Sei un millennial? Ti aspetta una pensione da fame (se ce l’avrai)

Categorie: Economia

Tra lavoretti e voucher si rischia di percepire appena un terzo dell'ultimo stipendio. L'allarme di Tito Boeri, presidente Inps

Niente di buono all’orizzonte. Mille euro di stipendio netti oggi, valgono 800 euro di pensione domani. E saranno incassati dai 75 anni in poi. Questo il quadro tracciato da su Repubblica per i nati post 1980, non più giovanissimi.



Non lo nasconde il presidente Inps Tito Boeri, quando calcola per questa generazione non solo mini-assegni, ma un’età di uscita superiore anche ai 75 anni (contro i 66 anni e 7 mesi di oggi) con dieci anni di buchi accumulati lungo la strada. E non è tutta colpa del sistema contributivo, in vigore dal 1996, che impone di determinare la pensione in base a quanto
versato e non come media degli ultimi stipendi. Anzi. Con 35 anni di contributivo il tasso di sostituzione, il rapporto tra l’assegno previdenziale e l’ultima retribuzione, è del 75%. Con 40 anni si va addirittura all’85%. Più versi, più prendi. Ma ad una condizione: carriera liscia come l’olio, senza interruzioni. Altrimenti — il calcolo è di Progetica – quel tasso scivola al 31% per le partite Iva, al 34% dei cococo e al 44% dei lavoratori dipendenti. In pratica, si va in pensione con un terzo dell’ultima busta paga.

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E il governo che fa? C’è l’integrazione, al minimo. Soluzioni grandi, insomma:



Due delle tre ipotesi di intervento sono però di fatto integrazioni al minimo, ribattezzate come “pensione di garanzia”, a carico dello Stato. Così la Damiano-Gnecchi: 442 euro mensili con 15 anni di contributi da sommare alla pensione maturata, entro un tetto di 1.500 euro.
E così anche l’ultima di Stefano Patriarca, consigliere economico di Palazzo Chigi: 650 euro al mese con 20 anni di contributi, che salgono di 30 euro per ogni anno in più, fino a un massimo di 1.000 euro, equivalenti a 35
anni di versamenti. Si distingue la proposta formulata dall’economista Michele Raitano che punta invece a ricalcolare l’assegno di garanzia in modo che sia proporzionale agli anni di contribuzione e all’età del ritiro dal lavoro, a prescindere dai contributi versati. E a valorizzare anche i buchi accumulati, le interruzioni tra un lavoro e l’altro, magari spese per formarsi.

Secondo la Ragioneria la gobba della spesa pensionistica toccherà il massimo nel 2040 (sarà il 16,3% del Pil, 0,8 punti in
più delle vecchie stime). Una patata bollente difficile da affrontare.



(in copertina foto ANSA)