La macelleria messicana è sempre aperta

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L'arresto di El Chapo probabilmente non influirà molto sul massacro quasi quotidiano e nemmeno cambierà i rapporti di forza tra cartelli e stato

L’arresto in Messico di Joaquin “El Chapo” Guzmán, considerato a capo del cartello di Sinaloa è indubbiamente un successo, ma difficilmente risulterà più di un episodio nella sanguinosa storia del paese negli anni recenti e in quelli a venire.



IL TROFEO – El Chapo sta più o meno per «il piccoletto», Guzmán è decisamente basso, lo hanno  arrestato senza sparare un colpo nella città di Mazatlan, nello stato di Sinaloa, sulla costa nord-occidentale del Messico Era in compagnia di una donna che si spostava con lui, almeno a giudicare dalle valigie rosa e dai molti prodotti da toilette che appaiono nelle immagini della loro camera d’albergo diffuse dalle autorità messicane. El Chapo era molto ricercato, nel 2013, la commissione anticrimine di Chicago lo aveva dichiarato  «nemico pubblico numero uno». Dopo averlo catturato, i fanti di marina lo hanno presentato alla stampa in un aeroporto, portandolo per mostrarlo in elicottero e poi via di nuovo, molto scenografica.



UN PEZZO GROSSO – Boss del cartello di Sinaloa, che si stima gestisca circa il 25% del traffico di marijuana, cocaina e metanfetamine che dal Messico passano negli Stati uniti,dal 2009 è inserito nella lista stilata da Forbes delle cento persone più potenti del mondo. Un potenza che si alimenta della sua grande potenza economica e della capacità del suo cartello di controllare il territorio e di reggere in confronti militare non solo con la polizia messicana, ma anche con i quotatissimi rivali degli Zetas, il cartello che con quello di Sinaloa prende la fetta più grossa del traffico. Guzmán è stato arrestato già diverse volte, ma è sempre riuscito ad evadere grazie alla corruzione di giudici, funzionari e poliziotti, per mantenersi latitante poteva contare su una rete di rifugi dotati di vie di fuga sotterranee, una specialità locale, visto che i tunnel restano uno dei metodi più in voga per passare il confine e anche e Sinaloa non è esattamente zona di confine, pare che Guzmán non abbia mai trovato difficoltà a procurarsi la manodopera.

LA MATTANZA – Guzmán e il suo cartello sono dunque tra i principali protagonisti della macelleria che ha sconvolto il Messico dal 2006 in avanti, con l’esplosione di una specie di guerra civile che fino a oggi è costata circa 50.000 morti, in un crescendo che ha portato a chiudere l’anno scorso a quota 15.000 vittime, di peggio in giro c’è solo la guerra in Siria o alcuni paesi dell’area come Honduras, Guatemala, Giamaica e più a Sud Colombia e Venezuela, che soffrono tassi altissimi di violenza endemica. Anche diversi di questi paesi sono piagati al dilagare dei cartelli e alla fallimentare War on Drugs, l’idea di affrontare gli spacciatori con l’esercito che ha portato alla nascita degli eserciti degli spacciatori e alla formazione di consenso sociale attorno ai cartelli. Dopo l’arresto di El Chapo c’è stata una manifestazione pubblica in suo favore con tanto di banda. Una situazione disastrosa con la polizia che non è in grado di fronteggiare l’onnipresenza e la potenza degli uomini dei narcotrafficanti. Sotto i colpi dei trafficanti sono caduti politici, giudici, militari e centinaia di poliziotti, molti di più si crede che siano quelli che hanno preferito farsi corrompere, a volte uccidere i propri colleghi che infastidivano i re del narcotraffico.



LO STATO PERDE – I governi che si sono succeduti hanno schierato tutto quello che potevano, ma non basta e nemmeno i generosi aiuti americani hanno spostato la bilancia di un confronto che per ora pende sempre di più dalla parte dei narcos. Il successo di questi gruppi per di più ha scatenato fenomeni d’imitazione in altre parti del paese, dove il banditismo più truce terrorizza vaste regioni anche dove non ci sono gruppi strutturati ed estesi come i cartelli della droga, che attirando su di sé le forze hanno anche provocato un generale allentamento del controllo del territorio da parte dello stato altrove.

IL PROSSIMO PADRINO – L’arresto di El Chapo cambia poco, il potere dovrebbe passare a Ismael «El Mayo» Zambada, un sessantaseienne ex agricoltore che non ama mettersi in vista. Zambada  vive sulla Sierra e non frequenta posti di lusso, né si concede consumi folli ed è molto più difficile da tracciare, lui infatti non l’hanno mai preso e non si è fatto mai vedere in giro, al contrario di El Chapo che amava i blitz nei ristoranti di lusso nonostante la forzata clandestinità e che è stato tradito da un telefonino cellulare. Chi prenderà il suo posto ora avrà i suoi problemi, perché essere il numero uno in un contesto del genere espone a pericoli enormi, tra i quali la prigione è forse solo un modesto disturbo. I cartelli non sono organizzazioni monolitiche, sono piuttosto alleanze di bande e organizzazioni e la leadership dei cartelli finisce spesso contesa a fucilate. I cartelli poi si fanno la guerra a colpi di stragi dei rispettivi favoreggiatori, sono rare le battaglie o gli scontri a fuoco, frequentissimi invece i rapimenti, le torture e le efferatezze, poi prontamente caricate su YouTube. Così al video con le decapitazioni risponde l’esposizione di cadaveri decapitati appesi da un ponte, all’arresto di un boss il rapimento e le più incredibili torture di ufficiali e funzionari.

LE MILIZIE CIVICHE – Un contesto nel quale la vita umana non vale nulla, ma che ha scarsa eco al di fuori del paese, se non negli Stati Uniti, dove finisce la droga che arricchisce i cartelli e da dove arrivano le armi che rendono letali i cartelli. La frontiera è la fonte della ricchezza e attorno alla frontiera gira il fenomeno che ha destabilizzato il Messico fino a renderlo uno dei paesi più pericolosi del mondo, un posto nel quale ora sono sorte persino pericolosissime milizie di autodifesa cittadina, per ora ben lontane dalle zone controllate dai cartelli.

LA MAGIA DELLA FRONTIERA – La frontiera fa la differenza, moltiplica magicamente il valore delle merci proibite e costituisce una barriera anche tra quanti possono attraversarla e restare negli Stati Uniti legalmente e quanti no. È negli Stati Uniti che gli uomini dei cartelli investono parte dei guadagni, trasferiscono le famiglie, possono contare vaste complicità sia con gli anglofoni che con gli ispanofoni, perché parlano il linguaggio dei dollari. Una frontiera che gli Stati Uniti rinforzano e fortificano di continuo anche se l’immigrazione del Sud è in calo e anche se gli stati del Sud sono ormai bilingue e la grande muraglia serve a rassicurare i soliti bianchi paranoici e i gli ispanici che non vogliono il dilagare della violenza messicana negli Stati Uniti, anche se il muro non ha certo impedito ai killer dei cartelli d’inseguire e uccidere le loro prede anche nei più remoti angoli del paese, il muro serve solo contro i disperati e i poveri. Una situazione che nessuno sa come risolvere, l’unica possibilità contemplata ormai da anni è l’aumento della repressione e della risposta armata ad alimentare un circolo vizioso dal quale per ora non si vede l’uscita.