American Gods 1×02 – Recensione: schiavi, messaggi dalla Tv e Czernobog

In American Gods, ogni storyline seppur apparentemente slegata è in realtà parte di un disegno più grande. Quindi non temete, ogni cosa avrà risposta … o almeno si spera.

Continua il viaggio on the road con Mr. Wednesday e Shadow Moon, la puntata riprende lì dove si era interrotta la scorsa settimana con Shadow picchiato dagli uomini di Technological Boy e salvato da una figura misteriosa. I due continuano il viaggio, diretti a Chicago dove Mr. Wednesday spera di reclutare nuovi alleati, in particolar modo uno che non si dimostra per niente propenso a collaborare.
Vengono introdotti nuovi personaggi e Shadow ha un incontro molto particolare con Media.

American Gods

Il calmo Shadow comincia a perdere la pazienza, va bene scarrozzare il suo capo in lungo e in largo per il Paese però sarebbe cosa gradita avere qualche indizio su cosa c’è dietro.

Ian McShane e Ricky Whittle hanno una chimica pazzesca sullo schermo ed è un bene perché i due personaggi di “American Gods” nati dalla penna di Neil Gaiman sono come il fuoco e l’acqua, opposti e complementari.
Shadow segue gli ordini del suo datore di lavoro, non è insistente, mantiene la calma e non fa domande almeno fino a che la situazione non diventa troppo assurda. Per esempio quando Lucy di “I love Lucy” comincia a parlarti dalla Tv o quando un’anziana signora ti legge il futuro o quando vedi tua moglie morta farti visita di notte. Sono cose che cambiano il tuo modo di intendere la realtà e ti portano a fare domande.
Mr. Wednesday d’altro canto sembra un cinico menefreghista ma in realtà è una figura estremamente collerica, incapace di mantenere il controllo in una situazione drastica e tendente a scatti d’ira incontrollati. Come ho detto, l’acqua ed il fuoco.

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Once upon a time, a man got fucked. Now, how’s that for a story? Because that’s the story of black men in America. Oh, you all don’t know you’re black yet. Well, let me be the first to tell you that you are all black.

Anche questa puntata di “American Gods” inizia con la sequenza “Coming in America”. Questa volta siamo nel 1697, su una nave olandese che trasporta la merce più pregiata all’epoca: schiavi neri. E gli schiavi portano a loro volta con sé la propria lingua, la propria cultura e di conseguenza i propri dei. Così fa la sua comparsa in questo episodio Mr. Nancy ovvero Anansi, divinità africana dall’aspetto di ragno.
Mr. Nancy incita gli schiavi a ribellarsi, a dare fuoco alle navi perché tanto in ogni caso moriranno comunque e quello che li aspetta è solo l’inizio di una persecuzione che nemmeno trecento anni dopo loro avrà termine (che nemmeno oggi si è conclusa). Orlando Jones compare poco sullo schermo ma con uno straordinario monologo mostra già un suo personale Mr. Nancy, studiato nella lingua, nei movimenti e nello stile. Un personaggio che, sicuramente, non vediamo l’ora di rivedere. Un’introduzione potente che ancora una volta, come tutte queste sequenze, evidenzia quanto la religione possa essere forte ed influenzare le persone nel bene e nel male.

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A questo proposito la mia riflessione si sposta su un elemento che la serie a differenza del libro può regalarci e la rende per questo motivo più viva. Proprio per il suo essere multirazziale e plurietnico, per il suo essere globale la serie ci permette di ascoltare una molteplicità di accenti, reminiscenze di antiche culture o semplicemente di influenze che nel corso del tempo hanno plasmato una lingua. Ma proprio questa varietà che solo sullo schermo può essere resa, da attori che fino ad ora stanno svolgendo bene il loro compito, rende la serie “American Gods” un piacere non solo per gli occhi ma per le orecchie.

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The screen’s the altar. I’m the one they sacrifice to. Then till now, golden age to golden age, they sit side by side, ignore each other and give it up to me. Now they hold a smaller screen in their lap or in the palm of their hand so they don’t get bored watching the big one. Time and attention – better than lamb’s blood.

Gillian Anderson introduce in questo episodio un altro dei nuovi dei: Media. Una delle caratteristiche più affascinanti di Media, anche nel libro, è che è esattamente come ti aspetti che la Tv sia se potesse parlare, se fosse una divinità tangibile. Affascinante, carismatica, sicura di sé e manipolatrice ma in un modo così subdolo che la chiameresti amica mentre ti pugnala alle spalle. Se nello scorso episodio abbiamo visto la tecnologia in toto fatta persona, adesso nello specifico siamo di fronte alla scatola magica, all’altare 2.0. in cui ogni giorno, ogni ora, ogni minuto vengono compiuti sacrifici e come sottolinea Media, adesso la Tv è davvero ovunque. Una divinità che è solo destinata a prendere il sopravvento sulle altre.
L’attualità di un libro come “American Gods” è oggi ancora più attuale con la serie Tv, se ci pensate la serie tv è una contraddizione stessa a ciò di cui Gaiman scriveva.

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E il discorso di Media serve a distrarre tre persone: Shadow da ciò che questa guerra imminente rappresenta, cerca di fuorviarlo e di portarlo con belle parole dalla sua parte solo per fregarsi alla fine; noi spettatori che guardiamo imbambolati Gillian essere eccezionale; lo spettatore-umanità che si distrae dai fatti veramente importanti, da ciò che dovrebbe farci infuriare per essere ipnotizzati in un vortice pari a quello dell’ipnorospo di Futurama
Fatti importanti come la schiavitù e il colore della pelle. Dopo il monologo iniziale di Mr. Nancy, quest’ultimo torna nella parte finale della puntata ovvero quando Mr. Wednesday e Shadow Moon arrivano a Chicago, a casa di tre sorelle molto particolare ed un ex-macellaio.

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E qui abbiamo Peter Stormare, un attore che ci regala sempre grandi performance e che porta sullo schermo Czernobog, divinità dell’Europa dell’Est (il diavolo del Monte Calvo di Fantasia per intenderci). Durante una cena piuttosto singolare, abbiamo un altro importante monologo che si lega direttamente con quello che ha iniziato la puntata. Anche qui il colore della pelle è importante, Czernobog chiede a Shadow se sia nero, l’uomo risponde se ci siano problemi e il dio replica:

Ehhh, we never care about skin like the Americans. Where we come from, everyone has the same color. So we must fight over shades.

Il razzismo è un problema molto presente in America, un problema scomodo di cui non si parla volentieri perché è più facile pensare che sia tutto passato. Anche Czernobog nella sua terra era considerato nero ma è un pregiudizio che con il tempo è stato annullato nel suo paese d’origine, in America no.

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So, at sunrise, I get to knock your brains out, and you will go down on your knees willingly. It’s good. A shame. You’re my only black friend.

La puntata di “American Gods” si conclude con una partita a dama ed una scommessa che Shadow perde, quindi all’alba Czernobog potrà fracassargli il cranio con il martello.
È stato raccapricciante sentire con quanta malinconia il dio parlava dei vecchi tempi andati, quando le mucche venivano macellate a suon di martellate. Vegani di tutto il mondo che saranno inorriditi e avranno distrutto computer e Tv. Czernobog è uno dei personaggi nella storia più ironici nella sua follia, ed è un personaggio di cui mi sono innamorata fin dalle prime pagine. Vederlo interpretato da uno straordinario caratterista come Stormare che gli dà corpo ed anima è davvero una soddisfazione.
In tutto questo la faccia di Shadow che è un po’ la faccia di tutti noi, con stampato perennemente un “WTF” sopra.

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Nel prossimo episodio vedremo se Shadow riuscirà a scamparla, mentre nuvole nere si profilano all’orizzonte:

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