Perché il reato di tortura serve in Italia

07/03/2014 di Maghdi Abo Abia

Il Senato italiano ieri ha approvato quasi all’unanimità il disegno di legge Manconi che prevede l’introduzione del reato di tortura. E mentre sono molte le voci a favore del provvedimento che ora passerà all’esame della Camera, con il passare delle ore si stanno moltiplicando le posizioni critiche di coloro che chiedevano più coraggio e che temono, probabilmente, che anche questa proposta di legge sia destinata a cadere nel dimenticatoio, come avviene ormai dal 1989, primo anno in cui si provò ad inserire il reato di tortura nell’ordinamento giuridico italiano.

Un metodo di tortura in voga negli anni del regime militare in Paraguay (NORBERTO DUARTE/AFP/Getty Images)
Un metodo di tortura in voga negli anni del regime militare in Paraguay (NORBERTO DUARTE/AFP/Getty Images)

LA PROPOSTA APPROVATA DAL SENATO – Il Senato ha dato il via libera all’introduzione nel Codice Penale degli articoli 613 bis, che disciplina il delitto di tortura e l’articolo 613-ter, che incrimina il pubblico ufficiale che istiga altri alla commissione del fatto. La pena prevista va da tre a dieci anni, che passano da quattro a 12 qualora emerga che il responsabile è un pubblico ufficiale. E la formulazione, così organizzata, rappresenta un problema, il primo della nuova legge. L’Unione Camere Penali italiane si è dichiarata insoddisfatta in quanto il testo approvato al senato introduce la fattispecie come reato comune aggravato nel caso venga commesso da un pubblico ufficiale. Questo, continua l’Ucpi, porterà ad una sovrapposizione tra la condotta presa in causa ed altri reati già pre-esistenti.

UN TESTO DEPOTENZIATO – Il Senatore Luigi Manconi, Pd, relatore del disegno di Legge, ha votato a favore del testo da lui curato ma modificato dalla Commissione giustizia in modo da portare il relatore a manifestare dubbi ed insoddisfazione nei confronti del testo che ha snaturato l’ispirazione del disegno di legge. Spiega Manconi, ripreso da Rainews: «La mia critica non si limita ad alcune questioni, pur rilevanti, ma all’impianto ed all’ispirazione complessiva del disegno di legge a mio avviso depotenziato in misura rilevante nel suo significato, come la prospettiva e la finalità di questa normativa, a partire dalla formulazione che prevede la reiterazione degli atti di violenza, cioè il fatto che debbano essere ripetuti perché si dia la fattispecie della tortura».

Perché il reato di tortura serve in Italia

 

IL PROBLEMA ITALIANO – «Il motivo fondamentale di critica -ha concluso Manconi- è tuttavia un altro, nel provvedimento la tortura  non è qualificata come reato proprio ma comune, quindi imputabile a qualunque cittadino e non solo ai titolari di funzione pubblica, cioè alle forze dell’ordine, come avviene invece in molti altri paesi occidentali. Senza questa previsione il provvedimento ne risulta devitalizzato». Quindi il testo approvato non è quello auspicato dal relatore del disegno di legge e, così organizzato, serve a poco. In attesa delle decisioni della Camera relative alla possibilità di migliorare il disegno di legge o di accompagnarlo verso un binario morto, è opportuno ricordare che in Italia il reato di tortura serve per mettere il nostro Paese al passo con le grandi democrazie del mondo.

LA CONVENZIONE ONU DEL 1984 – Il nostro Paese deve ancora adeguarsi alla Convenzione Onu contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani e degradanti. Tale convenzione è stata adottata dalle Nazioni Unite il 10 dicembre 1984 ed è entrata in vigore il 26 giugno 1987. Tale convenzione richiede agli Stati membri dell’Onu di comprendere nel proprio ordinamento il reato di tortura da punire con pene adeguate e con indagini rapide ed imparziali su ogni singolo caso, senza alcuna eccezione accettata. Le dichiarazioni rilasciate sotto tortura non devono essere usate come prove nei processi, con la sola eccezione di un procedimento a carico di un torturatore ed a ogni vittima e relativi familiari dev’essere previsto un risarcimento psico-fisico e sociale. Solo che l’Italia non ha ancora esaudito quanto richiesto dall’Onu. Ed anche rispetto ai propri vicini di casa europei appare alquanto in ritardo.

Perché il reato di tortura serve in Italia

 

DOVE LA TORTURA È REATO – I Paesi del vecchio continente che hanno inserito nel loro codice penale il reato di tortura sono: Austria, Belgio, Danimarca, Estonia, Francia, Germania, Islanda, Lettonia, Lussemburgo, Macedonia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Slovenia, Slovacchia, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia, Ungheria, Città del Vaticano. L’Italia dal canto suo ha sempre ratificato gli accordi internazionali, compresa la convenzione del 1987 tra paesi europei che ha impegnato i firmatari ad adeguarsi a quanto sottoscritto tre anni prima al Palazzo di Vetro a New York. Ma il reato di tortura non è mai stato contemplato, in quanto, secondo il legislatore, le condotte richiamate nella Convenzione del 1984 sono riconducibili a fattispecie penali già contemplate dalla legge italiana come l’omicidio, le lesioni, le percosse, la violenza privata, le minacce.

LA PROPOSTA BATTELLO E LA COSTITUZIONE – E dire che in realtà in questi anni, 25 per l’esattezza, si è cercato più volte di far approvare un reato di tortura in Italia. Il primo tentativo avvenne nel lontano 1989. Per l’esattezza, il quattro aprile. All’epoca, il Senatore Nereo Battello, Partito Comunista Italiano, proposte un disegno di legge che prevedeva per il pubblico ufficiale che si macchiava del reato di tortura una pena compresa tra tre e sette anni di reclusione. Un solo articolo, molto semplice. Ma la proposta non venne approvata. E dire che sarebbe servita a determinare la pena per quello che è l’unico reato sancito dalla Costituzione Italiana, che all’articolo 13, recita testualmente:

È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà.

Di fatto viene punita la tortura, in anticipo di 36 anni rispetto a quanto deciso dall’Onu. Eppure, da allora, non si è riuscito a dare un significato alla parola «punita».

Share this article