American Gods 1×08 – Recensione: la calma apparente prima della tempesta
20/06/2017 di Redazione
Eccoci arrivati all’ultimo giro di giostra, ultimo episodio per questa prima stagione di American Gods che conclude l’overture e segna l’inizio dell’opera a venire.
People create gods when they wonder why things happen. Do you know why things happen? Because gods make them happen. You wanna know how to make good things happen? Be good to your god. You give a little. You get a little. The simplicity of that bargain has always been appealing. That’s why we’re here, and that’s precisely why I matter.
Il potentissimo intro di Bilquis non solo ci permette di conoscere meglio la storia di questo personaggio un po’ ai margini (e che si preannuncia avere maggiore importanza l’anno prossimo, stando al finale) ma fa anche da prologo al tema portante di questa settimana: le donne e il loro potere.
There’s no end to the cruelty of men threatened by strong women.
Da regina e dea a paria e dimenticata, Bilquis ovvero la Regina di Saba è l’incarnazione della sessualità femminile.
Figura a metà tra mito e storia, la Regina di Saba aveva fatto non della spada ma del sesso la sua arma, un’arma certamente più potente in grado di sottomettere uomini e re. Ma in un mondo di uomini, come cantava qualcuno, le donne e soprattutto le donne di un certo spessore spesso affrontano un infelice destino ed è proprio quello che accade a Bilquis, ben presto dimenticata e costretta ai margini della strada a stringere un accordo con il sempre “simpaticissimo” Techinical Boy.
La Regina di Saba ottiene una seconda vita scendendo a patti con i Nuovi Dei, con una tecnologia che metaforicamente proprio attraverso questa puntata rende evidente la sua intromissione nella realtà più primitiva, il sesso.
Tell the believers and the non-believers. Tell them we’ve taken the spring. They can have it back when they pray for it.
Intorno a tre donne ruota questo episodio di American Gods, che rappresentano altrettanti tre aspetti della femminilità. Se l’inizio è segnato dalla conturbante sensualità di Bilquis, nello svolgimento della storia la protagonista e Easter, dea della rinascita e della primavera, che deve suo malgrado dividere la scena con il ben più famoso Gesù, quasi etichettato da Wednesday come un nuovo dio.
La Chenoweth nel poco tempo a disposizione non ci fa mancare nulla: carisma, ironia, forza e stile. E proprio come la primavera, essa può essere dolce e terribile insieme.
Molto belle le interazioni tra lei e gli altri personaggi, come una vera padrona di casa Easter si ritrova a dover gestire Media (la Anderson è da Emmy), Laura e Mad Sweeney ed il magnetico Mr. Wednesday di Ian McShane venuto a reclutarla con lusinghe e moine. Ma prima di parlare di Wednesday e di quell’epica scena, spostiamo la nostra attenzione verso l’ultima donna di questa storia: Laura Moon.
I was killed by a god. Which fucking god?
Il terzo aspetto del carattere femminile viene rappresentato dalla minuta ed inarrestabile moglie di Shadow. Un aspetto che ho piacevolmente apprezzato è stato il lento evolversi del rapporto con Mad Sweeney, adesso tra gli elementi che preferisco in American Gods, ma d’altro canto la note dolente è l’aver voluto anticipare delle scoperte che nel libro avvengono molto più in là.
Believing is seeing. Gods are real if you believe in them.
Nella sequenza più suggestiva e bella della puntata abbiamo finalmente una risposta sull’identità di Wednesday. Ricalcando le stesse battute del libro, Shadow di fronte al potere dell’uomo gli chiede per l’ennesima volta chi sia. Solo che questa volta la risposta è già insita nella domanda perché in cuor suo questa volta Shadow sa, ha capito di avere davvero di fronte una divinità.
Mr. Wednesday: Do you believe?
Shadow: I believe.
Mr. Wednesday: What do you believe, Shadow?
Shadow: Everything.
Mr. Wednesday, Grimnir ed il Padre Universale sono solo tanti dei nomi del dio vichingo Odino, una divinità della guerra che nella guerra trova potere e cibo e che adesso ha finalmente ottenuto quello che vuole.
You wanted a war, Glad-of-War. You have one. Be glad. It will be the war you die in.
Rappresentazione della prepotenza, dell’ambizione e della violenza maschile Odino apre così le danze a ciò che deve venire. Ad una guerra che fino ad ora è stata solo accennata e che ben presto nella House of the Rocks vedrà prendere posto i due schieramenti.
Con questa recensione si conclude anche il nostro viaggio, un viaggio che non vedo l’ora di riprendere l’anno prossimo. Tantissima carne al fuoco sia per i lettori che non. Vette di questa serie sono senza dubbio Gillian Anderson e Ian McShane, seguiti a ruota da un Pablo Schreiber che ha davvero sviscerato il suo Mad Sweeney, Peter Stormare che portato Czernobog dalla pagina allo schermo e Dio quanto mi manca! Ed infine il dio Anansi di Orlando Jones che sicuramente vedremo di più l’anno prossimo.
In fondo la serie (e il libro da cui è tratta) è una potente disquisizione proprio di quel “darwinismo religioso/divino” di cui parla Media. Per voi non lettori, il meglio deve ancora venire!