Praticanti legali: la schiavitù della fedeltà, dopo il giuramento all’Ordine

Categorie: Cronaca, Italia

Una massoneria, o meglio una gilda medievale, controlla i destini di chi vuole diventare avvocato. 400 euro dopo sei mesi di servitù della gleba, “e ti viene anche di ringraziare”.



Interno, sera. Quartiere san Lorenzo, Roma. Appoggiati al muro di un caffè-pasticceria, alcuni manifesti politici, arrotolati, non diremo di quale organizzazione politica, anche se è intuibile, o lo sarà, e in ogni caso non ci interessa. Sono arrivati in ritardo, ma sono arrivati; li stavamo aspettando. Intorno al tavolo ci riscaldiamo con quattro tazze di tè, e ascolto una storia. La loro. Loro sono giovani, entusiasti, e molto bravi. Diremo anche che sono vecchie conoscenze, senza che questo influisca granchè. Per parlare con noi hanno richiesto, e in parte gli è stato offerto, l’anonimato. Perché per raccontare quel che ci interessa sentire può non essere una buona idea parlare a volto scoperto. Sono giuristi, laureati in giurisprudenza; un maschio, e due donne. Sono il Collettivo Giuristi Anonimi, nome che non rintraccerete altrove, perché esiste solamente nello spazio di questo articolo. Sono ragazzi che hanno studiato, hanno combattuto, si sono laureati nella materia che a loro piaceva, e l’hanno scelta come professione. Sono, vogliono fare gli avvocati; per ora, sono praticanti legali, in diversi studi della Capitale, con diverse specializzazioni, chi civile, chi amministrativo e qualcosa di penale. Sono parte di quel vasto limbo che le cronache giornalistiche ci descrivono come l’inferno in terra, il massimo della precarietà. Hanno accettato di raccontarci, senza filtro, con le parolacce se necessario, quella che è la loro vita quotidiana da quando sono usciti dall’università e hanno trovato il loro dominus – che non è un termine giuridico, significa padrone e lo è veramente – l’unica loro speranza per trovare un modo di diventare quel che vogliono essere da grandi, come persone realizzate. Fra orari massacranti, paghe nulle, file in Tribunale, la Giustizia dov’è? Abbandonata nelle aule universitarie, riposta negli sguardi di chi ancora ci crede. Benvenuti nel mondo dei praticanti legali.

Ci siamo appena laureati in Giurisprudenza. Abbiamo fatto la festa. E ora, che succede? Quali sono le sensazioni? Che cosa si prova?



Laurearsi è drammatico, e in definitiva non appagante. I problemi di quando si studiava sono amplificati al mille per mille. Dopo l’università sei lanciato sulla strada, e tutto quello che hai studiato non è in nessun modo collegato al mondo del lavoro. Uno si laurea sognando un mondo di giustizia, esce dall’università ed entra in contatto con la reale macchina della giustizia. Il sistema della giustizia semplicemente non funziona per nessuno degli operatori: giudici, cittadini, cancellieri, avvocati, personale, praticanti. Ti trovi mattinate intere in fila, nulla funziona, non si trova la carta, la cancelleria chiude entro le 11 ( e apre alle 9.00 : 2 ore di lavoro) – il motivo? carenza di personale ( e diciamolo, sono anche gli impiegati che ci marciano ). La domanda è che cosa vuol dire essere dottore in Giurisprudenza? In linea di massima in moltissimi fra i laureati scelgono la via dell’avvocatura, vale un po’ per tutti – sono laureato, che non lo faccio l’esame di stato? Oppure c’è chi segue la carriera accademica, la ricerca, perché no; e poi ci sono le ultracaste come i notai e i magistrati (sì, pur’essa un ultracasta: anche se c’è il concorso è comunque difficilissimo). Una occasione interessante è offerta dalla scuola di specializzazione per professioni legali: c’è un primo anno che è comune a tutti gli indirizzi, mentre il secondo anno è indirizzato per carriera. Ma se decidi di fare la scuola fai meno pratica a studio, e questo è un problema anche a livello economico: nessuno studio ti pagherà un rimborso mentre fai anche la scuola. Lo studio che ti consente di fare pratica e scuola contemporaneamente è un luogo che sostanzialmente ti sfrutta, e finisci per fare due cose male; poi c’è la carriera diplomatica, ma è un delirio, ancora più assurda; e poi c’è il rispettabilissimo pubblico impiego che, dopo settimane di pratica, diventa quasi un sogno: mettere i timbri dalle 9 alle 11, perché no?! Tutto sommato Giurisprudenza in effetti ti offre molte strade: ci sono poi le aziende private. Ma è un po’ diverso, il discorso per questo caso. I privati possono anche assumere, ma più o meno sei uno smistacarte negli uffici legali delle aziende, arriva il reclamo e tu lo indirizzi all’ufficio di competenza, penale, amministrativo, etc.

Benissimo, siamo laureati e vogliamo fare gli avvocati. Che facciamo? Come ci muoviamo?



Laurearsi diventa anche una fretta: per fare l’esame di stato come avvocato due anni dopo ti devi iscrivere entro il 10 novembre al registro praticanti. Quindi bisogna laurearsi in tempo utile per quel termine. Ma non solo: per iscriversi al registro praticanti bisogna trovarsi un dominus: e perché mai l’ordinamento vuole questo? Per questioni amministrative? Per incentivare l’omossessualità? No, è una questione di vassallaggio mascherato, da botteghe del 1500: tu stai a bottega da un tale che si presume essere bravo. Lui si chiama veramente dominus eh, c’è sui moduli, non è un termine da giuristi che se la tirano, è il nome ufficiale: dominus. La sua funzione sarebbe quella di traghettarti in questi due anni trasmettendo tuta la sua conoscenza sia in termini pratici – vita quotidiana, appuntamenti, tempi, luoghi, termini – e anche a livello teorico, così scrivere pareri, atti, memorie, documentarti, approfondire e così via. Essendo la pratica funzionale all’esame di stato, dovrebbe prepararti ad un approdo del genere. Servono 2 anni di pratica per fare l’esame, divisi in 4 semestri. Per aver adempiuto al semestre bisogna dimostrare di avere all’attivo: 20 udienze, 6 atti, aver redatto 4 relazioni su questioni giuridiche di particolare interesse, tutto allegato nell’apposito libretto che ti consegna l’ordine. Il fatto che molti vadano a fare la scuola delle professioni legali è sintomo già di una disfunzione in questo senso, dovrebbe bastare la pratica. In ogni caso, come troviamo un dominus? Bisogna essere chiari: solo tramite raccomandazioni e contatti informali. Conosco uno, oppure: zia, ti ricordi di quel tizio, lo chiami per favore, eccetera. Non è una cosa generalizzabile, comunque, ci sono anche quelli che fanno anche colloqui, qualcuno risponde ad annunci letti in giro. Cioè il fatto della raccomandazione va contestualizzato. Il punto è che un dominus non ti prende se non ha informazioni su di te. E ovviamente la conoscenza ti fa solo ottenere un colloquio: solo se sei il figlio del cliente più danaroso, è possibile che ti prenda a scatola chiusa. E non bisogna pensare che poi tutti quelli che fanno il colloquio, anche se scarsi ma ben raccomandati, hanno il posto assicurato: in ogni caso il praticante viene preso se è più o meno capace, se fa una buona impressione, anche perché le responsabilità del praticante sono tante e non è mica uno scherzo: si tratta di stare nei termini processuali, hai la responsabilità di notificare atti entro il tempo, cose delicate insomma. E la conclusione è che alla fine quasi nessuno non trova uno studio, perché tanto il praticante lavora gratis, tu stai offrendo lavoro gratuito: chi direbbe di no? Il punto non è lavorare presso uno studio, il punto è trovare uno studio di qualità in cui fare la pratica. Bisogna imbroccare bene, anche perché gli avvocati soprattutto a Roma sono iper-specializzati. Il che comporta che tu ti debba trovare uno studio che ti possa stimolare, ti deve piacere quello che fai perché sennò impazzisci, lasci perdere e fai altro. Anche perché per loro è sfruttamento, che gliene importa della tua ipotetica passione, non è che stanno lì a stimolarti.

Va bene, abbiamo trovato questo strano dominus. Ora che facciamo?

Con il dominus possiamo avere il nostro bravo tesserino dell’ordine degli avvocati di Roma. Con il nostro tesserino ora abbiamo un sacco di vantaggi: accediamo sostanzialmente alla fotocopiatrice del tribunale, che tanto è senza carta. Oppure possiamo entrare in Cassazione senza prendere il pass, ma tanto in Cassazione si va solo alla posta, peraltro fantasticamente efficiente. Il tesserino è l’iscrizione al sindacato schiavi, niente più niente meno. Ogni 6 mesi il libretto va consegnato all’ufficio dell’ordine con tutti gli adempimenti dimostrabili; trascorso il primo anno di pratica si scrive una relazione e si fa, udite udite, il giuramento di fedeltà all’alta professione e all’alta dignità della vita forense. Giuri, diventi praticante abilitato e paghi 400 euro: e il praticante abilitato può seguire per conto suo cause inferiori per valore ai 25mila euro, il che non è neanche pochissimo. Certo, se si avesse il tempo di lavorare sulle pratiche personali magari guadagnandoci saremmo più contenti. Chi si affida ad un praticante abilitato si affida per questioni minori: impugnazioni di multe, liti stupide, condominio, eccetera. E la cosa migliore è che il tuo dominus è contento se diventi praticante abilitato perché in questo modo si può sostituire il dominus in udienza: l’avvocato sta a dormire e al tribunale ci vai tu. Il che è anche formativo, ma a quel punto bisogna andarci per forza.

Bello, siamo in udienza. Che succede? Quale è il lavoro del praticante? Insomma, voi, che fate?

Le 20 udienze di norma le fai con il tuo dominus: scrivi atti, fai i verbali, tieni la borsa (con gli avvocati donna il bagno è sempre un problema), fai dei giri, consegni carte, il che rimane comunque molto bello nonostante tutto. Poi c’è anche chi fa solo questo, ma la vera pratica è stare a studio e preparare l’udienza, stare sulla vicenda, prendere appunti e poi studiare gli articoli e le norme che escono fuori alle udienze. E’ tutto molto formativo, bisogna starci dentro. Poi in generale si lavora per lo studio: occupandosi una gamma di cose da “molto interessante” a “per niente interessante”. Se serve si diventa praticante-segretario: si risponde al telefono, appuntamenti, segreteria pura, si sta dietro alle notifiche – e comunque occuparsi delle notifiche è un lavoro di responsabilità, se ne manchi una sono cavoli amari. Compiti extra? Spesso e volentieri: andare a prendere da mangiare, ma va bene; oppure se l’avvocato è anche professore, ha lezione o altri impegni, e ‘sta lezione va preparata, in termini di slide, documenti, sentenze, ricerche su questioni di interesse vario; articoli, contributi: tutte cose che in ogni studio fanno i praticanti. Il praticante scrive e l’avvocato firma: almeno potessimo firmarlo ci varrebbe per il curriculum. Poi ci sono le attenzioni per i fascicoli che segui: sentenze, la giurisprudenza, oppure bisogna scrivere materialmente l’atto o il parere, i ricorsi, le memorie, poi dipende dallo studio: in ogni caso questa parte ci piace, è questo il lavoro dell’avvocato. E i pareri, soprattutto se lo studio è prestigioso vengono anche ben pagati, anche perché lo chiedono le imprese che sono pronte a pagare, e sono cose che gli servono pure, cioè loro aspettano che tu gli passi il parere. Diventa divertente pensare che i pischelli dello studio facciano cose che poi il grande avvocato firma; cioè sono i praticanti, gli ultimi arrivati che condizionano la vita delle aziende. Molto spesso è il praticante che risolve il problema all’azienda. Chi va solo alla posta o risponde solo al telefono si perde tantissimo delle possibilità della pratica

Bene, parliamo di soldi. Vi pagano?

Bisogna sottolinearlo innanzitutto: si tratta a tutti gli effetti di un lavoro fulltime dalle 9 del mattino alle 8 di sera, abbiamo le ferie scadenzate, se arriviamo tardi si arrabbiano eccetera. E’ corretto dire che lavoriamo gratis? Non del tutto: diciamo che a un certo punto potrebbe venirgli in mente di pagarti. Infatti, in un modo o nell’altro i dominus investono sui praticanti, ovviamente per i loro scopi, ma è giusto così, ed è formativo per te. E cambiare praticante ogni 6 mesi è una cosa che fa perdere tempo e denaro anche ai dominus soprattutto se alla fine come professionista funzioni, cioè sei bravo, lo sai e lo fai vedere. Diciamo che in linea di massima ti iniziano a pagare ad un certo punto, più o meno quando stai per sbroccare. E’ un lavoro: solo che loro ti prendono come schiavo, poi quando sei al punto di rottura iniziano a darti dei soldi. Dopo 6 mesi di lavoro, i primi 400 euro. Il primo stipendio è la retribuzione per 6 mesi di lavoro gratuito: e si è felici di ricevere questo stipendio, ma è sbagliato essere così felici di 400 euro per 6 mesi di lavoro gratuito. E ovviamente non sono soldi a contratto, è tutto a nero e a titolo di rimborso spese. C’è anche chi prende una busta paga “praticante”, con trattenute Inail e contributi, il che vuol dire che si può anche fare, che potrebbe esistere una forma di contrattualizzazione. Ma non dovrebbe passare il messaggio “ti pago perché sei bravo”: bisognerebbe essere pagati per il proprio lavoro. E la realtà è che i praticanti sono obbligati a lavorare in questo modo, e i dominus lo sanno: la pratica legale è stata inventata dall’ordine forense, scritta in una legge e formalizzata. Ecco la casta cinquecentesca che entra in gioco: “Se vuoi fare l’avvocato devi lavorare gratis tendenzialmente per uno di noi per due anni, e lui ti insegnerà, lui ti firmerà il libretto, poi noi ti esaminiamo e sempre noi decidiamo se puoi fare l’avvocato”. E’ una massoneria. E’ l’ordine che gestisce l’iscrizone agli albi e le sanzioni disciplinari. Tutto questo ra normale nel 1300, è più un retaggio, ci sono strani rituali, questo giuramento, il dominus e il discepolo, e “quando un giorno sarai dominus ringrazierai per aver passato le pene dell’inferno”, e quelli che ti dicono ”Eh anche io ho fatto la pratica, eh ai miei tempi, io dormivo in macchina, eh, io lavoravo fino alle 22.30”. Ci manca poco e arriviamo allo jus primae noctis. E attenzione, la soluzione non è abolire l’ordine professionale: appena usciti dall’università non si sa fare nulla; la pratica legale serve, serve davvero. L’università non deve diventare una scuola professionale, anche se dovrebbe avere un approccio più pratico all’insegnamento. In America la scuola è solo pratica, fanno oratoria forense e roba del genere; l’università italiana mantiene un piano di approfondimento e contenutistico comunque importante. Dall’università pubblica italiana si esce con degli strumenti tali da poter affrontare nella pratica tutto quello che si deve fare. Si hanno gli strumenti generali per arrivare anche dove non si conosce. Il sistema dell’insegnamento universitario italiano funziona, bisogna dirlo, l’università dell’interpretazione e dell’approfondimento funziona ed è utile. Il giurista non è semplicemente un avvocato, è un giurista, a tutto spettro. L’università italiana ti rende duttile e pronto ad affrontare tutte le sfide del tuo miglioramento che ti potrebbero servire durante il lavoro.

Parliamo dei tribunali. Sono davvero dei luoghi di perdizione come vuole il luogo comune?

Dipende dal tribunale. Quello civile è una bagarre. Non è un luogo di giustizia, non c’è nulla di solenne, entri e ti rendi conto che i vari principi in cui peraltro hai sempre creduto sono nulla. Aule minuscole, avvocati ammucchiati – letteralmente, udienze nel completo caos, l’avvocato deve urlare e il giudice non riesce a sentirlo visto il vociare nell’aula, figurarsi i praticanti. Un giudice può trattare anche 100 cause in un giorno: quale potrà mai essere l’attenzione che ci mette? Nessuna, e infatti sono rinvii su rinvii, anche rinvii di un anno: abbiamo visto un rinvio per precisazioni e conclusioni, quindi per un nonnulla, delle bazzecole, rinviato al 2013. Il Tar, la giustizia amministrativa è ancora più accessibile perché le cause sono difficili, il giudice ha sempre un occhio di riguardo verso la pubblica amministrazione, e quindi le persone hanno meno voglia di andare in causa; la condanna alle spese è molto alta, è tutto più piccolo, in generale c’è meno contenzioso – il che è indicativo: bisognerebbe abolire il processo per delle figure di reato inutili, che andrebbero depenalizzate. C’è ancora il reato (con regolari tre gradi di giduzio) per illecito nella cancellazione del biglietto dell’autobus; il reato di clandestinità ha intasato i tribunali, bisognerebbe abolire quello e tanti altri. Anche perché in questo modo si va in giudizio per qualsiasi stronzata: il tribunale è solo una dilazione. Mettiamo che io ti chiedo dei soldi che mi devi, tu fai opposizione su qualsiasi minchiata per provocare un ritardo, tanto sollevata l’opposizione ci possono volere anche anni. Se tutto fosse molto più veloce questo non succederebbe.

Ok, riassumendo dunque, quali sono i problemi del sistema giustizia?

I problemi sono: i fondi, l’ordinamento e l’Italia nel suo complesso, come approccio culturale al problema, nonché i professionisti stessi, anzi essi per primi. Gli avvocati e i magistrati, molti, o alcuni, fate voi, ostacolano la giustizia: questo è vero e va detto. Chi gestisce le leve ha il potere di intasare i tempi; gli avvocati tendono ad attaccarsi ai cavilli per provocare ritardi ed impedire il buon esito della causa: il che è devastante dal punto di vista morale, ma anche contrario al codice deontologico su cui ti fanno giurare. Molto spesso gli avvocati si imbarcano in cause che sanno che perderanno perché così almeno guadagnano qualcosa, ma così intasano il sistema con processi inutili. I magistrati si intasano nella procedura, molto spesso lavorano senza cura e senza cura delle persone che gli sono affidate e di cui dovrebbero avere la massima cura, appunto; per non parlare del rito del lavoro che per sua struttura pone il giudice nella condizione di essere favorevole al lavoratore, e così il giudice per togliersi questa rogna, un po’ per contro-dipendenza diciamo si schiera a presidio delle imprese. Perché difende un tipo di Stato, una certa idea del Paese. E l’Avvocatura dello Stato? Ancora oggi siede accanto al giudice, il che simbolicamente è molto importante perché le parti private, i cittadini, stanno in basso. Nel rito amministrativo il giudice difficilmente si schiererà contro i ministeri o l’amministrazione dello Stato, una sudditanza psicologica che si nota soprattutto nelle cause fra i poveri cristi e i potenti. Il male è che la giustizia riflette la società italiana, bisognerebbe cambiare quella: una cattiva società avrà una cattiva giustizia. E poi ci sono i soldi, che sono drammaticamente pochi e devono comunque essere amministrati meglio: non c’è personale, ma questo sarebbe facile, basterebbe assumere. E finire di informatizzare, a Milano per esempio è tutto ok, notifiche via email e tutto quanto; a Roma va tutto ancora su carta a mano, capito, i verbali si scrivono a mano. E spesso sono gli avvocati stessi che scrivono il verbale d’udienza, non c’è mica il cancelliere. Possiamo entrare nei tribunali e prendere i fascicoli, nessuno li custodisce – e comunque i cancellieri, quei pochi che ci sono, fanno un lavoro di merda, sono pochissimi e gesitscono una bolgia dantesca, gente che urla, non si trova un cazzo: e tutto perché non ci sono i fondi, e quelli che ci sono se ne vanno in cazzate. E poi bisogna modificare l’ordinamento: è necessario depenalizzare moltissimo, come il reato di immigrazione clandestina, che è un reato stupido che ormai affolla i tribunali; ma tante altre cose, come quando si son visti due ragazzi che sono andati in galera per furto di un motorino: mo’, ci dispiace per quello a cui l’hanno rubato, ma non ha senso perdere tempo con galera, mettiamoli agli arresti domiciliari almeno. Cioè, il concetto è: i reati dei poveracci per favore togliamoli dai tribunali; cioè, ‘sticazzi dello scippo al turista. E la tossicodipendenza? Le carceri sono piene di questa gente. E poi serve davvero l’applicazione della responsabilità civile per i magistrati: in linea di massima fanno come gli pare. Il lavoro dei magistrati è particolare, non sono meccanici, è un lavoro complesso che coinvolge tante persone; è inevitabile però che se il processo è più farraginoso, nelle maglie del sistema ci cade il poveraccio; e il giudice subisce questo sistema, ma dovrebbe stare più attento: perché avrà l’ultima parola sulla mia libertà, sulla libertà di tutti. Per cui è vero che il sistema non funziona, ma il giudice non presta abbastanza attenzione. E in ogni caso finché ci sarà questa classe politica non cambierà davvero nulla.

Ecco, appunto: qual è il ruolo della politica in tutto questo?

Sono problemi che hanno radici profonde, non si può riassumere tutto in cinque minuti e tirare in ballo magari Silvio, il che fa sempre piacere. La giustizia è sempre politica. C’è una visione di destra e di sinistra della giustizia, la giustizia non è mai neutra, o almeno c’è un vasto spettro di posizioni politiche nella giustizia. C’è il berlusconismo giudiziario: è noto, funziona che io prima di tutto risolvo i miei problemi. C’è il liberalismo giudiziario che si fonda su due principi: conservazione del sistema e nessun accesso dei problemi sociali al sistema della giustizia, non usiamo la giustizia per migliorare la vita della gente. C’è un approccio democratico, di centrosinistra potremmo dire, che in Italia ha fatto le ultime riforme serie sulla giustizia, passando dal processo inquisitorio a quello accusatorio; in ogni caso è una giustizia speculare a quella liberale, neanche qui c’è una giustizia di sinistra che tuteli non chi ha ragione, o almeno non solo, ma chi merita giustizia, perché il processo quella situazione deve tutelare. La sinistra del processo usa la giustizia per migliorare la società, per risolverne i problemi. E questo cosa c’entra con la nostra situazione di praticanti legali? Moltissimo: in un mercato del lavoro devastato dalla precarietà di destra e di sinistra, anche prima della crisi, i praticanti comunque rimandano di qualche anno il problema della loro destinazione esistenziale, perché tanto hanno un lavoro, che è gratis ma almeno è un lavoro, non stiamo a casa in pigiama, anche se non veniamo pagati. Possiamo prenderlo come un passatempo, per due anni si avrà comunque qualcosa da fare. E come si fa in questa situazione a domandare più diritti? “Già sei in fila per diventare avvocato, che cazzo pretendi?”, ci viene detto. Peraltro c’è da dire che la vita dell’avvocato non è che sia facilissima, si devono pagare da soli la pensione ed è una vita in linea di massima grigia. In questo mondo di precarietà in cui anche i laureati non sanno che cosa fare, il praticante legale almeno ha uno scopo vitale per 2 anni, anche se si tratta di schiavitù: che rivendicazioni può fare rispetto ad uno in pigiama?

Il parlamento discute in questa legislatura la riforma dell’ordinamento forense.

La riforma forense è un ddl in corso di approvazione, è stato approvato dal Senato e arriva alla Camera, in commissione. E, sì, riforma l’ordinamento della professione. Per quanto riguarda i praticanti viene inasprita la situazione: dal secondo anno di pratica in poi il dominus deve fornire una retribuzione “congrua” al praticante – divertente: perché, prima non doveva? – tuttavia ad esempio il praticante abilitato, ne parlavamo prima, non può più andare in udienza; l’esame di stato ad oggi consiste in 3 prove scritte (2 pareri e 1 atto) e una prova orale da 6 materie sostanzialmente a scelta, cioè alla fine tutti portano procedura civile e qualcos’altro, ma non è obbligatorio. La riforma rende obbligatorie le procedure penali e civili, il diritto civile e penale, queste 4 materie e altre 2 a scelta. Il punto è che gli avvocati si sono, testuale, era nella motivazione di accompagno dell’atto, “stufati di correggere pareri sempre uguali”, e quindi blindano l’esame. Inoltre con la riforma non sarà più possibile avvalersi di un codice commentato durante l’esame di stato, si potrà usare solo il codice semplice, il che è proprio una cazzata: ci si chiede come è possibile scrivere un parere senza la giurisprudenza : questa è una cosa che non si farà mai, perché poi gli avvocati, quando lavorano, consultano la giurisprudenza per fare un parere, e peraltro è utile e giusto farlo. Supponendo che venga approvata quest’anno, la riforma sarà applicata per la prima volta fra 5 anni. Ed è una riforma che è stata passata ai tanti avvocati-parlamentari, o parlamentari-avvocati, dall’Ordine. Questa è una riforma che è stata scritta nelle segrete stanze dell’Ordine e che restringe ulteriormente le maglie del sistema a favore del dominus. Tanto noi siamo schiavi, e schiavi restiamo.