Quanto vale il riciclo della plastica?

Categorie: Economia

In Italia il riciclo vale 2,7 miliardi di euro e le prospettive sono in crescita. Tuttavia sono ancora lontani i margini previsti dall'Europa che minaccia il nostro Paese di tagliare gli incentivi per la produzione. L'industria della plastica mondiale, intanto, nonostante la crisi produce ogni anno 288 milioni di tonnellate

Quanto vale il riciclo della plastica? Cosa si nasconde dietro l’industria che si pone l’obiettivo di recuperare bottiglie, imballaggi e confezioni da poter poi riutilizzare riducendo l’inquinamento attraverso uno sfruttamento intelligente delle risorse? 2,7 miliardi di euro, di cui 1,2 riguardano esclusivamente lo sfruttamento delle bottiglie di plastica Pet.



LA POLITICA DI RICICLO – Come ricorda Greenews, una ricerca del 2011 condotta dal Gruppo Sanpellegrino in collaborazione con l’istituto Althesys, ha stabilito che il valore di 2,7 miliardi di euro rappresenta i benefici complessivi in termini economici, sociali ed ambientali avuti dall’italia in 10 anni di politiche di riciclo, dal 2000 al 2010. Nello specifico, in questo lasso di tempo la raccolta ed il riciclo d’imballaggi in plastica ha comportato un costo di 1,9 miliardi di euro contro un beneficio di 4,6 miliardi. Quindi la raccolta differenziata ha avuto un costo anche importante ma di contro il minor ricorso a materie prime, la riduzione della produzione e lo smaltimento dei rifiuti, ha portato un beneficio economico notevole.



EVITATE 117 DISCARICHE – Anche perché nel corso degli anni è stato possibile evitare d’istituire 117 discariche, evitando che si formassero 8,2 milioni di tonnellate di emissioni di CO2 con un risparmio nello smaltimento rifiuti di 418,5 milioni di euro ed un recupero di materiali pari a 493,7 milioni.  8,2 milioni di tonnellate di emissioni di CO2, si sono risparmiati 418,5 milioni di euro di costi di smaltimento rifiuti e si sono recuperati materiali per un valore di circa 493,7 milioni di euro. La prevenzione, intesa come riduzione all’origine degli imballaggi con minore volume dei rifiuti e mancati costi di raccolta, selezione e smaltimento, fino ad una minore emissione di CO2, ha portato ad un risparmio di altri 23 milioni di euro.



GLI OCCUPATI DEL SETTORE – Ovviamente tutto questo ha significato qualcosa anche a livello lavorativo, data la nascita di un indotto caratterizzato da nuove attività economiche ed occupazionali pari a 152,8 milioni di euro. Su questo tema Nonsprecare.it aggiunge, riportando i dati pubblicati sul libro bianco «Il Riciclo della Plastica», che al 2010 il numero degli occupati nel settore della gestione dei rifiuti era di 135 mila persone. Il comparto del recupero e della preparazione per il riciclaggio vedeva la presenza di 23 mila persone. Il rapporto tra aziende dei rifiuti ed imprese che forniscono materie prime ha fatto così che per ogni posto di lavoro creato in ambito diretto nella gestione dei rifiuti porta alla nascita di 1,74 posti di lavoro in maniera indiretta.

UN RISPARMIO DI 539 MILIONI DI EURO – Relativamente alla plastica, nel 2010 i posti di lavoro erano 5.160. Sommando l’indotto, pari a 1.45 occupati per ogni occupato, si arriva ad un totale di 7.900 persone impegnate nel riciclo della plastica. Negli ultimi tre anni questi valori sono notevolmente migliorati. Repubblica ha riportato le parole di Walter Facciotto, direttore generale di Conai secondo cui il peso delle confezioni di plastica e dei contenitori in acciaio per alimenti si è ridotto di un terzo, mentre il cartone da imballaggio è riciclato ormai al 90 per cento. Grazie alla prevenzione, poi, è stato possibile risparmiare 539 milioni di euro che avrebbero rappresentato il valore dei costi ambientali causati dallo smaltimento degli imballaggi e delle materie plastiche.

IL VALORE DEL RICICLO ILLEGALE – Dalla nascita del consorzio Conai nel 1997 a oggi, sono state evitate 82 milioni di tonnellate di emissioni di CO2 e la costruzione di 500 discariche, mentre è stato creato un business che ha generato un indotto pari a 6,3 miliardi di euro. Di questi 2,9 sono dovuti all’attività di raccolta differenziata e avvio al riciclo, 1,8 alla logistica, 1,5 alla selezione e al riciclo degli imballaggi, per la nascita di 16 mila occupati diretti. Numeri che dimostrano la forza e l’importanza di questo business. E come facilmente intuibile, la malavita ci ha messo lo zampino creando un mercato parallelo forse ancora più forte di quello ufficiale. Come spiega l’Ansa, nel nostro Paese il riciclo illegale vale 7 miliardi di euro.

LO STUDIO PLASTICS THE FACTS – E come se non bastasse la malavita così facendo brucia qualcosa come 110.000 posti di lavoro. Questi dati, diffusi da Eurispes in collaborazione con Polieco, analizzano le spedizioni di rifiuti inviati dall’Unione ai paesi in via di sviluppo in Africa ed Asia. Il 25 per cento di questi avviene in violazione delle normative internazionali. Sette miliardi di euro. Un valore che scorporato e preso singolarmente può anche impressionare ma che se inserito nell’insieme del mercato della plastica assume tutto un altro senso. Si, perché l’industria della plastica vale ben più di 7 miliardi di euro. Polimerica ci propone i contenuti del compendio statistico dell’industria europea delle materie plastiche «Plastics the facts», contenente i dati 2012 relativi a produzione, consumo e riciclo.

LA PRODUZIONE IN EUROPA – Nel mondo, la produzione di materie plastiche nell’ultimo anno è crescita del 2,8 per cento passando da 280 a 288 milioni di tonnellate. Un incremento significativo ma inferiore a quello riscontrato nel 2011, quando fu del 3,7 per cento. In Europa il mercato è andato però scemando a causa della crisi, con una diminuzione della produzione del tre per cento, seguita da una contrazione della domanda del 2,5 per cento. Ciò significa che solo nel Vecchio Continente sono stati prodotti 57 milioni di tonnellate di materie plastiche, un milione in meno rispetto al 2011, pari al 20,4 per cento del totale mondiale che vale il secondo posto nella classifica produttori, guidata dalla Cina con il 23,95 per cento.

LE MAGNIFICHE SETTE – La domanda europea invece si è fermata a 45,9 milioni di tonnellate. Di questi il 39,4 per cento proviene dal settore packaging e il 20,3 per cento da edilizia e costruzioni. La domanda è però aumentata nell’Europa Orientale con la Polonia che ha fatto registrare il maggiore incremento nel consumo di plastiche, mentre la palma europea va alla Germania che da sola assorbe il 20 per cento dei consumi europei, seguita da Italia, Francia, Spagna e Benelux. Messi insieme, i sette Paesi citati assorbono i 3/4 della domanda di plastica europea. Il settore delle materie plastiche ha generato nel 2012 un giro d’affari di 87 miliardi di euro per la sola produzione di materie prime, a cui si aggiungono i 202 miliardi relativi alla trasformazione delle resine in semilavorati e prodotti finiti.

9,6 MILIONI DI TONNELLATE – Di questi soldi, 26,6 miliardi di euro sono entrati nelle casse degli Stati tra tasse e contributi sociali. Inoltre nel complesso lavorano 1,4 milioni d’addetti, con un contributo complessivo nei confronti del Pil europeo del 2,6 per cento. Per quanto riguarda il fine vita delle materie plastiche, solo la metà delle 57 milioni di tonnellate prodotte nel 2012, quindi 25,2 milioni di tonnellate, si sono trasformate in rifiuti. 15,6 milioni sono stati recuperati o per via meccanica o mediante recupero energetico. Infine sono finiti in discarica 9,6 milioni di tonnellate. E dire che secondo qualcuno si può fare ancora di più. Parliamo dell’Unione Europea che lamenta come i singoli Paesi non prendano in considerazione le direttive studiate a Bruxelles bloccando quindi ogni possibilità di crescita, per quanto riguarda il riciclo.

IL RECUPERO AUMENTA – Come riporta Affaritaliani, il riciclo della plastica, se fatto a regola d’arte, in Europa varrebbe 72 miliardi di euro e darebbe lavoro a 400.000 persone. E l’Italia, dall’analisi della Banca Mondiale e dalle stime della Commissione Europea, non ne esce benissimo. Nei prossimi 15 anni la produzione dei rifiuti è destinata a raddoppiare ma nonostante questo il Paese non riesce a sviluppare un meccanismo virtuoso di recupero. Il risultato è che l’Italia è al 20esimo posto su 27 nazioni totali, con il rischio che si perdano gli incentivi per il periodo 2014-2020. Qualcosa però sembra che qualcosa nel nostro Paese si muova. Corepla ha comunicato che nel periodo gennaio-settembre 2013, in Italia sono state recuperate 577.661 tonnellate di plastica, per un valore di 13,3 chilogrammi pro-capite, maggiore della media del 2012 in cui vennero recuperate 693.300 tonnellate di plastica per un totale di 11,6 chilogrammi pro-capite.

IL CONFRONTO CON GLI ALTRI PAESI – Le cose sembrano però difficili dal punto di vista europeo. Ecoseven ci parla dell’attività definita di lobbying nei confronti dell’Unione Europea da parte delle industrie produttrici europee di materie plastiche che spingono per l’introduzione di vincoli più severi per lo smaltimento della plastica in discarica. In sostanza si spera che entro il 2020 venga vietato lo smaltimento in discarica delle bottiglie e degli imballaggi in plastica. Anche perché al momento il tasso di riciclo nei vari Paesi non supera il 30 per cento, con casi limite che arrivano al 15 per cento, come nel caso di Bulgaria, Cipro, Finlandia, Francia, Grecia e Malta, mentre Repubblica Ceca, Estonia, Germania, Irlanda, Paesi Bassi e Svezia riciclano tra il 30 ed il 40 per cento.

L’IMPORTANZA DEGLI ATTEGGIAMENTI VIRTUOSI – Questo cosa significa? Mal comune mezzo gaudio? Forse, ma non basta. La plastica in Italia dà lavoro e che le prospettive sono in crescita, nonostante la crisi. Ad oggi è possibile anche costruire tessuti da fibre plastiche (come nel caso dei Pet) che poi possono trasformarsi in capi d’abbigliamento, come avviene ad esempio con le divise di gioco della Juventus. La plastica ha un valore non solo industriale ma anche sociale perché dà lavoro ed incide in maniera concreta sulle casse dello Stato e dell’Europa. Bisogna però sforzarsi ad assumere atteggiamenti virtuosi che valorizzino l’importanza del recupero e del riciclo. Oltre a salvare l’ambiente si creerebbero posti di lavoro e nascerebbe un indotto che favorirebbe la nascita di una realtà economica solida.