Luca Varani, il ragazzo morto dopo essere stato torturato da Marco Prato e Manuel Foffo, ha fatto la scelta peggiore della sua vita quando è accorso nell’appartamento di via Igino Giordani per un po’ di cocaina e 120 euro promessigli dal nome noto della scena gay della capitale e dal suo complice, l’uomo con il quale aveva fatto un giuramento: quello di ammazzare una persona, giusto «per vedere l’effetto che fa». E ci provarono, Prato e Foffo, visto che prima di avere la risposta da Varani, si apprende oggi, inviarono gli stessi messaggi ad altre 22 potenziali vittime.
Lo riporta la Repubblica di oggi, nell’articolo firmato da Federica Angeli e Francesco Salvatore.
Ventitré messaggi identici inviati dai telefonini di Manuel Foffo e Marco Prato, ad altrettanti ragazzi per invitarli all’appuntamento con la morte nell’appartamento al Collatino. Solo Luca Varani ha risposto a quel rendez vous del 4 marzo andando in via Giordani. (…) L’avevano cercata per strada la persona a cui far del male, ha confessato Foffo ai carabinieri della compagnia Piazza Dante. Ma in strada non avevano trovato l’occasione giusta: una via era troppo illuminata, nell’altra c’era troppa gente, ha raccontato agli inquirenti lo studente di giurisprudenza. Quindi, quando rientrano in casa, si mettono attorno a un tavolo e cominciano a mandare sms ad amici e conoscenti. Il primo che dà conferma e si presenta e Luca.
Manuel Foffo e Marco Prato, persone «molto diverse»; si sta cercando di capire se la droga che hanno assunto fosse tagliata con qualcosa di particolare che possa aver causato questo inspiegabile eccesso di violenza.
Proprio per questo motivo, mentre nei laboratori dei carabinieri sono già cominciate le analisi, i militari sono anche sulle tracce dello spacciatore che ha ceduto 1500 euro di cocaina ai due assassini, che oggi verranno interrogati dal gip Riccardo Amoroso e dal pubblico ministero Francesco Scavo.
La linea di difesa si concentra sull’infermità mentale dei due killer. È però da tenere in conto che, come riporta la Stampa, per Marco Prato non era la prima volta, in poche settimane, che metteva la vita di un’altra persona a rischio.
C’è un sopravvissuto alla furia alimentata dallo sballo di due giorni di cocaina. Già un mese fa Marco Prato – arrestato insieme a Manuel Foffo per aver torturato e ucciso Luca Varani dopo un coca party lungo 48 ore – si è rinchiuso nel suo appartamento a piazza Bologna insieme a un trentenne cocainomane come lui, riempiendolo di botte. In quella circostanza la vittima di calci e pugni è stato salvato grazie alla madre che, preoccupata per la sua sparizione, si è rivolta al 112. Una mossa disperata, dettata dal fatto che tutti gli amici del figlio contattati al telefono avevano spiegato di non essere insieme a lui. Tutti tranne uno. Marco Prato, appunto. Il bel ragazzo gay, 29 anni, pr di feste nel giro omosessuale che conta nella capitale. A differenza degli altri, Prato non ha mai risposto alle incessanti chiamate della madre disperata. Di qui la decisione di quest’ultima di rivolgersi ai carabinieri. La scoperta nella casa dello sballo è stata devastante: Marco Prato e l’amico trentenne completamente strafatti e quest’ultimo gonfio di botte. È stata presentata una denuncia per lesioni personali, che però è stata sorprendentemente ritirata.