“Atuk”: il film più maledetto di sempre è… una commedia!
21/08/2016 di Redazione
Da quasi quarant’anni a Hollywood esiste una sceneggiatura che nessuno è ancora riuscito a portare sullo schermo perché ritenuta “portasfortuna”…
Quando si parla di film nefasti i titoli che si possono citare vanno da “Il Mago di Oz” del 1939 fino a “La Passione di Cristo” del 2004: oltre mezzo secolo di sventure, incidenti, morti misteriose e sinistre che hanno funestato i set o che hanno successivamente colpito gli attori e le troupe.
Non voglio alimentare credenze popolari e non sono un fan della scaramanzia, ma mi trovo d’accordo con la celebre frase di Eduardo De Filippo
“Essere superstiziosi è da ignoranti, ma non esserlo porta male.”
quindi andrò a fare un excursus delle avverse sorti capitate sui set dei film più famosi prima di parlare di quell’Atuk del titolo. In questo modo ritarderò il racconto, e capirete in seguito perché.
Non solo: l’interprete della strega dell’ovest, Margaret Hamilton, rischiò di bruciare viva durante le riprese di una scena a causa di un malfunzionamento di un effetto speciale, riportando ustioni di secondo grado al viso e di terzo grado ad una mano. Mentre la Hamilton si trovava in ospedale per le cure, la controfigura che girava le scene al posto suo… subì lo stesso destino.
Il 1955 è l’anno di “Gioventù Bruciata” (ogni riferimento all’attrice de Il Mago di Oz è assolutamente involontario), famosissimo film con James Dean, Sal Mineo e Natalie Wood: il primo morì poco prima dell’uscita del film al volante della sua Porsche – e dopo aver rilasciato un’inquietante intervista – il secondo venne accoltellato al cuore nel 1976 da un assassino mai trovato e per un motivo che non fu mai chiarito, la terza annegò nel 1981 in circostanze mai definite del tutto, tanto che le indagini furono riaperte addirittura nel 2013 e concluse poco dopo dichiarando “indeterminate” le cause della morte.
L’anno successivo è l’anno de “Il Conquistatore“, film che se non si conosce non c’è bisogno di crucciarsi più di tanto: è presente in tutte le classifiche dei “film più brutti mai realizzati” nonostante la presenza di John Wayne e Susan Hayward; girato nei pressi del Nevada Test Sites, zona dove gli Stati Uniti testavano le bombe atomiche, può vantare il triste record di morti per cancro: su 220 persone che avevano lavorato al film, nei 25 anni successivi 91 avevano contratto una forma di tumore e 46 erano morti per lo stesso motivo, compresi i 5 attori principali.
Forse aveva contribuito alla cosa anche una furbata del produttore Howard Hughes: finite le riprese in esterni, fece prelevare 60 tonnellate di sabbia e terra del posto per portarla in studio ed usarla come scenografia: la terra era ovviamente contaminata, così tutti quelli che erano scampati alle riprese in esterna… si contaminarono lo stesso.
Sorvolo sui tristi avvenimenti che coinvolsero Roman Polanski, William Castle e Krzysztof Komeda, rispettivamente regista, produttore e compositore di “Rosemary’s Baby” (1968), e sulle 9 morti sul set de “L’Esorcista” (1973), dove oltre agli incidenti capitati a Linda Blair ed Ellen Burstyn ci furono scenografie che prendevano fuoco misteriosamente ed altre cose che portarono i produttori a… chiamare un prete per benedire il set, ma non posso non citare “The Omen” (“Il Presagio“).
Il film horror del 1976 è tra i più carichi di sventure e sinistri avvenimenti in assoluto, spesso incrociati con la trama del film stesso: nella pellicola c’è una scena in cui un prete viene ucciso da un pezzo di una croce che si stacca dopo essere stata colpita da un fulmine… gli aerei dell’attore Gregory Peck e dello sceneggiatore David Seltzner vennero colpiti da un fulmine.
Due aerei diversi, in momenti diversi.
Era un aereo anche il mezzo scelto dal regista Richard Donner per girare alcune scene, salvo poi ripensarci e spostare la data delle riprese: il giorno stabilito quell’aereo precipitò.
Donner si salvò anche da un bombardamento dell’IRA nel ristorante in cui era solito incontrarsi con il produttore Harvey Bernhard, ma entrambi non evitarono un incidente con la macchina: il secondo fece un frontale in auto il primo giorno di riprese ed il primo venne investito a riprese quasi ultimate.
E non è ancora finita.
Lo specialista di effetti speciali John Richardson, premio Oscar nel 1986 e mente dietro agli effetti della saga di “Harry Potter“, inventò una delle scene più memorabili del film nella quale un fotografo viene decapitato da una lastra di vetro: mentre il film era in fase di post-produzione Richardson stava lavorando ad un altro film, “Quell’ultimo ponte“, e durante il viaggio verso il set in Belgio con accanto la moglie ebbe un terribile incidente frontale alla guida della sua BMW; lui si salvò, ma la moglie non ce la fece e morì… esattamente come il fotografo nel film.
Pare che una volta riavutosi dallo scontro Richardson vide un cartello ai bordi della strada con scritto ““Je bent weg van Ommen 66,6 km” ovvero “Siete lontani 66,6 km da Ommen” (una città olandese)
Ma qui rischiamo di cadere nel ridicolo, quindi farò finta di niente.
Siamo nel 1982 ed è la volta di “Poltergeist“, colpevole di aver “ucciso” le due sorelle della famiglia Freeling: Dominique Dunne morì strangolata dall’ex fidanzato a 21 anni ed Heather O’Rourke, la piccola e biondissima Carol Anne, morì prima dell’uscita del 3° film della serie per delle complicazioni dovute ad un morbo mai diagnosticato prima. Aveva appena compiuto 12 anni.
Il destino capitato a Brandon Lee sul set de “Il Corvo” nel 1993 lo conoscete tutti, ma forse non sapete che ad uccidere l’attore fu una scheggia di un proiettile vero rimasto in canna da una scena precedente e spinto poi dal colpo a salve: l’addetto alle armi non aveva pulito bene la canna della pistola e Michael Massee, l’attore che sparò a Lee, dichiarò in seguito di non essere mai uscito dalla depressione dovuta a quello sfortunato momento.
Il set del film vide anche due tecnici della troupe vittime di incidenti: uno subì ustioni sul 90% del corpo a causa di un incendio scaturito da un cavo della corrente ed un altro entrò inavvertitamente con un mezzo all’interno di un set, distruggendo il mezzo, il set e rischiando di distruggere anche se stesso.
Con gli strani incidenti sul set di “La Passione di Cristo” vorrei chiudere questa triste carrellata, quindi vado veloce: il protagonista Jim Caviezel fu colpito da un fulmine durante le riprese della scena della crocifissione, si dislocò una spalla mentre trasportava la croce e subì una mezza scarnificazione durante la scena delle frustate; l’assistente alla regia Jan Michelini invece volle fare di più: sul set venne colpito da un fulmine come Caviezel, ma per ben DUE volte.
Perché quindi ho scritto che “Atuk” è il più maledetto di sempre?
Vado con ordine: la sceneggiatura risale alla fine degli anni ’70, tratta da un romanzo satirico del 1963 di Mordecai Richler, l’autore de “La versione di Barney”, dal titolo “L’incomparabile Atuk”; la storia narra le buffe vicende di un vecchio eschimese (“atuk” in lingua inuit significa “nonno”) che una volta allontanatosi dai suoi ghiacci natii si trova nella movimentata città di Toronto, dando luogo a situazioni comiche sul filone dello stereotipo del “pesce fuor d’acqua”.
Il primo ad acquistarne i diritti nel 1971 fu Norman Jewison – regista pluri-nominato agli oscar che diresse tra gli altri “Il Violinista sul Tetto“, “Jesus Christ Superstar” e “Rollerball” – che scrisse la sceneggiatura di “Atuk” cambiando un paio di cose fondamentali: il vecchio non era più un vecchio e la città non era più Toronto ma una più hollywoodiana New York.
Lo script cominciò quindi a circolare tra gli studios…
Qualche mese dopo, era l’inizio del 1982, la sceneggiatura arrivò tra le mani di John Belushi che in quel momento era lanciatissimo grazie al successo di “Animal House” e “The Blues Brothers“, il quale pare fosse entusiasta ed ansioso di dar vita al personaggio dell’eschimese inadeguato.
Un paio di mesi dopo il corpo senza vita di Belushi fu trovato al bungalow n°3 dell’Hotel Chateau Marmont di Hollywood, Los Angeles, vittima di un’overdose.
Forse i demoni della mitologia inuit non erano tanto d’accordo con la scelta dell’attore.
Passò qualche anno e nel 1987 la sceneggiatura capitò a Michael O’Donoghue (segnatevi il nome, per adesso), sceneggiatore comico che collaborava con National Lampoon e tra i primi autori del Saturday Night Live, che la rimaneggiò e la propose all’amico Sam Kinison, stand-up comedian e presentatore del SNL; in quell’occasione il film riuscì addirittura a partire con la produzione: girarono pochissime scene ma l’attore non era convinto e chiese di fermare il tutto per modificare ulteriormente la sceneggiatura, i costi di produzione però lievitarono a tal punto che lo studio decise di fermarla in attesa della sceneggiatura definitiva, che non arrivò mai.
Kinison morì in un incidente stradale nel 1992. I demoni inuit mieterono così la seconda vittima.
Due anni dopo O’Donoghue passò la sceneggiatura di “Atuk” ad un altro suo grande amico, l’attore John Candy – famoso per le sue interpretazioni in “Balle Spaziali” ed “Un biglietto in due“, anche se forse il suo ruolo più memorabile è quello del comandante di polizia che ordina tre aranciate in “The Blues Brothers” – che dichiarò di non vedere l’ora di iniziare le riprese.
Purtroppo Candy morì un mese dopo per un infarto, il 4 marzo 1994: il giorno prima dell’anniversario della morte di John Belushi.
E siamo a tre.
Potreste pensare che siano tutte coincidenze, e in effetti lo penso anch’io, con questo articolo però non voglio convincervi dell’effettiva esistenza di una maledizione, ma solo raccontarvi come andarono le cose.
Anche perché non è mica finita.
Vi ricordate quando poche righe fa vi ho detto di segnarvi il nome di Michael O’Donoghue?
L’ho fatto perché nel novembre 1994 morì anche lui, a 54 anni, per un’emorragia cerebrale.
…dopo quante coincidenze non è più una coincidenza?
Tre anni dopo lo script venne ripreso da Chris Farley, altro comico del Saturday Night Live cresciuto con il mito di John Belushi, ma non fece in tempo ad organizzare la produzione perché nel dicembre dello stesso anno morì per un’overdose, a 33 anni.
Come Belushi.
Prima di morire, però, Farley aveva coinvolto Philip Hartman come co-protagonista del film: un’idea che risultò, neanche a dirsi, fatale.
Se vi state chiedendo chi sia Philip Hartman posso dirvi che fu il doppiatore storico di Troy McClure dei Simpson e un grande amico di Matt Groening: non è un caso che il protagonista di Futurama si chiami Philip.
Qui le coincidenze assumono una dimensione ancora più sinistra dato che l’attore fu ucciso dalla moglie che, in preda ad alcol e droghe, gli sparò tre colpi di pistola mentre… stava leggendo la sceneggiatura di “Atuk“.
E cinque.
Nel 1999 lo script passò quindi nelle mani di Tod Carroll, autore tra le altre cose di “Fuori dal tunnel” (no, non la canzone di Caparezza: il film del 1988 con Michael Keaton), che lo riscrisse per l’ennesima volta ma non trovò mai nessun finanziatore a causa della pessima fama che ormai aleggiava sulla storia.
Carroll dichiarò che non gli interessavano i pettegolezzi e che tutto ciò che era capitato a chi si era avvicinato ad “Atuk” erano
solo coincidenze o eventi che hanno una spiegazione razionale
ma ciò non impedì alla sceneggiatura di rimanere immobile in un cassetto fino ai primi anni 2000, quando fu messa in vendita su eBay.
Non si sa se qualcuno l’abbia comprata né che fine abbia fatto, ma la cosa certa è che il film non ha ancora visto la luce e nessuno sa se mai la vedrà in futuro.
Ed ora che ho scritto questo articolo ammetto di essere lievemente preoccupato per le mie sorti.
In ogni caso mi sento di darvi un consiglio: se siete degli attori comici un po’ in sovrappeso e vi arriva la proposta di una sceneggiatura dove dovete interpretare un eschimese a New York… fate finta di niente.
Dite che dovete studiare ostrogoto, che dovete aiutare la mamma con l’uncinetto o che siete in coda al padiglione del Giappone… ma non accettatela.
Non ci credo neanche un po’ ma, nel caso, mi manchereste molto.