La rabbia del ‘falso’ padre di Massimo Giuseppe Bossetti
19/06/2014 di Redazione

Massimo Giuseppe Bosetti per due volte non ha parlato davanti al pubblico ministero. La madre Ester Arzuffi ha sempre giurato che è il figlio del marito Giovanni Bossetti, ma il dna smentisce la donna e questo pesa sulla testa del carpentiere di Mapello in carcere con l’accusa di aver ucciso Yara Gambirasio con l’aggravante di «sevizie e crudeltà», come indicato dal pm nel provvedimento di fermo. Anche se porta il cognome del padre, Massimo Giuseppe è il figlio naturale di Giuseppe Guerinoni, l’autista di Gorno morto nel 1999 all’età di 61 anni.
LA REAZIONE DI GIOVANNI BOSSETTI – Giovanni Bossetti ora è disperato: «che vergogna – ha detto – sono stato ingannato per quarant’anni», ha dichiarato davanti ai carabinieri che hanno messo a verbale le sue parole. Viene da chiedersi se nel 2012 non ha iniziato ad avere qualche dubbio quando intorno alla morte di Yara è aparso il nome di Guerinoni e a Ester hanno prelevato il primo campione di saliva, oppure l’estate scorsa, quando si è appreso dai giornali che il suo amico Bigoni aveva tirato fuori una confidenza fattagli da Guerinoni riguardante un figlio avuto da una relazione extraconiugale e mai riconosciuto. Giovanni Bossetti è un uomo molto malato e lunedì, quando Massimo Giuseppe è stato arrestato, ha chiesto di essere dimesso dall’ospedale in cui era stato ricoverato. Il giorno seguente è stata Ester a stare male e a chiamare il 118 dalla casa di Terno d’Isola: nel nastro della registrazione è rimasta impressa una lite furibonda, con un uomo che esprimeva la sua rabbia urlando «mi hai rovinato, mi hai preso in giro», esprimendo tutta la disperazione di un padre che scopre di aver cresciuto e amato un figlio non suo che forse è un assassino.
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LE INDAGINI – Ora bisognerà vedere se oggi Bossetti parlerà davanti al giudice per le indagini preliminari Ezia Maccora, che deciderà sulla convalida del fermo. Silvia Gazzetti, l’avvocato dell’uomo ha dichiarato: «Gli ho spiegato le possibilità che aveva e lui ha scelto di avvalersi della facoltà di non rispondere. Vedremo cosa fare, lui è molto provato, è in isolamento». Non è detto che però che quanto la procura ha in mano basti per mandare a processo un uomo con la pesante accusa di aver ucciso Yara: se crollasse la prova madre del Dna, allora vacillerebbe un’intera scienza. Per questo gli investigatori stanno cercando indizi e prove che possano dare forza all’accusa. Nel fermo del pm si parla del cellulare di Bossetti che il 26 novembre del 2010 ha agganciato la cella telefonica di via Natta, a Mapello: «È compatibile con quelle agganciate fa Yara», scrive il magistrato, ma è altrettanto compatibile con la casa del carpentiere, che si trova proprio a Mapello. Questa prova quindi non basta. Partono allora altre verifiche e gli inquirenti cercano di capire chi è Massimo Giuseppe Bosetti cercando nei suoi due computer e nei diversi telefoni sequestrati insieme alla sua Volvo V40 station wagon, al furgone Iveco S11 cassonato, quattro taglierini e sette giubbotti. Gli investigatori tornano poi in palestra e in quel cantiere di Mapello per controllare l’elenco delle ditte che vi hanno lavorato, chiedendosi poi chi vi aveva operato in nero. Inoltre vi sono da controllare le telecamere che puntano sulle strade del centro sportivo, nelle cui registrazioni si vedono solo qualche auto e qualche furgone sfrecciare, ma se prima si trattava di mezzi qualsiasi, ora gli inquirenti hanno in mano qualche dettaglio in più, ma soprattutto un volto e un nome.
(Photocredit: Spada/LaPresse)