Senigallia-Ancona Nord: la terza corsia fantasma che blocca l’A14

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I lavori per l'ampliamento dell'autostrada adriatica tra Senigallia ed Ancona Nord sono bloccati da ormai un anno a causa di problemi che hanno coinvolto il consorzio appaltante Samac ed ora le aziende dell'indotto rischiano il fallimento a causa dei mancati pagamenti mentre il cantiere è al 60 per cento

Il cantiere della terza corsia dell’Autostrada A14, nel tratto compreso tra Senigallia ed Ancona Nord è fermo da un anno. E nonostante i lamenti dei sindacati ancora non si sa come sarà possibile risolvere la situazione che blocca l’ampliamento a tre corsie del più importante asse viario del nostro Paese, dopo l’A1.



IL PROGETTO – Il progetto, come riportato da Trail Marche, prevede l’ampliamento da due a tre corsie, con compresa quella di emergenza, nel tratto compreso tra Rimini Nord e Porto Sant’Elpidio, per una lunghezza complessiva di 154,7 chilometri. I lavori vengono giustificati con la necessità di migliorare il collegamento della dorsale adriatica, territorio fortemente industrializzato, con i mercati del centro e del nord Europa. L’area in questione, poi, è caratterizzata da una crescita annuale media del traffico del quattro per cento, decisamente superiore rispetto al valore nazionale.



I COSTI – La portata dei lavori è garantita dalla nascita di cinque nuovi svincoli nel tratto interessato, ovvero Marina di Monte Marciano, Ancona ovest, Porto Sant’Elpidio, Pesaro sud, Fano nord, e l’adeguamento di dieci svincoli esistenti. Il costo totale dell’opera è di un miliardo e 526 milioni di euro con una fine prevista entro il 2016, dopo che Autostrade per l’Italia, titolare dell’opera, ha ottenuto l’autorizzazione di Via nel 2007. La società Autostrade, nel sito A14marcheterzacorsia, parlando dei vari lotti in cui è suddiviso il progetto, illustra lo stato del lotto 4, quello che comprende il tratto Senigallia-Ancona Nord, attualmente fermo da un anno.



I CANTIERI – Al di là dell’ampliamento della sede autostradale, è prevista la realizzazione di diverse opere maggiori come l’ampliamento di quattro viadotti, Morignano, La Gabriella, Derobbino ed Esino e la nascita di due bretelle al casello di Senigallia. Inoltre si spiega che i cantieri deputati alla realizzazione di tali lavori sono destinati alla realizzazione di magazzini, depositi, officine ed alla produzione di calcestruzzo e conglomerati bituminosi. Nel primo cantiere, al chilometro 197 e 800 lato nord, è installato «l’impianto di produzione dei conglomerati cementizi destinati tanto alle opere d’arte quanto ai conci prefabbricati di rivestimento della galleria Cavallo e al pre-rivestimento della stessa»

GLI IMPIANTI – In questa maniera si mantiene la contiguità tra campi logisitici e cantieri operativi, sviluppati su una superficie di rispettivamente 26.600 e di 24.200 metri quadri. Nel secondo cantiere, al progressivo chilometrico 208 e 300, ha sede l’impianto di produzione di conglomerati bituminosi, sito su un campo di 34.000 mila metri quadri e con un cantiere operativo di 30.000 metri quadri. Nel secondo cantiere alla progressiva km208+300, ha sede l’impianto di produzione di conglomerati bituminosi potendosi prevedere punte di oltre 1500 mc/giorno, non disponibili al momento nella zona. L’intera area alloggia sia un campo base logistico, di 34.000 mq che un cantiere operativo di 30.000 mq.

IL BLOCCO – Eppure tutto questo è fermo. Da ormai un anno. E la situazione appare a dir poco ingarbugliata. Come ha spiegato la Cgil Marche nel giugno 2013, il 7 giugno Autostrade per l’Italia ha inviato un fax che anticipava una raccomandata in cui veniva comunicata la rescissione del contratto di appalto al consorzio Samac, con i lavori interrotti nell’aprile 2013. Allora il consorzio comunicò che a quel giorno non era pervenuto nessun atto che confermasse la rescissione contrattuale da parte di Autostrade per l’Italia a partire dal 3 giugno 2013. Il blocco venne determinato dalle riserve tecniche avanzate dal consorzio e nei «successivi ritardi nei pagamenti dei Sal da parte della Committenza». All’epoca emerse inoltre che la crisi coinvolgeva quasi 700 persone, tra lavoratori diretti ed indotto.

L’ASTA AL RIBASSO – L’Ics Grandi Lavori nel 2010 comunicò che l’appalto venne vinto dalla Samac per un totale di 260 milioni di euro. Ma questa cifra era frutto di un meccanismo particolare, detto dell’asta a ribasso. Autostrade per l’Italia nel definire un valore per il lotto 4 stabilì che l’importo dei lavori doveva essere di 354.621.087 euro. La Samac però ha ottenuto l’appalto mettendo sul piatto 259.951.936,83 euro. Quasi 95 milioni di euro in meno. E questo, secondo la Cna Pesaro, ha rappresentato un problema. Secondo il presidente Alberto Barilari, ripreso dal Resto del Carlino, a causa delle conseguenze delle gare al massimo ribasso, è accaduto che le imprese locali impegnate nei lavori della terza corsia arrivassero a vantare crediti per 58 milioni di euro.

I PROBLEMI PER LE AZIENDE SUBAPPALTATRICI – «È successo esattamente quel che avevamo denunciato in tempi non sospetti sulla base di segnalazioni di alcune ditte della provincia -ha spiegato Barilari- ovvero che molte aziende impegnate in quei cantieri potessero finire per rimanere vittime di complicati meccanismi legati al subappalto come diretta conseguenza delle gare al massimo ribasso. Una pratica scellerata che finisce per lasciare sul campo solo macerie». Barilari ha spiegato che i ribassi anche del 50 per cento in meno rispetto alla base d’asta sono inconcepibili anche per via del costo della manodopera, delle materie prime, delle norme per la sicurezza. I vincitori degli appalti poi vengono da fuori-regione ed attraverso il meccanismo del subappalto incassano subito l’importo relativo per non pagare le piccole imprese subappaltanti.

IL RISCHIO FALLIMENTO – E questo è ciò che è successo in questo caso, secondo Barilari. Il Messaggero ha poi raccolto la voce di alcuni dei soggetti coinvolti che non vogliono esporsi ma che parlano senza mezzi termini di una situazione per loro insostenibile. «Siamo quaranta imprese che hanno lavorato nel cantiere della terza corsia dell’A14 tra Senigallia e Chiaravalle. Tutte in subappalto, ma da due anni attendiamo il pagamento dei lavori. Ci sono fornitori, carpentieri, operatori edili, chi lavora nelle cave. Insomma uno spaccato delle imprese marchigiane, di cui la metà pesaresi che ora sono in ginocchio. La terza corsia doveva essere una opportunità e invece ci sta mettendo in difficoltà. Quattro di noi sono già fallite. Vantiamo crediti complessivi di 58 milioni di euro. E noi l’Iva e le tasse le abbiamo già pagate».

CANTIERE FERMO – E questi lavoratori, in subappalto, sono 250. Ed è accaduto quello che è stato spiegato in precedenza, ovvero che «Società Autostrade ha già liquidato la società appaltante che sulla base delle fatture avrebbe dovuto pagarci, ma così non è stato. Ora il cantiere è fermo. Aspettiamo i nostri soldi che non però non arrivano. Avevamo trovato un accordo per averne almeno il 70 per cento, poi il 60 per cento, ma ancora nulla. Rischiamo tutti di chiudere, non sono lavori da pochi euro. Senza contare il disastro delle opere non portate a termine». Quindi i lavori sono fermi, Autostrade avrebbe già pagato chi di dovere ma i soldi ai subappaltanti ancora non sono arrivati.

LE SOLUZIONI POSSIBILI – Come spiega Fano Informa, il 13 marzo le aziende interessate, circa 230, sono state ricevute alla Camera di Commercio di Pesaro insieme ai rappresentanti della Ics Grandi Lavori, propostasi come capofila di una nuova cordata che punta al recupero dei lavori (fermi al 60 per cento) con una restituzione del 70 per cento dei crediti vantati dalle attività coinvolte dal blocco. Presente anche la Società Autostrade che ha sottolineato di aver risolto ogni suo coinvolgimento nella faccenda. È poi emerso che due società costituenti il consorzio originario, la barese Matarrese e la genovese Carena, sono state escluse per essere poi sostituite da quattro ditte subappaltatrici forti di un credito di oltre sei milioni di euro.

 

SI RIPARTE? – Il 25 marzo la Ics Grandi Lavori ha consegnato il Piano Programmatico, tecnico e giuridico per la ripresa dei lavori fornendo al Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti la documentazione atta a far ripartire l’opera che al momento darebbe lavoro a 1.300 persone ed eviterebbe il fallimento del 70 per cento delle aziende coinvolte, parole del presidente Alberto Drudi. Ed a seguito di questo provvedimento qualcosa si è mosso, visto che come spiega Senigallia Notizie, il quattro aprile scorso è stato convocato al Ministero dei Lavori Pubblici il primo tavolo istituzionale di monitoraggio che ha visto protagonisti Autostrade per l’Italia e Samac.

LE ACCUSE DEI SINDACATI – S’ipotizza che Autostrade possa svincolare 19 milioni di euro che permetterebbero lo sblocco del primo 35 per cento dello scaduto dei fornitori mentre il restante 35 per cento verrebbe saldato entro i successivi 18 mesi o la fine del cantiere. La proposta ha seguito di due giorni l’annuncio da parte della Ics di un prossimo sblocco del cantiere a partire dal prossimo primo maggio. Sblocco che probabilmente non ci sarà, almeno a sentire i sindacati marchigiani che si dicono stufi di promesse che non portano da nessuna parte e che chiedono provvedimenti concreti per la salvaguardia dei posti di lavoro contro la politica degli annunci.  Secondo le sigle coinvolte, Feneal-Uil, Filca-Cisl e Fillea-Cgil «i lavoratori diretti sono oggi in cassa integrazione straordinaria dopo aver fatto 11 mesi di cassa integrazione ordinaria, gli stessi avanzano competenze arretrate e il campo base dove alloggiano i pochi lavoratori occupati e non pagati adibiti alla guardia e alla messa in sicurezza, è in totale stato di abbandono tanto da rimanere senza elettricità».

L’ENNESIMA INCOMPIUTA? – «Tutto questo -continuano i Confederati- sta creando un enorme sofferenza economica ai lavoratori e alle loro famiglie, alle imprese del nostro territorio che hanno lavorato sul tratto autostradale, oltre che un disagio alla viabilità locale che certamente andrà ad aggravarsi con l’arrivo della stagione estiva e turistica. I 130 lavoratori diretti e i 250 lavoratori delle aziende in subappalto e di forniture da oltre un anno sono in attesa di risposte concrete reali sia dal punto di vista occupazionale che di reddito». Segno che qualcuno non può più aspettare annunci e che è arrivato il momento di proporre almeno ai lavoratori ed alle loro famiglie un qualcosa di concreto e che finalmente si possano far ripartire i lavori cancellando quella che rischia di essere l’ennesima incompiuta italiana. (Photocredit Il Resto del Carlino / Senigallia Notizie / Ilmetauro)