Pippo Civati parla al Corriere della Sera dopo l’uscita dal gruppo del Partito Democratico alla Camera dei Deputati: un’intervista a tutto campo in cui l’ormai ex esponente del Pd spiega i motivi che l’hanno condotto allo strappo dopo due anni di “penultimatum”, come li chiama Alessandro Trocino del quotidiano di Via Solferino.
Il deputato lombardo spiega al quotidiano diretto da pochi giorni da Luciano Fontana i motivi per cui ha deciso, alla fine, per lo strappo.
Perché, dopo mesi di penultimatum, si è deciso a rompere?
«La mia credibilità si stava offuscando, l’accusa di non avere coraggio stava diventando insostenibile. Il mio caso è tutto politico, ma anche molto personale».
È un tradimento, il suo?
«Io non ho tradito. È Renzi che non ha rispettato il programma con il quale siamo stati eletti. Esco per coerenza, per le troppe differenze di metodo e di merito e per lo spostamento a destra del baricentro politico. La mia uscita è una conseguenza logica per chi ha vissuto in modo drammatico il passaggio della fiducia».
È stato drammatico anche per Bersani e Cuperlo...
Pesa anche l’inadeguatezza, secondo Civati, degli altri leader delle minoranze del Partito Democratico: “La minoranza si è divisa e il colpo lo ha mancato, per usare la metafora di D’Alema. Dal Jobs Act all’Italicum, hanno attivato tardi antidoti che non hanno funzionato”. E su Pierluigi Bersani: “E’ un uomo troppo garbato e troppo onesto, lo dico senza ironia. Non voleva enfatizzare i contrasti, ma ricomporli. Solo che Renzi non è Bersani”. E d’altronde, anche Enrico Letta, “è un po’ lontano”.
Passaggio importante è quello sul ruolo di Maurizio Landini.
Landini?
«Ci siamo visti, per me è un interlocutore. Non credo che la sua iniziativa si chiuda in un fronte sindacale».
Se ne va da solo?
«Non è detto che la prossima settimana non ci siano altri movimenti. Sarà interessante vedere chi si muove con me, a partire dal Senato».
Fassina e D’attorre?
«Bisogna chiederlo a loro».
Farà un partito dello zero virgola?
«No, un progetto di sinistra di governo. L’Italicum, al di là delle modalità di voto violente, serve a costruire il partito della nazione, che in realtà c’è già. A leggere le liste delle regionali c’è da avere paura».
Il momento nel Partito Democratico oscilla fra l’essere particolarmente critico e l’ ostentazione di una irreale ordinaria amministrazione: Lorenzo Guerini, vicesegretario del Pd, definisce la decisione di Civati “preannunciata da tempo”; Rosi Bindi parla di “un fatto politico da non sottovalutare”. Stefano Fassina afferma che “non si ricandiderebbe nel Pd” se ci fossero le elezioni domani e che “dobbiamo riflettere”, lui ed altri scontenti dalla “piattaforma liberista sul lavoro” presa dal Partito Democratico, sopratutto “dopo lo strappo profondo sulla democrazia sull’Italicum e dopo l’emarginazione dei precari e il prevalere di un modello verticistico sulla scuola”. Dopo l’uscita di Giuseppe Civati, sembrano partite le grandi manovre a sinistra.
Giuseppe Civati ha maturato la decisione di lasciare il PD, perché ha accumulato molte distanze dal Partito Democratico….
Posted by Nicola Fratoianni on Mercoledì 6 maggio 2015
Nicola Fratoianni da Sel si sente abbastanza sicuro da “mettere a disposizione” sia il partito che il gruppo parlamentare per creare qualcosa di nuovo. “Renzi non mi ha mai chiamato e adesso si è tolto un fastidio. Niente di personale con lui, anche se in questi mesi non ha mai provato a convincermi, preferendo imporre le sue decisioni. Vado via senza con rancore, con l’orgoglio delle mie convinzioni”, conclude Civati.