Riforme, mano di poker di Renzi: subito la conta al Senato. E spera in un (nuovo) bluff della minoranza Pd
17/09/2015 di Alberto Sofia
Non c’è più alternativa per il giocatore Renzi. Sulle riforme costituzionali per il premier non c’è più tempo da perdere in Commissione, lì dove la maggioranza rischia il pantano. E, come in una mano di poker, il premier decide che è ormai tempo di “vedere le carte” della minoranza Pd. Così, di fronte alle resistenze della fronda dissidente, da Palazzo Chigi arriva l’ordine di passare alla prova di forza contro opposizioni e ribelli: si va subito in Aula, senza votare prima il mandato al relatore.
RIFORME, RENZI ORDINA LA PROVA DI FORZA. CONVINTO DI AVERE I NUMERI –
Non basta nemmeno il ritiro a sorpresa dei 500mila emendamenti del leghista Roberto Calderoli, in cambio della richiesta di un comitato ristretto, per far cambiare idea al presidente del Consiglio. «Troppo tardi», spiegano tra i corridoi del Senato i fedelissimi del premier, prima dell’infinita riunione dei capigruppo. Due ore per certificare la fine della trattativa. Anche perché la mossa del senatore del Carroccio viene bollata dal capogruppo dem Luigi Zanda non come un segno distensivo, ma come una “manovra politica“. Un modo per perdere ulteriore tempo. E per questo rifiutata.
Meglio, è convinto Renzi, passare subito alla conta. Con un calendario serrato, pur di terminare i lavori prima della sessione di bilancio del 15 ottobre. In Aula il provvedimento sbarcherà già domani, giovedì 16, per la discussione. Mercoledì c’è la scadenza per la presentazione degli emendamenti, in attesa che il presidente Pietro Grasso decida se accettare o meno le modifiche all’articolo 2: ovvero, quello che dispone l’elezione indiretta dei senatori, intoccabile per il governo e oggetto delle richieste di modifica degli oppositori di Renzi. Infine, il via ai voti. Con Renzi convinto, pallottoliere alla mano, di avere numeri sufficienti. Quanto basta per evitare pericoli al Senato, seppur per poche unità. E per incassare il via libera definitivo intorno al 12 ottobre. Merito della campagna acquisti del duo targato Lotti-Verdini. Manovratori nel “grande mercato” di Palazzo Madama. E in grado di arruolare tutti, da destra a sinistra al centro, fino al gruppo Misto e alle Autonomie, pur di blindare quel disegno di legge al quale Renzi ha legato il destino della stessa legislatura.
RIFORME, RENZI CONVINTO DI AVERE I NUMERI. E RISCHIA TUTTO IN AULA –
«Se Renzi ha scelto l’Aula, allora è certo di avere numeri blindati..», predicano i fedelissimi del premier in un Senato in cui la tensione resta palpabile. E dove i pontieri del premier “vanno a caccia” per allargare il perimetro della maggioranza, senatore per senatore. «Fossi in Renzi eviterei forzature. Un conto è avere 4 o 5 del tuo partito che ti votano contro, altro è trovarsi contro 20 senatori ribelli. Qui tutti ora reclamano posti. E l’incidente è dietro l’angolo. Anche perché dentro Ncd non è vero che tutte le resistenze sono rientrate. Molti sono ancora coperti», spiega un senatore che chiede l’anonimato. Eppure, Renzi si fida dei calcoli del suo sottosegretario Lotti e dell’ex plenipotenziario azzurro Verdini.
RIFORME E CALCOLI, I NUMERI DELLA MAGGIORANZA: TUTTI I NOMI –
Chi si diletta nelle stime prevede per la maggioranza intorno ai 155-160 voti. Poco più dell’opposizione, che si fermerebbe intorno a 150. Ma tanto basta per ottenere il via libera, «anche grazie a qualche assenza strategica che Renzi si aspetta da Forza Italia», spiegano dal Pd. Perché se il partito di Berlusconi predica la linea del “no” a quel Ddl Boschi già votato in tempo di Nazareno, in realtà non farà opposizione intransigente. Anche perché, seppur quella del voto sia considerata un’arma quasi scarica, per il Cav è meglio evitare qualsiasi rischio di essere trascinati da Renzi alle urne anzitempo. In un momento in cui Fi è ancora impreparata. E ben lontana dal consenso raccolto dalla Lega di Salvini. «Voteremo compatti? Le discussioni come in ogni partito non mancano, poi ognuno si prenderà le sue responsabilità, saremo uniti», rivendica a Giornalettismo il senatore pugliese Luigi Vitali. Ma proprio nei confronti del gruppo azzurro Verdini è in pressing continuo fin dal momento in cui battezzò il salvagente governativo di ALA. Da Riccardo Villari ad Altero Matteoli (ma non solo), tanto per fare qualche nome, l’ex stratega azzurro del Nazareno da giorni cerca sponde nel suo vecchio partito. Senza dimenticare la coppia, già fuoriuscita da Fi, Sandro Bondi-Manuela Repetti (che ha già votato la fiducia al governo, ndr). Così sono gli stessi verdiniani ad esultare per la prova di forza renziana contro la sinistra Pd, convinti di poter essere decisivi. E di passare all’incasso. «Per ora siamo 10 (compreso D’Anna, che voterà sì, ndr), ma presto altri si uniranno…», spiega il socialista Barani, capogruppo della fronda. Precisamente, altri 5 senatori, secondo quanto promesso da Verdini. Così, anche dentro Ncd – balcanizzato tra governisti filorenziani e chi vorrebbe tornare sulla via del centrodestra – il redde rationem sarà per ora messa in cantiere. «Nessuna scissione, ma noi vogliamo cambiare queste riforme. Con me ci sono almeno una decina di senatori», insiste Formigoni. Ma in molti stanno scegliendo una mite ritirata. Va bene il compromesso per ora, non c’è troppo margine di trattativa. E a parte l’ex Celeste, Azzollini, forse Augello, Colucci e Giovanardi tutti i malpancisti dovrebbero rientrare. Anche grazie alle contropartite: ancora c’è in ballo la presidenza di alcune commissioni da rinnovare. «Una promessa di un posto ormai la maggioranza non lo nega a nessuno. Ma si accorgeranno ben presto che Renzi li usa e poi li scarica..,», replicano amari dalla minoranza dem.
Nel grande calderone che darà il via libera alle riforme renziane entreranno anche ex 5 Stelle come Bencini e Romani, che hanno ridato vita a Idv al Senato. Ma tra gli ex pentastellati anche la componente dei Verdi di De Pin e Bartolomeo Pepe è finita tra i radar di Lotti. Ma non è finita: «C’è pressing anche su Cristina De Pietro, mentre Orellana e Gambaro dovrebbero votare no», si vocifera in Senato. Una conta nome per nome. Così, dopo un incontro con il sindaco di Verona Flavio Tosi, anche le tre senatrici Bisinella, Bellot e Munerato di Fare! dovrebbero convergere con la maggioranza. E i fittiani di Cor? Anche loro per ora restano in attesa, dopo non aver escluso un voto positivo alle riforme renziane, in caso di accoglimento degli emendamenti presentati su tetto fiscale, perequazione infrastrutturale e non solo. Infine, pronti al sì sono anche Paolo Naccarato, Benedetto Della Vedova, D’Onghia. Così come l’ex Pd Margiotta. E riflettono ancora Dario Stefano di Sel, l’ex leghista Michelino Davico. Nomi che per i pontieri renziani bastano per sostituire i malpancisti dem.
RIFORME, I RIBELLI PD: RESISTERANNO IN 25 –
«Speriamo che il Pd si interroghi sulla gravità di sostituire il dissenso con transfughi di Fi e di tutto l’arco parlamentare», spiega la bersaniana Doris Lo Moro. Nessuno tra i ribelli Pd, irritati per la scelta di Renzi di andare alla conta in Aula, è convinto che il gruppo si sfalderà come già avvenuto in passato, dall’Italicum al Jobs Act: «Questo è quello che vuole Renzi, ma qui siamo tutti uniti nei contenuti. Renzi sta rischiando, non ha i numeri e se ne renderà conto», provoca Mineo. Convinto, come altri, che quello di Renzi sia soltanto un bluff. Degno di un giocatore esperto. Anche l’ex civatiana Lucrezia Ricchiutti è certa: «Divisi? No, il gruppo resterà compatto in gran parte». Eppure Renzi spera ancora nel dividi et impera, in attesa della decisiva direzione Pd convocata per lunedì. Un vertice che rischia di tramutarsi in un altro redde rationem.
Per ora, in 25 su 28 promettono di resistere. «Potrebbero ripensarci soltanto Tronti, Manconi e Martini». Così sarà guerra di numeri in Aula, con parte dell’opposizione che già minaccia un’invasione di emendamenti. Poi sarà Grasso a decidere sull’articolo 2. Con una consapevolezza: cambiare decisione, rispetto all’impostazione Finocchiaro che ha dichiarato gli emendamenti non ammissibili in Commissione, sarebbe come aprire un conflitto istituzionale. Improbabile che accada, al di là degli attriti con Renzi e Finocchiaro delle ultime ore. Così per dissidenti e opposizioni resterà soltanto il voto finale sull’art.2. «O magari qualche voto segreto su altri articoli», c’è chi azzarda. Anche se a spuntarla sarà Renzi, come è certo il premier, il rischio è però che subito dopo il premier si ritrovi con la maggioranza stravolta. E una scissione nei fatti dentro il Pd. «Allora sarà complicato gestire quel passaggio», ammette un renziano doc, perplesso di fronte all’ipotesi di un Ddl Boschi approvato con i voti fondamentali di Verdini ed ex forzisti. Proprio quanto auspica da mesi l’ex coordinatore azzurro. Fuori la sinistra, con la sua fronda decisiva.