Se la ‘ndrangheta comanda in una palazzina del milanese

06/11/2017 di Redazione

«A Pioltello la vita è diventata per me invivibile. Quando ieri sono tornata a casa a prendere le mie cose la gente del condominio voleva picchiarmi e diceva che era colpa mia quello che era successo». Questo il racconto degli inquirenti – riferito dall’Agi – della moglie dell’operaio vittima dell’attentato dinamitardo che ha fatto esplodere una palazzina a Pioltello, cittadina alle porte di Milano dove è stata certificata la presenza di un locale gestito dall’ndrangheta.

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PIOLTELLO E IL MARITO FUGGITO IN ECUADOR PER AVER DENUNCIATO LA ‘NDRANGHETA

La donna ha espresso agli inquirenti i suoi dubbi sull’opportunità di raggiungere il marito fuggito in Ecuador. «A Pioltello – spiega – la vita è diventata invivibile: mi accorgo che mia cognata non ha piacere che io rimanga a casa sua. Si sente osservata dalle persone che incontra e tutti noi viviamo in un clima di terrore. A Pioltello tutti sanno che i Manno sono gente pericolosa. Mia cognata ieri è andata al parco col bambino e mi hanno detto che le persone la additavano dicendo che il padre di Mannno era in carcere e che tra un anno sarebbe uscito, sottolineando che quando ai Manno toccano i loro figli non si fermano davanti a niente». «Io e mio marito – ha aggiunto – volevamo restare in Italia. Mio marito aveva un buon lavoro, non eravamo ricchi ma volevamo continuare a stare in Italia, ma questo non è possibile».

Cosa è successo a Pioltello?  Il 10 ottobre scorso un ordigno è stato fatto esplodere davanti alla porta di un appartamento causando danni ingenti a una palazzina. Nel mirino un operaio ecuadoriano di 45 anni. I militari del comando provinciale di Milano hanno arrestato per il gesto Roberto Manno, un 25enne da Melzo, con l’accusa di detenzione di materiale esplodente, estorsione e usura, aggravati perché commessi con modalità mafiose. L’indagato appartiene infatti a una nota famiglia di ‘ndrangheta radicata sul territorio: è figlio del 56enne Francesco Manno e nipote del 53enne Alessandro Manno, condannati nell’ambito dell’indagine «Infinito» rispettivamente a 9 e 15 anni di reclusione. L’ecuadoregno era vittima di estorsione da parte del clan. Doveva pagare la somma di 32 mila euro, usura, di fronte al prestito di 20 mila euro ricevuto dal figlio a marzo. Pochi giorni prima Roberto Manno aveva minacciato la vittima con un ultimatum: se non avesse pagato il padre avrebbe pagato il figlio per tutto questo. La bomba è esplosa, non a caso, un’ora e venti minuti dopo la scadenza imposta.

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