Quel che resta di Fukushima

Categorie: Economia

Dopo la tragedia il Giappone si è scoperto diverso, ma anche che si può vivere senza l'energia atomica

Dopo 4 anni il disastro di Fukushima continua a impegnare severamente il Giappone e lo farà ancora per qualche decennio.



 



 

La scossa di terremoto che scosse il Giappone l’11 marzo del 2011 fu di magnitudo 8.9 della scala Richter, la quinta più violenta al mondo da più di un secolo (Epa), ma ci volle anche il successivo tsunami per mandare in crisi i sistemi di sicurezza della centrale nucleare della Tokyo Electric Power Company (Tepco) di Fukushima.



Fu lo tsunami a provocare il maggior numero di vittime in un paese invece preparatissimo a confrontarsi con i terremoti e fu lo tsunami a invadere con le sue acque gli impianti della centrale e a mandare in tilt i sistemi di raffreddamento dei reattori, anche quelli d’emergenza. L’onda di tsunami che ha colpito l’impianto misurava almeno 14 metri di altezza, mentre l’impianto era stato progettato per far fronte al massimo ad onde di 6,5 metri di altezza. Dopo il blocco dei sistemi di raffreddamento i reattori cominciarono a saltare come popcorn, dal 12 al 15 marzo ne esploderanno 4 sui 6 presenti nella centrale, esplosioni chimiche che hanno contribuito a liberare nell’ambiente grandi quantità di radioattività, anche se non nella stessa quantità di quello che resta il peggiore incidente a una centrale atomica, quello di Chernobyl.

 

Durante l’incidente venne comunque rilasciata una tale radioattività da essere classificato di livello 7, il massimo di gravità per gli incidenti nucleari, raggiunto appunto solo da Chernobyl. Fu contaminato il suolo in un’area di 600 chilometri attorno alla centrale e il mare risultò radioattivo fino a cinquanta volte i limiti di sicurezza nelle settimane successive all’incidente.

L’incidente ha avuto severe conseguenze per gli abitanti delle zone limitrofe, più di 180.000 persone sono state evacuate e 120.000 attendono ancora di essere ricollocate, visto che nella maggior parte dei centri evacuati nessuno potrà tornare a vivere prima di diverse decine d’anni. All’inquinamento terrestre si è aggiunto quello marino e quello delle falde freatiche (le falde acquifere sotterranee), perché il sistema adottato per raffreddare quel che resta dei reattori e del combustibile nucleare stoccato accanto non è a circuito chiuso e perde acqua verso il basso, finendo per inquinare il suolo e le acque del pacifico. Nonostante alcuni studi appaiano rassicuranti, nella prefettura di Fukushima si è già assistito a nascite di animali deformi, mentre verdure, frutta e pesci sono risultati ampiamente oltre i limiti di sicurezza per quello che riguarda la radioattività.

L’incidente ha profondamente scosso il Giappone, che da allora ha fermato le sue centrali e che solo ora, forse, riproverà a riaccenderne alcune, quelle meno pericolose. Ma l’incidente ha avuto conseguenze anche oltre i confini giapponesi, spingendo molti paesi a un controllo delle loro centrali e convincendo Germania e Svizzera a decidere definitivamente per l’abbandono al nucleare. In Italia invece, avendo al governo un centodestra nuclearista, si cercò di fare di tutto e di più per minimizzare l’incidente, anche se non mancò chi sui media rincorse il sensazionalismo a discapito della realtà.

La situazione in Giappone è tale che solo 21 reattori su 48 sono considerati abili alla riaccensione senza pericoli e, qualora riaccesi, arriverebbero a generare non più del 14 per cento dell’energia necessaria al paese, meno della metà rispetto al 2011. I giapponesi sono corsi al riparo per colmare il gap e c’è da dire che hanno ottenuto risultati eccezionali con gli  interventi per migliorare l’efficienza energetica e a un’espansione significativa delle rinnovabili: dopo la Cina, il Giappone è stato il secondo paese al mondo per installazione di pannelli fotovoltaici nel 2013 e l’efficienza energetica ha consentito una riduzione dei consumi energetici pari a quella prodotta da tredici reattori atomici. Il tutto senza blackout o altri inconvenienti, un risultato clamoroso che dice molto su quanto si possa fare senza ricorrere all’energia atomica.

 

 

Il problema per il Giappone resta ora quello della dismissione della centrale, che prenderà un lasso di tempo tra i 20 e i 30 anni, un periodo durante il quale i tecnici dovranno trovare soluzioni alternative a quelle adottate finora. Oggi infatti occorrono 300 tonnellate d’acqua al giorno per raffreddare il nocciolo e il combustibile fuso in tre reattori, che si aggiungono all’acqua da decontaminare. A questa quantità se ne aggiungono altre 3/400 di acque sotterranee che passano quotidianamente dal sito e si contaminano a loro volta prima di finire in mare. Il Pacifico è grande e si ritiene che possa diluire fino a renderle innocue le radiazioni, ma particelle radioattive provenienti da Fukushima sono state ritrovate su tutte le coste del Pacifico fin negli Stati Uniti e che siano innocue è tutto da dimostrare, visto che non esistono studi sulle conseguenze dell’esposizione a bassi valori di radioattività.

Di sicuro la tragedia in Giappone ha provocato importanti effetti sulla salute che riguardano il benessere mentale e sociale, come le forme depressive e sindromi post-traumatiche da stress. Il terremoto, lo tsunami, l’incidente nucleare e la paura delle radiazioni hanno colpito duro, ma ancora di più ha potuto la sfiducia cresciuta nei giapponesi nei confronti del governo e della TEPCO, accusati di aver minimizzato dolosamente le conseguenze dell’incidente a discapito della salute dei cittadini.