“Sei gay? Ti caccio di casa”

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Le storie dei ragazzi omosessuali allontanati dai genitori



Nelle pagine della cultura oggi l’Unità riporta una serie di storie di ragazzi gay rifiutati dai genitori, storie che a volte poi finiscono per portarli ad atti di autolesionismo. L’articolo di Delia Vaccarello utilizza come fonti i messaggi arrivati all’Agedo, associazione di genitori di omosessuali. E comincia raccontando un fatto accaduto a Vicenza:

Un giovane si è arrampicato sulla balaustra di un cavalcavia, sei metri più sotto scorreva il traffico di auto e tir. Gli automobilisti lo hanno no- tato, cercando invano di parlargli: lui guardava dritto davanti a sé. Finché si è fermata una pattuglia dei carabinieri e uno dei militari lo ha raggiunto riuscendo a portarlo giù con la forza. Solo qualche ora prima il giova- ne aveva detto al padre e alla ma- dre di essere omosessuale, i due avevano reagito duramente. Non si tratta di un caso eccezionale. «Ra- gazzi e ragazze rifiutati perché omosessuali perdono stima e fidu- cia in loro stessi, si sentono respon- sabili del dolore arrecato ai genito- ri e del rifiuto subito, avvertono un bisogno forte di farsi del male, e lo fanno in modo palese o nascosto», commenta Francesca Marceca, mamma«Agedo» (associazione geni- tori di omosessuali), presidente del- la sede palermitana. «Il genitore è vissuto come colui che è dalla parte della ragione, inte- sa anche come ragione sociale che condanna l’omosessualità. Il ragaz- zo o la ragazza si sentono causa delle lacrime e delle liti. Hanno un’idea adolescenziale dei genitori e non im- maginanoche possano avere dei limi- ti». Dialogando con altri papà e mamme con gli operatori sociali, i ragazzi riescono ad avere una visione di- versa di ciò che sta accadendo. «Il punto di svolta si raggiunge quando i ragazzi comprendono che i genitori sono in difficoltà e che anche loro hanno bisogno di aiuto».



Enorme il danno procurato dal giudizio socia le:

In mille modi, con parole, silenzi, esclusioni, omissioni, fa sentire agli omosessuali il peso di essere una sva- lutata minoranza. Per Francesca Marceca «se nella società ci fosse l’ac- cettazione serena dell’ omosessualità svanirebbe il gioco perverso di rifiuti e autopunizioni. I ragazzi non dovrebbero fare una “confessione tragica”, la loro comunicazione an- drebbe accolta con gioia dai genitori poiché si tratta della vita affettiva dei figli».  Utopia? «Sto parlando di uno scenario della speranza, che oggi è fanta- scienza». Le storie di non accettazio- ne, sia palese che subdola, sono all’ordine del giorno. «La mamma di X, una ragazza di 17 anni viene in associazione a raccontare con enor- me dispiacere che la figlia ha una fi- danzata. Dice di averle scoperte men- tre si baciavano. Definisce lei e il ma- rito persone “aperte” e ritiene che il problema non sia l’omosessualità. Dice: “mia figlia è immatura, non sa cosa fa, si è lasciata trascinare dal- la compagna, l’omosessualità è una delle tante fantasie che lei ha anco- ra». È la madre a parlare, il padre tace. E assume un atteggiamento che non è insolito. «La mamma sconferma l’affettività della figlia – aggiunge Francesca Marceca –. Accade spesso. Invece quando è un ragazzo a di- re di essere gay viene preso sul se- rio».



E la storia continua con una diplomatica sparizione:

La madre di X per un po’ non fre- quenta l’associazione, poi ritorna. «Le chiedo come va e mi risponde che la figlia si è trasferita a Roma per motivi di studio, che ha un’altra fi- danzata e torna in vacanza con lei. Capisco che l’allontanamento è servito ad allentare la tensione, a far si che le cose vengano affrontate una per volta. Da qui a metterci la faccia e dirlo ai parenti e ai conoscenti ce necorre».Ei ragazzi? Francesca Mar- ceca legge uno dei tanti sos che arri- vano in Agedo via mail: «Mi presento, vivo in un paese, ho 16 anni, sono gay e mi sono dichiarato con alcuni amici. I miei sanno tutto e non mi accettano. Voglio sapere se mi date una mano, altrimenti io davvero…»