La storia dei mercenari norvegesi in Congo

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Tjostolv Moland è morto e Joshua French non sta tanto bene

Tjostolv Moland e Joshua French sono due ex militari norvegesi che hanno cercato fortuna mercenaria nel cuore dell’Africa, trovando l’esatto contrario.



NE RESTA SOLO UNO – Tjostolv Moland è morto in cella a 32 anni, non si sa ancora se suicida o ucciso, ma le cronache sembrano escludere la malattia, causa di morte abbastanza comune nelle prigioni congolesi. Moland, una formazione da estremista di destra, arruolato nell’esercito norvegese come l’amico French, che ha anche la cittadinanza britannica, ha così trovato pace alle sue pene, che da quando è arrivato in Africa in cerca di fortuna sono andate in un crescendo inarrestabile.



CONDANNATI A MORTE – I due erano stati condannati a 4 e 5 condanne a morte ciascuno, riconosciuti colpevoli di accuse abbastanza lunari, tra le quali lo spionaggio a favore della Norvegia, ma a dannarli è stato l’omicidio di un locale, con il quale avevano contrattato un passaggio per loro due e la loro moto in panne e con il quale forse non si erano capiti bene. Da una lite sulla destinazione finale è scaturita la morte di Abedi Kasongo, ucciso con una fucilata il 2 maggio del 2009. Altri due passeggeri della Toyota Land Cruiser, e testimoni, hanno raccontato di essere sfuggiti per un pelo agli spari di Moland, buttandosi nella foresta.

LA FUGA DEI DUE MERCENARI- Da lì è cominciata la vera odissea dei due, che hanno avuto la bella idea di darsela a gambe, farsi una foto sorridenti mentre lavavano il sedile dell’auto che poi hanno rubato per fuggire e che infine hanno pensato di provare a fuggire atttraverso la foresta. Li hanno presi dopo 3 e 6 giorni, il secondo si è consegnato, e condotti a Kisangani, loro stazione di partenza e centro dei loro interessi recenti. Trovati in possesso di carte d’identità rilasciate dall’esercito norvegese i due sono però stati trattati da miliatari e spie nemiche, subendo un processo davanti a una corte militare che si è concluso con una serie di condanne a morte multiple, l’equivalente dell’ergastolo stante la moratoria delle esecuzioni sotto il governo Kabila.



IL GIUDIZIO CONTRO I NORVEGESI- Il processo è stato discutibile per gli standard occidentali e il governo norvegese, che nega ogni coinvolgimento diretto con i due e ha sempre smentito che fossero in missione per conto di Oslo, se ne è lamentato molto, ma non c’è stato nulla da fare. Due mesi dopo il loro arresto e dopo aver sofferto di febbre tifoide, malaria leggera e vermi intestinali, senza aver mai ricevuto un cambio d’abito o la possibilità di radersi, i due sono stati scortati attraverso il centro di Kisangani fino all’edificio del Centro dell’Alleanza Culturale Franco-Congolese, un auditorium su tre piani carico di storia, pessima per i nostri eroi.

L’OMBRA DELL’OLOCAUSTO – Il centro è stato costruito da re Leopoldo II del Belgio per dare una parvenza di legittimità al suo dominio sul Libero Stato del Congo, che gli era stato concesso in proprietà privata dal consesso dei sovrani europei e che sfruttava selvaggiamente. Kisangani, all’eposca Stanleyville, era il centro del Cuore di Tenebra raccontato da Conrad e quell’edificio ospità a lungo solo scandinavi, erano infatti svedesi, norvegesi e danesi che erano stati incaricati del servizio fluviale lungo il fiume Congo, dove trovò un comando anche il capitano polacco Conrad. Una pessima coincidenza, visto che Leopoldo II è il responsabile riconosciuto dell’olocausto congolese, 10 milioni di morti su 20 residenti, intere famiglie sterminate o mutilate per “incentivare” gli uomini a immergersi nella foresta e a produrre la preziosa gomma. Oggi è la telefonia mobile a richiedere il Coltan congolese, ieri era la scoperta del processo della vulcanizzazione della gomma che negli Stati Uniti faceva esplodere la Goodyear e provocava stragi in Congo. Dove Leopoldo era andato a portare la civiltà e a proteggere i poveri neri dall’oscura minaccia degli schiavisti, finendo per creare un sacco di posti di lavoro per i quali non c’erano lavoratori e finendo per schiavizzare chi non capiva il senso di una pretesa tanto assurda.

L’ESEMPIO DEL GIUDICE BIANCO – Il primo giudice in quella faceva anche da corte di giustizia  fu il norvegese Vilhelm Mariboe, uno che scrisse che “il negro tropicale è il più pigro tra quanti sono stati creati fin dall’alba dei tempi”. Forte di questa convinzione condannava i pigroni ad essere frustati con una frusta di pelle d’ippopotamo, perché “Mettere un negro in una prigione e lo stesso che fargli un piacere. Allora può godersi la sua pigrizia”. Pessimo posto per due mercenari norvegesi accusati di aver ucciso per futili motivi l’ennesimo negro di una serie che si conta a milioni, per giunta mercenari accorsi per approfittare dell’instabilità di un paese minato anche dall’accorrere d’avventurieri del genere, sempre pronti a farsi manovalanza anche dei progetti più atroci. La pubblica gogna non è stato il momento peggiore, il processo è filato via liscio per l’accusa e la condanna è stata poi confermata anche in un paio d’appelli successivi, mentre è stata ridotta la sanzione comminata alla Norvegia, da qualche miliardo di dollari a 60 milioni, un dollaro a congolese, che però Kinsasha non vedrà mai visto che Oslo nega qualsiasi responsabilità. Ma per i due è rimasto il problema rappresentato dallo stato delle prigioni congolesi.

COSA FACEVANO DAVVERO I MERCENARI NORVEGESI – I due non erano stinchi santo, le indagini degli ugandesi, dove Moland e French avevano aperto la sede della loro micro-agenzia di sicurezza hanno trovato una lettera che avrebbero indirizzato a Laurent Nkunda, pessimo signore della guerra finito sotto accusa per crimini contro l’umanità, al quale offrivano i loro servigi. Nei loro computer gli ugandesi hano trovato anche traccia di un’attività di sorveglianza di una banca di Kisangani e, per altro verso, James Banford di GQ, autore di un gran bel pezzo sulla storia dei due norvegesi, è riuscito a rintracciare un loro ex-socio, un britannico al quale avevano proposto proprio una rapina alla banca. Travestiti da soldati dell’ONU avrebbero dovuto compiere la rapina per conto di un mandante misterioso che voleva danneggiare un signore della guerra che in quella banca riciclava i suoi guadagni. Almeno così gli avevano spiegato, prima di litigare e di dividersi. Difficile credere alla storia del mandante, più facile credere che i due, passati da una serie d’ingaggi modesti e a corto di denaro, stessero ancora pensando alla banca, quando forse per un incidente o forse perché ubriachi hanno fatto secco il povero autista.

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SFORTUNATI TUTTI – Mercenari allo sbaraglio, pronti a vendersi a chiunque, anche il loro aspirante partner britannico ha ammesso che non avrebbe avuto problemi a rapinare la banca. Personaggi con poca arte e perennemente in cerca di una parte, che non sia quella di finire a far la guardia a una miniera, pagati come una guardia giurata a fare una vita orrenda. I due giovani norvegesi allo sbaraglio, senza neppure conoscere il francese, vichinghi persi nel cuore nero dell’Africa, così sfortunati che persino l’arma del delitto è stata recuperata per caso da un pigmeo nel cuore della foresta e consegnata alle autorità, anche se poi i giudici hanno ritenuto superflua qualsiasi autopsia o perizia balistica.

IL PROBLEMA DELLA PRIGIONE – I due prima si sono detti innocenti e vittime di un agguato, al quale sarebbero sfuggiti per miracolo, continuando poi a fuggire per timore di non essere creduti. Poi Moland confessò e chiese perdono ai parenti dell’ucciso, poi ritrattò di nuovo, ma a inchiodarlo resta anche un sms alla findanzata, nel quale prima di consegnarsi aveva scritto che era stato un incidente e che lui non voleva, niente agguati. I due erano sembrati essersi sistemati in maniera decente nella prigione di Kisangani, dove ai cronisti erano apparsi nella condizione di privilegiati e allo stesso tempo di benefattori tra gli altri 450 prigionieri, tutti neri. Che però a un certo punto del 2011 si sono ribellati contro la direzione del carcere, spingendo le autorità a rimuovere i due preziosi prigionieri e metterli “al sicuro” in un carcere militare. Dove sono andati a stare molto peggio,  privati delle libertà che si erano ritagliati e di ogni avere tra i tanti mandati dal comitato di sostegno che si è costituito in Norvegia per chiedere la loro liberazione.

FINE PENA MAI – Una condizione che ha già significato la morte di Moland, il meno stabile psichicamente e che ha sicuramente agggravato di molto le condizioni di detenzione anche per il suo compagno superstite. Appena di un anno più giovane, French ha legato il suo destino a quello dell’amico fin da quando ha lasciato l’esercito norvegese, condividendone tutti i tormenti africani fino all’ultimo, ora resta solo nella durissima impresa di riuscire a sopravvivere al carcere congolese e a una condanna infinita. Una condizione che probabilmente molti congolesi gli invidierebbero, e non perchè sono pigri e vorrebbero andarsi a riposare al suo posto.