Robert Seldon Lady: i segreti dell’Italia che l’agente CIA vuole raccontare

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Non è contento e cerca sponde nella penisola per salvarsi. In cambio offre rivelazioni sul nostro paese. Ecco quali

Il più ricercato tra gli autori americani del sequestro di Abu Omar non sa più a che santo votarsi e ha finito per appellarsi a Napolitano.



L’ITALIAN JOB – La rendition di Abu Omar si è risolta in un disastro, un’operazione concepita malamente fin dalla scelta dell’obiettivo, che neppure il regime dell’egiziano Mubarak ha ritenuto di condannare dopo averlo a lungo torturato per estorcergli una confessione, è finita con una serie di condanne per agenti dei servizi italiani e americani e per diventare il paradigma di un fallimento, alla CIA l’hanno chiamato “the Italian job”.

IL CIRCO DEGLI SPIONI – Oltre ai protagonisti diretti il caso ha visto coinvolti anche alcuni personaggi minori, tra i quali l’ex giornalista del quotidiano Libero Renato Farina, poi ringraziato con un seggio sicuro in parlamento e ora finito a Il Giornale, condannato sei mesi di reclusione (poi commutata in sanzione pecuniaria). lo stesso Farina ha scritto su Libero il 2 luglio 2005: «Gaetano Saya e il D.S.S.A. (dipartimento studi strategici antiterrorismo) hanno fatto parte del gruppo operativo della C.I.A. che ha sequestrato Abu Omar», probabilmente nel tentativo di nobilitare l’inquietante personaggio che si atteggiava a uomo dei servizi e che millantava di essere a capo di un’organizzazione che poi si rivelerà la più classica delle patacche all’italiana, ordita da inadatti patrioti d’estrema destra.



I GOVERNI SE NE SONO LAVATI LE MANI – La vicenda è finita male anche perché i governi italiani hanno opposto il segreto di stato in giudizio e nessuno a livello governativo, in Italia come negli Stati Uniti, ha mosso un dito per sottrarre i funzionari e gli agenti coinvolti alle attenzioni dei giudici assumendosi le relative responsabilità. In più, il governo americano ha vietato ai suoi agenti di difendersi nel giudizio, che ha finto d’ignorare dall’inizio alla fine come se fosse che non riguardava gli Stati Uniti. Invece il governo Berlusconi, all’epoca in carica, ha sempicemente opposto il silenzio e lo stesso hanno fatto gli omologhi d’oltreoceano, che non hanno neppure invocato l’immunità diplomatica per i coinvolti, pur in teoria potendo, perché sarebbe stato come ammettere ufficialemnte la partecipazione al rapimento, peraltro acclarata.

QUATTRO CAPRI ESPIATORI – Dei 23 statunitensi condannnati in contumacia solo quattro sono stati identificati con le loro vere identità, almeno a dar retta a quanto è emerso in seguito e questi sono finiti davvero nei guai, perché oggi non lavorano più per la CIA e non sono altro che comuni cittadini condannati a diversi anni di carcere in Italia. Il più esposto di tutti è Robert Seldon Lady, all’epoca al consolta di Milano, che nei giorni scorsi ha inviato una lettera al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano chiedendo la grazia. Napolitano ha già graziato nell’aprile scorso un altro condannato, il colonnello Joseph Romano, l’ex comandante della base di Avianom mentre restano coinvolti pienamente Sabrina De Sousa, che ebbe funzioni d’interprete con i colleghi italiani, e Jeffrey Castelli, capocentro CIA a Roma, che alla lunga è emerso come il vero motore della vicenda, anche se la giustizia italiana ha individuato in Seldon Lady il principale responsabile.



CHI HA AVUTO L’IDEA – Secondo Sabrina De Sousa fu proprio Castelli a fare letteralmente carte false per poter avere una “sua ” rendition da vantare a Washington, dove comunque qualcuno molto in alto nell’amministrazione Bush approvò l’operazione, salvo poi far finta di niente quando le cose andarono male. Negli ultimi mesi Seldon Lady ha mandato diversi segnali verso il nostro paese, spesso contraddittori, il suo stesso avvocato di recente ha ad esempio smentito la ricostruzione di De Sousa, che negli Stati Uniti aveva fatto causa a lui e Castelli solo per vedersela respinta, in un’intervista al Foglio:

“No. Non credo che un funzionario di tale anzianità ed esperienza come Castelli abbia mentito al presidente degli Stati Uniti o al suo rappresentante Condoleeza Rice. Tutte le prove indicano che il bersaglio era quello giusto. Forse sono stati sbagliati i tempi. Io credo sia Abu Omar che non sta dicendo tutta la verità. Non ho prove ma l’intera vicenda è molto strana. Dal mio punto di vista, come avvocato, Abu Omar sarebbe dovuto essere arrestato da Spataro, che stava investigando su di lui. Invece, eccezionalmente, Spataro ha personalmente aperto un procedimento legale per confiscare la casa di Lady e dare il ricavato a Abu Omar. Perché? Per caso Abu Omar è o è stato una fonte confidenziale di Spataro?”

TROPPE TRACCE – La spiegazione per la magistratura italiana è semplice: Abu Omar, colpevole o meno che fosse, è stato vittima di un reato, è stato rapito e torturato e ha diritto a un risarcimento da parte dei respnsabili. Seldon Lady peraltro deve anche rimproverare se stesso e lo stesso eccesso di fiducia che ha spinto gli americani ad agire in maniera tanto poco professionale da lasciare al loro passaggio una tale abbondanza di tracce, da servire il caso su un piatto d’argento alla procura di Milano. Quando la polizia ha perquisito la sua casa nel 2005 ha trovato foto di Abu Omar nel suo computer e una prenotazione per un volo da Zurigo al Cairo pochi giorni dopo la rendition di Abu Omar, dove Seldon Lady si era recato per assistere ad alcuni interrogatori, anche se lui dice senza mai esser stato testimone di torture.

FALLITO – Oggi l’ex agente della CIA è in bancarotta ed anche il suo matrimonio è fallito, dice lui come conseguenza di quanto ha dovuto patire per colpa dell’agenzia, che oltre a non averlo coperto ha fatto poco per risarcirgli i danni economici che ha subito. Lady, che all’epoca del sequestro era a un anno dalla pensione, aveva mediato di ritirarsi in Italia, doveaveva comprato anche un’azienda agricola, ma anche quella è stata sequestrata dalla magistratura.

NIENTE DA PERDERE – Nell’ultima intervista al Wall Street Journal si è detto “abbastanza disperato”, ha spiegato che dalla CIA ha ricevuto denaro, ma non sufficiente a ripianare le perdita subite, che si deve pagare da solo il costi legali come tutti gli altri, in particolare ora che non può più viaggiare all’estero per lavorare. Lady infatti è stato fermato tempo fa a Panama, su mandato italiano, anche se poi il governo locale lo ha lasciato andare subito con tanti saluti a Roma. A lui la CIA avrebbe detto di non andare all’estero almeno per un paio d’anni e ovviamente di lasciare casa e affari che aveva messo insieme a Panama. Stesso destino per De Sousa, che da anni è impedita a lasciare il paese per paura di essere cattturata all’estero, anche se l’unico contro il quale la magistratura italiana ha emesso un mandato di cattura internazionale è proprio Seldon Lady.

È STANCO – L’uomo dice di essere stanco e di voler fare di tutto per uscire da una situazione che gli è diventata insopportabile, dalla richiesta di grazia fino all’idea di consegnarsi alle autorità italiane, anche se “alle mie condizioni”. L’Italia tuttavia non ha mai chiesto la sua cattura proprio agli Stati Uniti e nemmeno l’estradizione e forse Lady bluffa quando dice: “Se l’Italia crede di avere la volontà politica d’arrestate un ex ufficiale della CIA e tenerlo in prigione per sei anni, mi tolgo il cappello”. Italia con la quale dice di aver sempre collaborato lealmente e, oltre ai teorici attentati di matrice islamica nel nostro paese, accenna al caso della rendition da un paese sudamericano di un boss della mafia, tradotto a Panama e poi in Italia senza estradizioni o procedure giudiziarie di alcun tipo. Il boss fu poi condannato e la conferma del suo rapimento potrebbe nuocere al nostro paese, come alla sua condanna. Che si tratti di messaggi lanciati anche alle autorità italiane o semplicemente delle parole di un uomo disperato non si può dire, di certo Lady è stato parecchi anni in Italia ed è al corrente di molte cose che, se rivelate, potrebbero dar fastidio a Roma.

VUOTANO IL SACCO – Lady però al WSJ smentisce quanto affermato dal suo legale a Il Foglio, accodandosi a De Sousa nel descrivere Castelli come una persona che voleva portare a termine la rendition per trarne benefici per la carriera, dicendo che “Castelli mi odiava molto” e descrivendolo in termini poco lusinghieri. Come De Sousa anche Lady sembra non avere più nulla da perdere e pare intenzionato a farlo sapere al mondo, soprattutto a quel mondo, di qua e di là dall’Atlantico, che dopo aver perpetrato i peggiori orrori ed errori nel quadro della “war on terror”, hanno lasciato i servitori dei due paesi con il cerino in mano.