Perché ha chiuso Cronaca Qui Milano?

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L'editore ha deciso d'interrompere la pubblicazione a causa della mancanza di fondi. Una situazione comune a troppi giornali italiani. Verità o scusa di comodo?

Un altro quotidiano se ne va. L’edizione milanese di Cronaca Qui, versione meneghina di quella che fu Torino Cronaca, oggi Cronaca Qui, chiude i battenti. Da ieri non è più in edicola.



NON SI VENDE PIU’ – La chiusura ha lasciato a piedi dieci giornalisti e molti collaboratori. La decisione è stata comunicata direttamente dal direttore Beppe Fossati attraverso una e-mail inviata a collaboratori e redattori. La motivazione? Sempre la solita: le vendite non sono sufficienti. I lettori sono troppo pochi, la nuova norma sui sussidi all’editoria prevede che i contributi arrivino in base alle copie vendute e non a quelle stampate e la raccolta pubblicitaria è assolutamente insoddisfacente.



I SOGNI – Brutta fine quindi per un quotidiano il cui arrivo sotto la madunina nel 2007 aveva lasciato sperare in una boccata d’aria fresca visto la condizione asfittica della cronaca locale. All’epoca Fossati, insieme all’editore Massimo Massano ed Editoriale Argo si aspettavano che a regime la versione milanese di Cronaca Qui avrebbe raggiunto 270 mila lettori con una vendita di 88 mila copie giornaliere. Ad aiutare l’acquisto il costo esiguo di ogni copia, 20 centesimi per un quotidiano a colori di formato tabloid con una foliazione che andava da 32 a 48 pagine.

GIORNALE DI DENUNCIA – Cronaca Qui Milano avrebbe mantenuto la sua forma di giornale “di denuncia” con una certa attenzione alla cronaca locale. Lo stile doveva essere graffiante, provocatorio, irriverente, indipendente. Avrebbe dovuto denunciare scandali, sprechi e inefficenze segnalando nel frattempo le scariche elettriche “positive” che attraversano la comunità locale. Attraverso questo stile quindi l’obiettivo era quello di accogliere lettori puntando al senso di appartenenza, all’attenzione per la notizia “vicina” con uno sguardo particolare ai fatti e alle curiosità cittadine coinvolgendo i lettori nell’attività di redazione.



PER I CITTADINI – Invece, relativamente agli inserzionisti, veniva offerto un target trasversale, non solo anziani quindi, la frequenza dell’uscita in edicola, di cinque giorni alla settimana, dal martedì al sabato, un’ampia visibilità, la vicinanza al territorio e il rapporto assiduo dei lettori con la testata. Il prezzo era di venti centesimi mentre le sezioni della versione lombarda prevedevano spazio per il territorio locale, cronaca bianca, nera, giudiziaria, rosa, spettacoli e sport, rubriche di cronaca, inchieste, quartieri cittadini, comuni locali, sport e tempo libero.

MANCANO DATI REALI – I problemi però partono dalla diffusione. L’edizione piemontese, fondata nel 2002, viene dichiarata con una diffusione di 60 mila copie tra Torino, Val d’Aosta e Ponente Ligure, con 205 mila lettori. Eppure Cronaca Qui non ha diffuso i suoi dati reali. Secondo una fonte torinese le copie diffuse sono circa 40 mila al giorno. Da segnalare come il quotidiano risulti iscritto al Tribunale di Milano già nel 1950 anche se la sua fondazione è datata 2002.

AI MILANESI NON PIACEVA – Non è tutto. Il taglio aggressivo previsto dal quotidiano non è piaciuto al pubblico milanese. Per questo nonostante il prezzo assolutamente competitivo non c’è stato alcun modo di “risalire” la china, per quanto sia stato posto a capo della redazione milanese Andrea Miola, già nella redazione piemontese. L’aumento del prezzo da 20 a 50 centesimi, poi, ha diminuito ancora di più le vendite già esigue. Ecco quindi che i costi di una redazione al completo, con annessi stipendi, della stampa e della distribuzione, non sono diventati più sostenibili. E quindi è arrivata inevitabile la decisione di puntare tutto su Torino.

NON MANDARE NULLA – E quindi? Come l’hanno presa i collaboratori e i redattori, specie dopo il preavviso di poche ore. Non bene, almeno a sentire la voce di uno di loro, voce anonima, il quale ha denunciato già lunedì mattina una situazione ai limiti dell’assurdo: “mi hanno detto di non mandare pezzi perché tanto non sarebbero più usciti. Io sono un collaboratore e sono poco tutelato, ma penso ai redattori che si sono trovati con il culo per terra dall’oggi al domani senza un minimo di tutela. A casa da martedi”.

E’ VENUTO L’EDITORE – La versione “ufficiale” dell’e-mail diretta a redattori e collaboratori andrebbe a contrastare con il racconto della stessa fonte: l’editore di Cronaca Qui entra in redazione a Milano -via Sammartini 37-  e decide che da domani non si va più in edicola, che bisogna sbaraccare e chi si è visto si è visto”. La giustificazione della mancanza di entrate sembra anche questa abbastanza “fallace”: “nell’ultimo anno hanno portato a casa 3 milioni e 700 mila euro di contributo per l’editoria. Chissà dove sono finiti questi soldi”.

L’ORDINE CHE FA? – Ultimo riferimento, amaro, è dedicato all’Ordine dei Giornalisti che accetta questo tipo di operazioni da parte di personaggi travestiti da editori che sempre più spesso danno l’idea di scappare con la cassa mentre un professionista o un pubblicista si trova a pagare 100 euro per l’appartenenza a un organo che non tutela nessuno e che non prende provvedimenti seri tesi a combattere il precariato giornalistico.

QUALCHE DATO SUI CONTRIBUTI ALL’EDITORIA – Torniamo però a parlare di soldi. La cifra di 3 milioni e 700 mila euro sembra confermata da Fanpage il quale conferma che per quanto riguarda il 2010 l’Editoriale Argo, società che edita Cronaca Qui, ha portato a casa dallo Stato 3.667.396,28. Sempre secondo Fanpage, questa somma va confermata anche per l’anno 2011. E se consideriamo che la decisione di chiudere baracca e burattini è arrivata anche a causa delle nuove regole per il finanziamento pubblico all’editoria, che prevedono come vi sia un venduto pari al massimo 35 per cento del distribuito, che quindi su 100 mila copie distribuite bastava venderne 35 mila, fonte Ilfattoquotidiano, si capisce come Cronaca Qui Milano non fosse altro che un gigante d’argilla. O almeno un modo facile e veloce per fare cassa.

SENSAZIONALISMI A GO-GO’ – Inoltre questo giornale non si occupava d’informazione fatta e finita, ma viveva di sensazionalismi, emotività, voglia di coinvolgere il lettore. I titoli, simili ma peggiori rispetto a quelli di Cronaca Vera, erano fatti apposta per coinvolgere. Le foto, tantissime, mal si sposavano con la qualità della carta, non proprio eccelsa. Gli obiettivi preferiti erano gli stranieri. Come e peggio di Studio Aperto. Se un reato veniva commesso da un non italiano era quasi sicuro che ci si sarebbe trovati il titolo urlato in prima con dentro almeno quattro-cinque pagine sul tema, sulle conseguenze, sulle opinioni. Da sottolineare l’ampio spazio destinato ai lettori, alle opinioni, alle lettere.

L’ADDIO DI CITY – E quindi ecco un altro giornale che se ne va. Negli ultimi mesi l’Italia è stata costretta a dire addio, più o meno per gli stessi motivi, a un altro prodotto però in questo caso di ben altra qualità. Stiamo parlando di City, la freepress del gruppo Rcs, il quale ha deciso l’addio al giornale visto il calo degli introiti pubblicitari. A differenza di quanto accaduto a Cronaca Qui, però, l’azienda di concerto con la redazione è riuscito dapprima in una cura dimagrante nelle redazioni, salvo poi arrivare alla chiusura. E parliamo di un giornale che nel 2011 era riuscito ad arrivare a un totale di 1.786.000 lettori, trasformandolo così nel sesto quotidiano d’Italia. Ultima differenza con Cronaca Qui, l’assorbimento da parte di Rcs dei 19 professionisti rimasti e dei poligrafici. Almeno quello.

LO SFRATTO DI E-POLIS – Un altro giornale che ci ha lasciato mesi fa è stato E-Polis, chiuso nel 2010 a causa del fallimento dell’azienda fondata dall’editore Nicola Grauso nel 2004, fallimento richiesto da lui stesso. Tra le altre cose questo quotidiano rappresentava un unicum anche perché la sua sede principale era a Cagliari, quindi ben lontano dei “regni” dell’informazione, ovvero Milano e Roma. “Portate via tutto”. Questa fu la comunicazione della proprietà ai redattori di Viale Trieste lo scorso 8 settembre 2010. Il fallimento del gruppo ha portato alla disoccupazione 130 tra redattori e collaboratori più altri dipendenti, poligrafici e agenti pubblicitari.

LA RINASCITA DI BARI – Quel “portate via tutto” è stato inteso come una voglia di sbaraccare tutto. Il 21 settembre poi è arrivato lo sfratto della redazione de “Il Sardegna”, del gruppo E-Polis, atto finale di una storia conclusasi poi nel gennaio 2011 con il fallimento. Unica edizione a salvarsi è stata quella di Bari, in quanto come confermato da Franco Abruzzo nel suo sito il foglio locale è stato acquistato dal tribunale fallimentare di Cagliari da Sedit Srl, la quale già aveva una partecipazione importante nella proprietà della testata locale. EPolis Bari aveva ripreso le pubblicazioni, per volontà della Sedit, il 14 dicembre 2010. Il quotidiano è gratuito ed è in distribuzione dal martedì al sabato. Per fortuna una buona notizia quindi, visto anche che oggi E-Polis Bari è il primo quotidiano della città per copie vendute. ”Il grande motivo di soddisfazione – afferma Giacomo Gorjux, presidente e amministratore delegato della Sedit – è quello di avere ridato alla città un giornale di proprietà esclusivamente locale. Nel segno di una grande tradizione dell’editoria di Bari e della Puglia”.

IL PASTICCIO DIECI – E quindi dopo la Gazzetta del Mezzogiorno e Telenorba ecco un altro esempio di editoria made in sud che funziona e vive nonostante le difficoltà endemiche di questa terra. Un piano industriale serio, un buon rapporto con il tessuto produttivo locale, ampi spazi per la pubblicità. E il gioco è fatto Ma per chiudere in bellezza, parlando di fallimenti, come non si può dimenticare l’esperienza di Dieci? Ricordate? Roberto Baggio testimonial, Ivan Zazzaroni direttore.

TRE MESI DI FUOCO – Come ci ricorda Abruzzo 24 la vita del quotidiano nato nel marzo del 2007, che doveva essere una versione nostrana dello spagnolo Marca e quindi diviso in due tra cronaca e approfondimenti con un direttore giovane e una redazione aggressiva, 48 pagine e 50 centesimi di prezzo, si concluse dopo soli tre mesi di vita. Tre mesi in cui successe tutto e il contrario di tutto. Dapprima lo sciopero della redazione “per protestare contro la totale assenza da parte dell’editore di un credibile piano editoriale e industriale”. Poi arrivarono le dimissioni di Zazzaroni, ovvero a inizio giugno.

TUTTI IN GALERA – Iniziano così gli scioperi a oltranza della redazione fino a quando l’editore, Fabio Caso, licenzia tutti direttore compreso. Lo stop arrivò il 26 giugno dopo sole 96 uscite. Come andò a finre? Nell’aprile 2010 vennero arrestati Fabio Caso, il padre Gian Gaetano e altre cinque persone. Queste le accuse: abusivismo bancario per oltre 200 milioni di euro, 9 milioni di euro di fatture false, 80 milioni di euro di fittizi aumenti di capitale sociale, bancarotta fraudolenta per Hopit Spa, Net.Tel. Spa, Editoriale Dieci Srl e Segem Spa, tentata truffa aggravata nei confronti della Regione Abruzzo per l’ottenimento illecito di fondi pubblici, falsità, calunnia aggravata e resistenza a pubblico ufficiale.

PERCHE’? – “Non riuscirò mai a capire quale logica, calcolo, vizio o inettitudine spinga a inventare un giornale per farlo colare a picco” si chiedeva all’epoca Ivan Zazzaroni. Alla luce di questa storia la risposta è semplice. Per fare il nostro mestiere spesso si rischia di avere a che fare con personaggi poco limpidi che pagano, se pagano, cifre ridicole dopo tanti mesi d’attesa, di pressione, di minacce legali. Eppure queste stesse persone riescono grazie a operazioni commerciali accorte e finanziamenti ad hoc a ottenere quanto vogliono. A un certo punto poi basta, stop, finita, ciao. Cronaca Qui Milano non è altro che l’ultimo di una serie di quotidiani andati via solo perché qualcuno aveva deciso che era il momento di raccogliere la borsa e salutare la baracca, senza pensare a quello che sarebbe successo ai propri dipendenti.