Baby Boss: recensione del nuovo film d’animazione DreamWorks
09/04/2017 di Redazione
Ecco la nostra recensione del nuovo film d’animazione della DreamWorks, Baby Boss, diretto da Tom McGrath e con doppiatori originali Alec Baldwin e Tobey Maguire.
È in uscita nelle sale italiane a Pasquetta (il 17 aprile) il nuovo film della DreamWorks diretto da Tom McGrath e scritto da Michael McCullers, Baby Boss. La pellicola se la vede con dei precursori che sono dei veri e propri giganti dell’animazione americana: la casa di produzione infatti è nota per aver creato le saghe di successo di Shrek, Dragon Trainer, L’Era Glaciale, Kung Fu Panda, Madagascar, ma anche molti prodotti rimasti isolati che sono stati molto apprezzati dal pubblico, come Le 5 Leggende. Ce la fa il piccolo bebè in giacca e cravatta a misurarsi con gli alti standard d’intrattenimento a cui i produttori ci hanno abituato?
Tutti abbiamo potuto conoscere i due protagonisti della pellicola dai trailer che sono usciti negli ultimi mesi: Baby Boss, in originale doppiato da Alec Baldwin, un lattante che parla con la voce di un adulto e si veste come un vero e proprio capo in carriera; il fratello maggiore di sette anni, Tim, che si trova questo nuovo e strano rivale in casa che ruba le attenzioni dei suoi genitori, che prima, quand’era figlio unico, aveva tutte per sé. Una trama che, con questi presupposti, prometterebbe gran divertimento in sala, ma c’è da dire che però può essere soggetta a molteplici interpretazioni, senza dare un’esplicita direzione nel chiarimento di alcuni punti.
Non è infatti chiaro se il fatto che il bebè parlante e “in carriera”, arrivato in casa dai genitori in taxi, e conseguentemente gli sviluppi successivi, siano veramente accaduti, oppure se il tutto è semplicemente frutto dell’immaginazione del protagonista: è un dubbio che assale fin dall’inizio della proiezione, non trova mai spiegazione esplicita – e lasciateci dire che questo è un vero peccato. La pellicola infatti oscilla sulla linea di demarcazione tra la non plausibilità e quello che viene comunemente accettato come elemento fantastico della trama: il che può non dar fastidio a uno spettatore molto giovane, ma può confondere l’occhio più attento di un adulto.
Se fosse tutto nella mente del piccolo Tim, il film acquisirebbe un forte risultato metaforico per le tematiche che accarezza, ovvero il rapporto tra fratelli e la “concorrenza” che spesso sente, soprattutto il maggiore, nell’accaparrarsi l’affetto dei genitori. Forse è proprio questa l’idea portante del film, ma non è esplicitamente dichiarata: rimane il beneficio del dubbio. Il tema della fratellanza, comunque, è trattato molto bene: chiunque, anche se non necessariamente dotato di un fratello o una sorella minore, può immedesimarsi nel protagonista, nel modo in cui reagisce a questa sua improvvisa mancanza di attenzioni e sorridere nel vedere come il rapporto tra i due protagonisti si evolve nel corso della storia.
Le risate, come promesse dal trailer, sono assicurate. Nel corso del film, durante le piccole rocambolesche avventure dei protagonisti, quando arriva il momento di far ridere lo spettatore, i tempi comici sono gestiti nel miglior modo possibile. L’idea del Baby Boss, il suo essere allo stesso tempo così tenero e piccolo fuori, ma brutalmente serio e adulto dentro, è sfruttata alla grande per suscitare l’ilarità e la simpatia dello spettatore. Il divertimento, in sala, è assicurato.
Una piccola pecca del film è il ritmo, che se è pieno di parti in cui riesce a divertire, si dilunga troppo forse in taluni punti, tendendo ad annoiare: proprio quando l’occhio dello spettatore sta per cadere sull’orologio, ecco che arriva un momento di forte comicità, come se la pellicola stessa volesse prima spazientire e poi farsi perdonare. Forse si è calcata un po’ troppo la mano sui momenti di “gioco” in cui si vive nel mondo fantasioso del piccolo Tim, una trovata che per certi versi è brillante nel modo in cui è inserita nel corso della storia, ma si dilunga, a volte, un po’ troppo in se stessa.
Insomma, Baby Boss è un film da vedere per la sua capacità di strappare una risata allo spettatore quando meno se lo aspetta e di toccare il tema della fratellanza in un modo originale e efficace, ma gli manca qualcosa: con un ritmo più scorrevole e una maggior comprensibilità di alcuni presupposti della trama avrebbe potuto essere più di una semplice pellicola d’intrattenimento.
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Passate da Disney Castle ⁰o⁰
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