Comunali 2016, la tentazione di Renzi: spostare il voto a metà giugno
21/10/2015 di Redazione
Le fibrillazioni interne si moltiplicano, sui territori i candidati latitano, De Luca rischia dopo la sentenza della Consulta sulla legge Severino. E a Roma Marino prepara la vendetta dopo essere stato scaricato da Renzi e dal Pd. Così la tentazione del premier, come riporta La Stampa è quella di spostare più avanti possibile nel calendario le prossime amministrative. Serve tempo al Nazareno per riassorbire i traumi e le grane sparse per tutta la penisola.
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RENZI E LA TENTAZIONE DI SPOSTARE A META GIUGNO LE AMMINISTRATIVE –
L’idea? Spostare le Comunali alla soglia dell’estate, a metà giugno:
«Nella seconda domenica di giugno: il 12. Quel giorno si voterebbe per le cinque città politicamente più significative del Paese: Roma, Milano, Torino, Napoli e Bologna, che – a prescindere dal Pil e dal numero di abitanti – nell’immaginario collettivo resta la «capitale» della sinistra tradizionale. E il ballottaggio sarebbe fissato il 26 giugno, in estate, in una domenica nella quale gli elettori meno «motivati» non torneranno alle urne. Un tempo a disertare erano gli elettori di destra, più abbienti, in questa stagione politica è complicato fare previsioni su quali saranno gli elettori più «motivati», quelli pro o quelli contro?, spiega Fabio Martini.
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RENZI E LE GRANE IN CAMPANIA E NELLA CAPITALE –
Restano però prima da risolvere le grane della Campania e della Capitale:
«A Roma si è di nuovo complicato tutto. Dopo essersi dimesso sull’onda della vicenda delle note spese, ma soprattutto per effetto del pressing personale del presidente del Consiglio, Ignazio Marino si era rinchiuso in un insolito silenzio. Certo, il tempo di ricostruire i tasselli di tutte le ricevute contestate e dunque la speranza di riconquistare l’onore perduto. Ma anche il tentativo di un ultimo contropiede. Nella conferenza stampa Marino ha lanciato due messaggi: la questione delle note-spese si va risolvendo e non sono indagato; se così fosse, potrei anche pensare di ritirare le mie dimissioni. Dal Nazareno la decisione è arrivata: pollice verso. La parziale schiarita della vicenda-cene, secondo Palazzo Chigi, non cambia dunque la sostanza: Marino deve andare a casa. A quel punto, con la linea in tasca, il presidente del Pd Matteo Orfini incontra i consiglieri comunali del Pd e per quanto la linea prevalente sia quella di arrivare allo scioglimento del Consiglio comunale, il gruppo non è compatto. Viene fatta diffondere una «velina» secondo la quale il Pd è tutto contro Marino e il sindaco, nel suo studio in Campidoglio, commenta: «Sì, ma a questo punto, dopo il chiarimento sulle note-spese, l’onere della prova spetta al Pd: perché mi devo dimettere?».
Se Marino decidesse di ritirare le dimissioni, il Pd dovrebbe sfiduciare il chirurgo arrivando a quota 27 nell’Assemblea capitolina, unendo i propri voti con quelli di destre e M5S. Non sarebbe semplice. E le prospettive per le urne non sono rosee. Con il M5S in testa nelle stime con il 31,8% di preferenze e il Pd molto dietro, staccato al 19,7%. Secondo la Stampa, intorno al 9% sarebbero anche Forza Italia e Fratelli d’Italia, la stessa percentuale di un’ipotetica Lista Marino.