Quanto costa l’acqua?

Categorie: Italia

La tariffa idrica in Italia dipende da così tanti fattori che risulta impossibile definire un costo unitario. Tutta colpa dello stato della rete, degli investimenti effettuati e delle decisioni regionali. E come se non bastasse lo stato dei depuratori potrebbe costare al Paese una multa da 9,9 miliardi di euro inflitta dall'Europa

Quanto costa l’acqua che beviamo, quella che usiamo per fare la doccia, quella che serve per irrigare i campi? Probabilmente nessuno lo sa con certezza, anche perché il valore dipende da regione a regione. Una cosa però appare certa. Negli ultimi anni il suo prezzo sta aumentando, anche se qualcuno lo nega, e non sempre si possono definirne le cause.



L’ANALISI DI FEDERCONSUMATORI – L’Italia, per quanto riguarda il valore dell’oro blu, è un Paese, com’è stato ribattezzato dal Sole 24 Ore, a geografia variabile. Significa cioè che le differenze di prezzo possono andare da città a città. Secondo un’indagine condotta lo scorso maggio da Federconsumatori-Creef relativa ai prezzi idrici praticati nel 2012, si scopre che per 100 metri cubi a Terni si pagano 332 euro mentre a Milano per lo stesso quantitativo si spendono 58 euro. Ancora meno ad Isernia con 46. 200 metri cubi invece a Firenze, Pistoia e Prato costano 541 euro mentre i milanesi ne pagano 93. I valori si compensano tanto che la media del 2012, sempre per 200 metri cubi d’acqua, si attesta 305 euro, con un aumento del 7,8 per cento rispetto ai 283 euro del 2011.



TOSCANA AL TOP – L’aumento invece si limita se vengono presi in considerazione 100 metri cubi, con una crescita del sei per cento, da 138 a 147 euro. Parlando di prezzi, la bolletta più elevata nei consumi da 200 metri cubi la si ha nel centro Italia, dove l’acqua costa 2,12 euro al metro cubo per un totale di 424,44 euro l’anno. A seguire tocca al nord-est con 1,69 euro, al sud con 1,59 euro ed infine al nord ovest con 1,28 euro. A livello regionale la bolletta più alta è quella toscana con 505,96 euro ed un costo al metro cubo di 2,53 euro. Al secondo posto ci sono le Marche con 443,39 euro e l’Emilia – Romagna con 417,95 euro, con il prezzo definito dalla quota fissa, pari mediamente al 7 per cento, dal servizio acquedotto, pari al 53 per cento, dal servizio fognatura al 13 per cento, dal servizio depurazione al 27 per cento. Il resto? Iva.



COME SI DEFINISCE IL PREZZO? – Si tratta di tariffe che non possono essere definite in maniera univoca perché il valore dell’acqua dipende da numerosi fattori. Le autorità di ambito, le Ato, devono inserire nel calcolo della tariffa reale media i costi che devono essere ricoperti dai ricavi. Quindi il prezzo è dato dai costi operativi, dagli ammortamenti e dalla remunerazione del capitale investito. Poi c’è il canone che differisce di anno in anno in base all’inflazione. Infine c’è un valore definito “K” che rappresenta il limite di prezzo che consente alle tariffe di scendere o salire. Sarà quindi l’Ato a decidere i costi operativi in base alla qualità del servizio. Il 28 dicembre 2011 l’Aeeg, l’Autorità per l’energia elettrica ed il gas, come spiega Eco della città, ha approvato un metodo tariffario transitorio per il servizio idrico integrato con l’obiettivo di rendere la definizione dei prezzi più chiara proteggendo gli interessi degli utenti e favorendo gli investimenti nel settore.

LE DECISIONI DELL’AEEG – La nuova norma non determina le tariffa ma definisce i criteri per la loro quantificazione. Viene poi soppressa la “remunerazione del capitale”, sostituendola con il “costo della risorsa finanziaria”. Solo che il referendum del 2011 aveva abolito la soglia del 7 per cento sulla remunerazione del capitale. Ora questo dato è stato introdotto nuovamente con una percentuale del 6,4 per cento del capitale. L’Aeeg ha poi stabilito che le tariffe sono vincolate al mercato dei buoni del tesoro decennali, mentre il costo degli investimenti verrà riconosciuto ad opere concluse, realizzate ed in funzione, anche se è prevista la possibilità di riconoscere in tariffa uno specifico importo per alimentare un fondo per il finanziamento di nuovi investimenti. Per fare ciò è necessario ricordare che i costi operativi non possono superare i costi operativi di riferimento maggiorati del 30 per cento.

IL RADDOPPIO DI VITERBO – Insomma, un gran mal di testa. I dati non sono poi univoci, come dimostra l’analisi dei prezzi proposta da Hera e realizzata da Utilitatis che stabilisce come in Italia il prezzo dell’acqua sia il minore in Europa. Nel nostro Paese l’acqua costava mediamente nel 2011 1,55 euro a metro cubo con un consumo di 180 metri cubi per famiglia. Dati che verrebbero smentiti da Cittadinanza Attiva che parla di un aumento medio delle tariffe del 33 per cento, dal 2007 al 2013, mentre in 40 città sono stati registrati aumenti superiori al 40 per cento. In qualche città si è addirittura arrivati al raddoppio come nel caso di Viterbo (+92,7%), Carrara (+93,4%), Benevento (+100%).

L’ALLARME DI CITTADINANZATTIVA – Le tariffe sono più che raddoppiate a Lecco (+126%) e Reggio Calabria (+164,5%). In generale, le bollette sono più alte al centro con un +47,1% rispetto al 2007, +9% rispetto al 2011. Seguono le regioni del Nord (+32,1% rispetto al 2007, +5,2% rispetto al 2011) e del Sud (+23,8% rispetto al 2007, +8,5% rispetto al 2011), con prezzi comprensivi di Iva al 10 per cento, con un consumo annuo di 192 metri cubi d’acqua. Tina Napoli, responsabile delle politiche dei consumatori di Cittadinanzattiva, ha sottolineato l’urgenza di omogeneizzare le tariffe sul territorio nazionale prendendo in considerazione le specificità territoriali. Questo però impone la realizzazione di fasce di consumo e costi in bolletta per superare quelle che vengono definite le «le immotivate differenziazioni di costo che anche quest’anno restano così evidenti per le tasche dei cittadini».

LA RISPOSTA DEL GOVERNO – Secondo Cittadinanzattiva una famiglia sostiene una spesa di 310 euro per il servizio idrico integrato con la Toscana che paga 470 €. Al secondo posto le Marche con 403 euro ed a seguire Umbria (392), Emilia Romagna (388) e Puglia (366). Erasmo De Angelis, sottosegretario alle Infrastrutture, respinge però questi dati spiegando che secondo lui il prezzo dell’acqua non è cresciuta e che questo risulta essere ancora il più basso d’Europa. «L’indagine sulle tariffe idriche è solo un gioco estivo virtuale e l’ennesima dimostrazione dell’urgenza di portare chiarezza e verità in un settore che sconta molti equivoci e almeno 20 anni di ritardo negli investimenti rispetto a quasi tutti i Paesi europei. Purtroppo, si persevera nell’errore clamoroso di presentare graduatorie dei consumi idrici e delle tariffe puramente teoriche, sparando cifre totalmente fuori dal mondo e utilizzando parametri arbitrari che raddoppiano costi e consumi».

«IL QUALUNQUISMO DELLE PERCENTUALI» – De Angelis respinge anche l’idea secondo cui una famiglia italiana possa sfruttare 200 metri cubi l’anno d’acqua visto che secondo lui il consumo medio varia intorno ai 110-120 metri cubi. Anche Federutility si è unita alla versione dell’esponente dell’esecutivo, con Adolfo Spaziani che ha messo in guardia da quello che ha definito il “qualunquismo delle percentuali”: «Le percentuali non dicono che in Italia investiamo 26 euro all’anno per abitante, mentre in Ue se ne investono 80. Abbiamo le tariffe più basse del mondo e pagheremo 700 milioni al giorno di per ritardi nella depurazione. Speriamo che con il controllo affidato dell’Autorità dell’energia ci sia un’unica fonte di dati. Le associazioni dei consumatori, le associazioni degli imprenditori, le fondazioni e i numerosi centri di ricerca, fanno un lavoro pregevole e importante. Tuttavia, bisogna considerare che i dati sull’acqua sono pochi e dispersi. Mancano alla fonte. Esistono metodi tariffari differenti, che rendono imparagonabili le situazioni, con il paradosso che i più virtuosi, che hanno tariffe più alte perché hanno investito per raggiungere gli standard di servizio e applicano regole aggiornate, vengono confrontati con coloro che non fanno nulla da anni».

I NOVE MILIARDI DI EURO DI MULTA – Ed a proposito di costi di depurazione. Il 30 per cento del Paese è privo di sistemi di depurazione adeguati. E come spiega Libero, sono 117 i comuni condannati dall’Unione Europea per “maladepurazione”. Parliamo di cifre pesanti. Le sanzioni prevedono un minimo di 11.904 euro ed un massimo di 714.240 euro per ogni giorno di ritardi nell’adeguamento, a partire dal giorno della sentenza, pronunciata a luglio 2012, oppure una tantum basata sul Pil che per l’Italia ammonterebbe a 9 miliardi e 902 milioni di euro, con una possibile sospensione dei finanziamenti europei, sospensione che salterebbe all’attenuazione della sentenza. Secondo il vicepresidente di Federutility Mauro D’Ascenzi gli investimenti programmati nel settore idrico ammontano a 65 miliardi ma solo il 10 per cento è coperto da finanziamenti pubblici.

IL PROBLEMA DEPURATORI – Il resto viene dal finanziamento figlio delle tariffe. Ma visto il prezzo tanto basso, secondo D’Ascenzi bisogna limitare gli sprechi evitando d’inquinare, con il risultato che non solo non si hanno soldi per innovare ma poi bisogna anche pagare multe salate a Bruxelles. Nanni magazine aggiunge che la sentenza definitiva sulla questione depuratori sarà efficace a partire dal primo gennaio 2016. Il lavoro da fare è quindi tanto, se si considera che al 2011 erano 134 i comuni italiani, di cui 90 solo in Sicilia, privi di un depuratore. Altri 34 invece sono dotati di un impianto non conforme. Le città coinvolte sono Padova, Rovigo, Vicenza, Gorizia, Pordenone, Udine, Firenze, Brescia, Aosta, Forlì, Milano, Pesaro, Urbino, Perugia e Frosinone mentre secondo i dati Anea e Utilitatis, nel 2009 nove milioni d’italiani non erano serviti dalla rete fognaria.

I PROBLEMI DELLA RETE – E come se non bastasse, l’ultimo Rapporto Generale sulle Acque di Federutility, ripreso dal Sole 24 Ore, ci spiega che in Italia si hanno a disposizione 50 miliardi di metri cubi d’acqua dolce utilizzabile e rinnovabile a fronte di 300 miliardi di metri cubi l’anno di precipitazioni. La metà di quest’acqua serve ad irrigare i campi, il 30 per cento viene usata nell’industria e solo il 20 per cento è sfruttata per usi civili. La media nazionale è di due metri cubi al giorno per abitante, una cifra doppia rispetto alle medie europee, così come avviene per le perdite nella rete. Insomma, l’Italia è piena d’acqua ma a causa di un deficit infrastrutturale soffre come non dovrebbe. Su 337mila chilometri di rete, 170mila sono da rottamare o da riparare mentre ne servirebbero altri 50 mila per rendere il servizio capillare ed efficace in tutto il Paese.

UN PROBLEMA IN PIÙ – Ed è consolante sapere che l’Italia ha a disposizione tanta di quell’acqua da permettersi di perderla e che quest’incuria potrebbe costare 10 miliardi di euro. Sopratutto è interessante sapere che al momento è impossibile, o quasi, definire un prezzo nazionale. E sarà opportuno che anche questo problema prima o poi venga affrontato anche in termini di chiarezza nei confronti sia del cliente sia dell’investitore, che sia questo lo Stato o un privato. In un periodo di crisi come questo l’acqua dovrebbe rappresentare una risorsa e non un problema, ma evidentemente il lassismo degli ultimi anni è riuscito a gravare l’Italia di quest’altro grosso problema.