Quanta mafia c’è nei piatti d’Italia

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Coldiretti denuncia e lancia un osservatorio a cura del procuratore Caselli. Obiettivi? Proteggere il Made in Italy, l'immagine all'estero e gli italiani stessi: sei su dieci sono disposti a lavorare per Cosa Nostra

Dal caffè Mafiozzo ai sigari “Al Capone”, dalla pasta “Mafia” agli snack “Chilli Mafia”, dall’amaro “Il Padrino” al limoncello “Don Corleone”, all’estero il cibo italiano sembra un gangsta movie che nulla hanno a che vedere col Made in Italy tanto desiderato oltremare. La denuncia parte dalla Coldiretti che per la prima volta ha censito e mostrato gli esempi più scandalosi di prodotti agroalimentari, venduti in Italia, in Europa e nel mondo, con nomi che richiamano gli episodi e personaggi della criminalità organizzata. “La mafia sul piatto” è un evento che punta oggi a lanciare la Fondazione “Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare”, promossa dalla Coldiretti con la Presidenza del Comitato Scientifico del procuratore Giancarlo Caselli. Presidente della Fondazione è lo stesso presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo: «Chiedo – spiega – l’intervento delle Istituzioni nazionali e comunitarie per porre fine ad un oltraggio insopportabile alla vigilia dell’incontro del Santo Padre con le vittime delle mafie il 21 marzo, nella “Giornata della memoria delle vittime innocenti delle mafie” promossa dalla Fondazione “Libera”».



 

Un ristorante a Kiev

CARAMELLE ALLA MAFIA – Che boss vuoi? Si può scegliere dal sugo piccante “Wicked Cosa Nostra” alle spezie “Palermo Mafia shooting”. A Bruxelles invece si possono gustare le patatine “SauceMaffia” e se proprio non ci si può spostare da casa su internet è possibile acquistare il libro di ricette “The mafia cookbook” o comprare caramelle sul portale Candy Mafia. «Siamo di fronte ad uno schiaffo all’immagine dell’Italia sui mercati globali che – sottolinea la Coldiretti – parte dall’antipasto a base di anacardi in vasetto di vetro commercializzati nel Regno Unito». Le noccioline “Chilli Mafia” avvisano, con tanto di etichetta, di usare il prodotto (piccantissimo) con precauzione. Negli scaffali belga ci sono invece le salse che insaporiscono le patate “Sauce Maffia” della Good ‘n Food di Malines: olio di colza, rosso d’uovo, aceto, senape, polvere di cipolla, zucchero e spezie varie e via, l’Italia è servita. «Ma ci sono in vendita anche – continua la Coldiretti – la pasta Mafia a Taiwan, le spezie “Palermo Mafia shooting” in Germania o la salsa piccante “Wicked Cosa Nostra” in California. L’oltraggio all’Italia – afferma la Coldiretti – non si ferma al pasto, con il commercio dalla Psc Start S.A. di Blagoevgrad (Bulgaria) del “Caffè Mafiozzo” confezionato in grani in cui l’unica scritta nella nostra lingua che campeggia sulla busta in plastica è: “Lo stile italiano” che purtroppo fa esplicito riferimento alla criminalità organizzata come si evidenzia nelle immagini. E c’è anche il sigarillo dedicato al sanguinario “Al Capone”, confezionato negli Stati Uniti per il mercato olandese». Ironica l’avvertenza sul pacchetto: “Roken is dodelijk” (il fumo uccide).



guarda i prodotti “Mafia”: 

(Credits: Mafiozzo, Il Padrino, Al Capone, The Mafia Cookbook, CandyMafia)



RISTO MAFIA – «Il marchio “Mafia” viene peraltro usato nella ristorazione internazionale per fare affari come nel caso – riferisce la Coldiretti – della catena di ristoranti “La Mafia” diffusa in Spagna che fa mangiare i clienti sotto i murales dei gangsters più sanguinari (da Vito Cascio Ferro a Lucky Luciano, fino ad Al Capone), mentre praticamente ovunque, dal Messico a Sharm El Sheik, dal Minnesota alla Macedonia si trovano ristoranti e pizzerie “Cosa Nostra” e l’insegna La Camorra Pasta Pizza & Grill si puo’ trovare a La Paz in Perù». La nostra ricerca – precisa Moncalvo – ha consentito di scoprire nel mondo un vero mercato dell’orrore che fa affari su una delle piaghe più dolorose della nostra società. L’obiettivo è quello di fermare comportamenti commerciali inaccettabili che danneggiano l’immagine dell’Italia all’estero, ma soprattutto colpiscono profondamente i tanti italiani che sono stati o sono purtroppo vittima della criminalità organizzata».

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SEI DISOCCUPATI SU DIECI DISPOSTI A LAVORARE PER MAFIA – Sei disoccupati su dieci (60 per cento) sono disposti ad accettare un posto di lavoro in un’attività dove la criminalità organizzata ha investito per riciclare il denaro. Questo è quanto emerge dall’indagine Coldiretti/Ixè presentata in occasione della nascita dell’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare. Camorra, mafia e ‘ndrangheta infatti hanno terreno fertile nel tessuto sociale ed economico indebolito dalla crisi. «Un esercito potenziale di quasi 2 milioni di persone che, spinti nella marginalità economica e sociale, si dicono disponibili a lavorare per loro e tra queste – sottolinea la Coldiretti – ben 230mila persone non avrebbero problemi a commettere consapevolmente azioni illegali pur di avere una occupazione». Il tutto in un Paese in cui la disoccupazione ha raggiunto livelli record del 12,9 per cento ma sale al 42,4 per i giovani.

CIFRE A FAVORA DI COSA NOSTRA – «L’allentamento della tensione morale nei confronti della malavita provocato dalla crisi tocca la vita di tutti i giorni come conferma il fatto che – continua la Coldiretti – quasi un italiano su cinque (18 per cento) non avrebbe problemi a recarsi in un pizzeria, ristorante, bar o supermercato gestito o legato alla criminalità organizzata purché i prezzi siano convenienti (9 per cento), i prodotti siano buoni di ottima qualità (5 per cento) o addirittura se il posto sia comodo e vicino a casa (4 per cento)». Non solo, il 67 degli italiani è d’accordo sul fatto che in certe zone d’Italia, davanti a disoccupazione e povertà, la criminalita’ organizzata ha saputo creare opportunità di lavoro. «E il problema – continua la Coldiretti – non è confinato nel Sud tanto che l’83 per cento degli italiani ritiene ormai che la criminalità organizzata sia diffusa su tutto il territorio, rispetto ad una minoranza del 13 per cento che la localizza nel Mezzogiorno». Il 58 per cento degli italiani non sarebbe disposto a pagare il 20 per cento in più per un prodotto alimentare ottenuto da terre o aziende confiscate alla mafia. La crisi insomma frena la denuncia contro la criminalità organizzata.

Seguire il boss conviene? «Bisogna spezzare il circolo vizioso che lega la criminalità alla crisi, con interventi per favorire, soprattutto tra i più giovani, l’inserimento nel mondo del lavoro, e l’impegno delle istituzioni, della scuola e delle organizzazioni», ha dichiarato il presidente della Coldiretti, Roberto Moncalvo, nel sottolineare che «proprio in tale ottica è stato avviato il portale della Coldiretti “Lavoro in campagna” per favorire l’incontro tra domanda e offerta occupazionale, che ha già ottenuto il via libera del Ministero del Lavoro». Nel progetto verranno acquisite, archiviate e rese disponibili in forma pubblica sia richieste di manodopera delle imprese che i curricula e le disponibilità dei lavoratori. Accessibile presso ogni sede e sportello territoriale della struttura Coldiretti con personale qualificato ci sarà un servizio di accompagnamento ed assistenza a imprese e lavoratori, sia nel compito di caricamento e aggiornamento dei dati, sia soprattutto nella vera e propria fase di incontro tra domanda ed offerta di lavoro.

Guarda gli altri grafici dell’indagine Coldiretti/Ixè:

IL CANE DA GUARDIA CONTRO LA MAFIA – Obiettivo dell’ Osservatorio è quello di diffondere la conoscenza e la consapevolezza del patrimonio agroalimentare italiano, con l’obiettivo di creare un sistema coordinato e capillare di controlli idonei a smascherare i comportamenti in contrasto con la legalità. Giancarlo Caselli guida il Comitato Scientifico della Fondazione, mentre il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo ne è il presidente e al presidente dell’Eurispes Gian Maria Fara è stata affidata la vice presidenza. Presenti oggi all’evento di presentazione anche i Ministri della Giustizia Andrea Orlando e delle Politiche Agricole Maurizio Martina. «Di fronte al luogo comune diffuso all’estero che porta gli stranieri ad assimilare l’Italia alla mafia oltre alla pizza o alla pasta, con la Fondazione ci vogliamo fare carico dell’indignazione del 65 per cento degli italiani che non sopporta che la criminalità organizzata danneggi l’immagine del nostro paese e che si sente offeso perché ritiene che la gran arte dei cittadini non ha niente a che fare con i criminali», ha ribadito il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo. «C’è tuttavia – precisa – una minoranza del 12 per cento che è rassegnata e lo considera normale, visto che l’abbiamo esportata in tutto il mondo, e un 19 per cento che pensa addirittura che faccia parte dell’immaginario collettivo anche grazie film come Il Padrino, La Piovra ed altri».

DOVE SI INFILA COSA NOSTRA – Secondo il recente rapporto Transcrime la criminalità organizzata si è riuscita ad infiltrare in numerosi centri europei. «I settori dell’agricoltura e della pesca sono nel mirino di Cosa Nostra e della Camorra in Spagna dove non manca l’interesse della stessa Camorra e quello della Ndrangheta nel comparto della ristorazione. Tra i centri maggiormente toccati – riferisce la Coldiretti – ci sono la capitale Madrid, Vigo e l’Andalusia. Nel Regno Unito, la Camorra ha puntato sui bar e sui ristoranti e la scozzese Aberdeen è considerata un polo particolarmente sensibile. In Germania la Ndrangheta guarda con crescente interesse alle strutture legate alla gastronomia, con preferenza per le città di Geldern, Oberhausen e Duisburg. La criminalità organizzata, infine, non dimentica l’Est europeo. Anche per la vicinanza geografica, l’Albania rappresenta un buon mercato per la Sacra Corona Unita per quanto riguarda bar e ristoranti, mentre opera con illeciti profitti la Camorra in Romania in attività legate all’agricoltura e alla pesca soprattutto nella zona di Vaslui ai confini con la Moldova e in prossimità del Mar Nero».

SOLUZIONI ANTICRIMINE – Come sconfiggere la Piovra? Con trasparenza, specialmente in un settore che genera il 33 per cento del flusso sulla produzione agroalimentare venduta in Italia ed esportata con il marchio Made in Italy. «In un momento difficile per l’economia dobbiamo portare sul mercato – continua il presidente della Coldiretti – il valore aggiunto della trasparenza e dare completa attuazione alle leggi nazionale e comunitaria che prevedono l’obbligo di indicare in etichetta l’origine degli alimenti. Ma è necessario che sia anche resa trasparente l’indicazione dei flussi commerciali con l’indicazione delle aziende che importano materie prime dall’estero e venga bloccato ogni finanziamento pubblico alle aziende che non valorizzano il vero Made in Italy dal campo alla tavola». La Fondazione promuove, inoltre, le azioni legali collettive di tutela dei consumatori, con particolare riguardo alle responsabilità in materia ambientale e alimentare e per la condanna al risarcimento dei danni.