Michela Brambilla, la Camera vota no all’autorizzazione a procedere

L’Aula della Camera nega l’autorizzazione a procedere nei confronti di Michela Brambilla (Fi) per i reati di peculato e di abuso di ufficio, per aver usato in due occasioni un elicottero dei Carabinieri per raggiungere, come ministro del governo Berlusconi, Piazzola sul Brenta e Rimini dal luogo in cui risiede. L’Assemblea di Montecitorio ha accolto le conclusioni della Giunta per le Autorizzazioni, che prendeva atto dell’archiviazione decisa dalla Procura della Repubblica.

MICHELA BRAMBILLA, NO ALL’AUTORIZZAZIONE A PROCEDERE – L’autorizzazione a procedere è stata negata a voto segreto con 363 si’ e 117 no. Il no all’autorizzazione a procedere era stato proposto all’Aula dalla Giunta a larga maggioranza, nella constatazione che Brambilla aveva usufruito di voli di Stato “per l’assolvimento di impegni istituzionali nell’esercizio della sua funzione di governo”.

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IL MOVIMENTO 5 STELLE ALL’ATTACCO – Alessandro Di Battista del MoVimento 5 Stelle accusa il Pd di aver salvato la Brambilla:

MICHELA BRAMBILLA E I VOLI CON I CARABINIERI – Il Fatto ricostruiva così qualche tempo fa la vicenda in cui era coinvolta la Brambilla:

Due in particolare i voli contestati, quelli del 9 dicembre 2009 e del 13 marzo 2010, raccontati nel novembre del 2010 dal Fatto Quotidiano, che ricevute e bilanci alla mano, documentò almeno due spostamenti del ministro effettuati con voli di Stato e procedure particolari senza nessuna “comprovata necessità istituzionale”. Elicotteri dei carabinieri per gli spostamenti, autoambulanze e automediche per garantire le condizioni di sicurezza necessarie al volo. Il tutto per raggiungere, è il caso del 13 marzo, il suo comitato elettorale a Rimini.

E faceva anche i conti in tasca al ministro:

Senza contare l’ingente uso di risorse pubbliche: solo nel 2009 il ministro aveva speso 157mila euro in viaggi contro un budget previsto di 27mila. Nella scorsa legislatura la vicenda era finita anche agli atti di una interrogazione parlamentare degli onorevoli Ferrante e Della Seta che prendeva ampi stralci proprio dall’articolo del Fatto per chiedere conto al ministro delle sue abitudini e oggi ricompare – come raccontato da Repubblica – nella richiesta di atti che il pm – unico modo per far proseguire le indagini – ha inoltrato al Tribunale dei Ministri.

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