Revenge porn: perché ha ragione Belen Rodriguez e non il ministro Orlando

Sta facendo discutere il botta e risposta tra Belen Rodriguez e il ministro della Giustizia Andrea Orlando al Maurizio Costanzo Show. La showgirl ha parlato della impossibilità di rimuovere i contenuti hard in rete irritando non poco il Guardasigilli. Ma chi ha ragione tra i due? E perché?

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«Mi sono rivolta alla polizia postale – ha spiegato Belen – ma il mio video hot è ancora in rete e non è stato tolto ancora da internet, sarà uscito circa sei anni fa. Il problema è che noi ci possiamo rivolgere alla polizia postale ma poi non c’è assolutamente nessun risultato, io ormai sono un personaggio famoso e me ne frega una cippa, ma ci sono altre ragazze che non vogliono avere a che fare con l’esposizione mediatica e si trovano in queste situazioni e poi i risultati sono questi, penso si debba fare qualcosa».
Orlando ha replicato a Belen, evidenziando come da alcuni mesi sia entrata in vigore una norma che consente di punire fino a quattro anni di carcere chi diffonde filmati girati in modo clandestino, senza che una persona se ne sia accorta, con fini impropri, né per informazione, né per giustizia.

REVENGE PORN: HA RAGIONE BELEN O IL MINISTRO ORLANDO?

In realtà il ministro della Giustizia non ha risposto alla showgirl. Perché Belen parla di revenge porn. Orlando di un’altra cosa. E no, il revenge porn non è sanzionato in base al nostro codice penale. Lo ha spiegato, molto bene, Matteo Grandi sull’Agi qualche settimana fa. Chi si trova spiattellato in rete in momenti intimi molto spesso non è all’insaputa del video che lo coinvolge. Anzi ne è perfettamente cosciente. Solo che non ne ha mai autorizzato la diffusione.

Il problema, anche davanti a una denuncia, sta proprio in questo: nel consenso della “futura vittima” quando le immagini vengono registrate. E il crimine deve stare nella diffusione del filmato (non autorizzata dalla vittima). Il ministro nel talk show fa riferimento alla cosiddetta “norma D’Addario” che punta però alla registrazione, non alla diffusione di colloquio privato.

“si prevede una pena fino a 4 anni per chi al fine di recare danno all’altrui reputazione o immagine, riprende o registra un colloquio privato. La punibilità è esclusa per il diritto di cronaca e se il colloquio serve a fini giudiziari”

Il decreto legislativo sulle intercettazioni ha ben poco a che fare con casi come quelli di Tiziana Cantone, ad esempio. Paradosso dei paradossi è che in realtà una legge sul revenge porn in Italia ci sarebbe: è depositata in Parlamento e sta ancora bloccata a Montecitorio. La presentò, il 27 settembre 2016, la senatrice di Forza Italia Sandra Savino. Punta a introdurre l’articolo 612-ter del codice penale, concernente il reato di «diffusione di immagini e video sessualmente espliciti».

«È punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque pubblica nella rete internet, senza l’espresso consenso delle persone interessate, immagini o video privati, comunque acquisiti o detenuti, realizzati in circostanze intime e contenenti immagini sessualmente esplicite, con conseguente diffusione di dati sensibili, con l’intento di causare un danno morale alla persona interessata. La pena è aumentata della metà se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa»

Questa sarebbe una norma che sanzionerebbe davvero chi ha filmato un’amica, la propria moglie o la propria ragazza piazzando poi quei momenti in pasto alla rete.  Questo sarebbe davvero un attacco al revenge porn. Non la norma D’Addario.

(Credit Image: Paola Visone/Pacific Press via ZUMA Wire)

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