ONU più numeroso al mondo, presente nel paese fin dagli anni ’60, ma soprattutto dagli appetiti e dall’atteggiamento del dinamico duo Museveni-Kagame, che nel frattempo è entrato nelle grazie dell’Occidente e persino della stampa internazionale, mai parca di lodi per due dittatori di lungo corso che hanno sulla coscienza qualche milione di morti.