Dove va il Myanmar
24/04/2015 di Mazzetta
Un’immagine agghiacciante vale più di mille parole: soldati che bastonano e arrestano gli studenti impegnati in una marcia fino alla capitale per protestare contro una legge che centralizza l’educazione nelle mani di un potere già troppo invadente. Il «nuovo» Myanmar non è per niente diverso da quello vecchio, riabilitato grazie a una finzione. A lenire la delusione arriva ora l’accordo di pace con 16 gruppi da sempre in guerra con il governo centrale.
LA REPRESSIONE COME UNA VOLTA – Gli studenti bastonati e arrestati a Leptadan mentre erano diretti verso la capitale sono un dettaglio significativo, ma pur sempre il dettaglio di un quadro più ampio nel quale la loro protesta assume quasi un aspetto di normalità, anche se la polizia a bastonare i manifestanti pacifici non si vedeva dai tempi della dittatura. Dittatura che quattro anni fa si è riciclata in democrazia, pur mantenendo un ferreo controllo sul paese ed è così riuscita a ritornare nel consesso civile, «guidata» soprattutto da Stati Uniti e Francia dopo anni trascorsi nell’angolino dei cattivi.
IL PAESE CHE ESISTE SOLO SUI MEDIA – Così i media occidentali hanno cominciato a descrivere la Premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, già eroina delle resistenza alla dittatura come «interprete di un bipolarismo gentile, ma il bipolarismo non s’è visto, gli ex del regime controllano parlamento e istituzioni senza lasciare spiragli ad altri e il partito della signora Nobel, come gli altri all’opposizione, non potrebbe vincere le elezioni nemmeno se avesse i voti che non ha. Non c’è più la censura di un tempo, ma c’è l’autocensura e soprattutto c’è ancora lo stesso governo forte e minaccioso di un tempo e ci sono ancora i militari a controllare la politica come l’economia. Il regime militare non era per niente morbido e si è assicurato che la transizione alla «democrazia» non danneggiasse la sua presa sul potere e gli affari che i militari si sono ritagliati a spese del paese. Regime tipicamente paranoico e totalitario, tanto che sentendosi minacciato dal mondo che chiedeva la democrazia, risolse di costruire ex novo una capitale, Naypyidaw, una città costruita dal nulla per volere del leader dell’ultima giunta militare Than Shwe, che nel 2011 ha lasciato la carica di capo di stato al suo delfino Thein Sein, già primo ministro e ora presidente. Una città costruita nell’interno, in posizione più difendibile di Yangoon e dotata di bunker e tunnel sotterranei realizzati con la consulenza dei nordcoreani.